Chiesa Cattolica – Italiana

Condivisione dei beni e funzione sociale della proprietà privata

ANDREA TORNIELLI

Gli Atti degli Apostoli raccontano che “nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune” e questo “non è comunismo, è cristianesimo allo stato puro”. Con queste parole Papa Francesco, nell’omelia della messa celebrata nella domenica della Divina Misericordia, ha commentato la condivisione dei beni attuata dalla prima comunità cristiana.

Più volte, anche in tempi molto recenti, l’attuale Vescovo di Roma è stato criticato per aver messo in discussione l’intoccabilità del diritto alla proprietà privata e le sue parole sono state associate al marxismo e al comunismo. Lo scorso 30 ottobre, in un messaggio in occasione dell’apertura dei lavori della Conferenza internazionale dei giudici membri dei Comitati per i diritti sociali di Africa e America, Francesco aveva detto: “Costruiamo la giustizia sociale sulla base del fatto che la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto e intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha sottolineato sempre la funzione sociale di qualsiasi sua forma. Il diritto alla proprietà è un diritto naturale secondario derivato dal diritto di cui tutti sono titolari, scaturito dalla destinazione universale dei beni creati. Non vi è giustizia sociale in grado di affrontare l’iniquità che presupponga la concentrazione della ricchezza”.

Papa Francesco ha affrontato due volte il tema nelle sue encicliche sociali. L’ultima in Fratelli tutti, pubblicata il 4 ottobre 2020. In quel testo sono ricordate le prese di posizione contenute nelle encicliche sociali di Giovanni Paolo II e di Paolo VI. Leggiamo infatti al numero 120 dell’enciclica che è stata firmata sulla tomba del Poverello di Assisi: “Di nuovo faccio mie e propongo a tutti alcune parole di San Giovanni Paolo II, la cui forza non è stata forse compresa: ‘Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno’ (Centesimus annus, 31)… Il principio dell’uso comune dei beni creati per tutti è il ‘primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale’ (Laborem exercens, 19), è un diritto naturale, originario e prioritario (Compendio della dottrina sociale, 172)”.

“Il diritto alla proprietà privata – continua Francesco in Fratelli tutti – si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha conseguenze molto concrete, che devono riflettersi sul funzionamento della società. Accade però frequentemente che i diritti secondari si pongono al di sopra di quelli prioritari e originari, privandoli di rilevanza pratica”.

Dello stesso argomento si parlava nel paragrafo 93 dell’enciclica Laudato si’. Francesco richiamandosi anche in questo caso al magistero di Papa Wojtyla e commentandone le parole, ha scritto: “Il principio della subordinazione della proprietà privata alla destinazione universale dei beni e, perciò, il diritto universale al loro uso, è una ‘regola d’oro’ del comportamento sociale, e il primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale. La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata. San Giovanni Paolo II (…) ha rimarcato che ‘non sarebbe veramente degno dell’uomo un tipo di sviluppo che non rispettasse e non promuovesse i diritti umani, personali e sociali, economici e politici, inclusi i diritti delle Nazioni e dei popoli’. Con grande chiarezza ha spiegato che ‘la Chiesa difende sì il legittimo diritto alla proprietà privata, ma insegna anche con non minor chiarezza che su ogni proprietà privata grava sempre un’ipoteca sociale, perché i beni servano alla destinazione generale che Dio ha loro dato’. Pertanto afferma che ‘non è secondo il disegno di Dio gestire questo dono in modo tale che i suoi benefici siano a vantaggio soltanto di alcuni pochi’. Questo mette seriamente in discussione le abitudini ingiuste di una parte dell’umanità”.

Giovanni Paolo II

Già Pio XII, nella lettera Sertum laetitiae indirizzata nel novembre 1939 ai vescovi americani, e poi nel Radiomessaggio del 1° giugno 1941 in occasione del 50° anniversario dell’enciclica Rerum novarum, si era soffermato sull’uso dei beni materiali, e aveva affermato essere “inderogabile esigenza che i beni da Dio creati per tutti gli uomini, equamente affluiscano a tutti, secondo i principi della giustizia e della carità”. È poi da citare anche la Costituzione apostolica Exsul familia (1952), che richiama il principio della destinazione universale dei beni nell’ambito delle migrazioni. Papa Pacelli scrive infatti che i movimenti migratori permettono “la distribuzione più favorevole degli uomini sulla superficie terrestre; superficie che Dio creò e preparò per uso di tutti”.

Nel 1961 Giovanni XXIII commemora il magistero sociale dei predecessori con l’enciclica Mater et Magistra, e a proposito della proprietà privata e della sua destinazione sociale scrive: “Non (…) è venuta meno la ragione di essere della funzione sociale della proprietà privata, come alcuni erroneamente inclinano a pensare; giacché essa scaturisce dalla stessa natura del diritto di proprietà. Inoltre vi è sempre una vasta gamma di situazioni dolorose e di bisogni delicati e nello stesso tempo acuti, che le forme ufficiali dell’azione pubblica non possono attingere e che comunque non sono in grado di soddisfare. Per cui rimane sempre aperto un vasto campo alla sensibilità umana e alla carità cristiana degli individui”. Sarà poi la Costituzione conciliare Gaudium et spes, pubblicata nel 1965 a conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II, a formulare con chiarezza il principio della destinazione universale dei beni: “Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, e pertanto i beni creati devono equamente essere partecipati a tutti, secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità”.

Giovanni XXIII

Due anni dopo, nel 1967, Paolo VI pubblica l’enciclica Populorum progressio, collegando il Magistero sociale alla grande tradizione dei Padri della Chiesa: “Se qualcuno, in possesso delle ricchezze che offre il mondo, vede il suo fratello nella necessità e chiude a lui le sue viscere, come potrebbe l’amore di Dio abitare in lui? Si sa con quale fermezza i padri della chiesa hanno precisato quale debba essere l’atteggiamento di coloro che posseggono nei confronti di coloro che sono nel bisogno: ‘Non è del tuo avere, afferma sant’Ambrogio, che tu fai dono al povero; tu non fai che rendergli ciò che gli appartiene. Poiché è quel che è dato in comune per l’uso di tutti, ciò che tu ti annetti. La terra è data a tutti, e non solamente ai ricchi’. È come dire che la proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario. In una parola, il diritto di proprietà non deve mai esercitarsi a detrimento della utilità comune, secondo la dottrina tradizionale dei padri della chiesa e dei grandi teologi. Ove intervenga un conflitto tra diritti privati acquisiti ed esigenze comunitarie primordiali, spetta ai poteri pubblici adoperarsi a risolverlo, con l’attiva partecipazione delle persone e dei gruppi sociali”.

Infine, va ricordato il numero 48 dell’enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI, che connette il principio della destinazione universale dei beni alla questione ambientale, includendo anche le future generazioni tra i destinatari dei beni della creazione e il conseguente compito salvaguardare e coltivare il creato senza depredarlo: “Il tema dello sviluppo è oggi fortemente collegato anche ai doveri che nascono dal rapporto dell’uomo con l’ambiente naturale. Questo è stato donato da Dio a tutti, e il suo uso rappresenta per noi una responsabilità verso i poveri, le generazioni future e l’umanità intera”.

Benedetto XVI
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