Con i profughi preghiamo per la pace in Ucraina con Papa Francesco

Vatican News

Giancarlo La Vella – Città del Vaticano

Accogliere non vuol dire solo ospitare, nutrire, fornire beni di prima necessità, come cibo, vestiti e medicinali o dare un alloggio, ma soprattutto condividere e comprendere le drammatiche emozioni di chi fugge dall’orrore della guerra e offrire l’occasione di un momento di serenità. È quanto sta avvenendo a Cerchio, ridente paese ai confini con la Piana del Fucino, nella diocesi di Avezzano, che da diversi giorni – così come hanno fatto altri centri della zona – ha messo in piedi strutture idonee ad accogliere circa 50 bambini, alcuni con le proprie famiglie, fuggiti dalla guerra in Ucraina. Nell’intervista a Radio Vaticana – Vatican News, il vescovo di Avezzano, monsignor Giovanni Massaro, racconta lo stato d’animo soprattutto dei ragazzi, che hanno ancora nei loro volti la paura per i bombardamenti subiti nelle città d’origine. “Mi hanno chiesto di pregare insieme – riferisce il presule – perché torni la pace nel loro Paese”.

Ascolta l’intervista a monsignor Giovanni Massaro

Qual è il clima tra i ragazzi e le loro famiglie che sono stati accolti a Cerchio?

Sono andato a salutare i bambini e i famigliari provenienti dall’Ucraina che sono giunti a Cerchio, anche per ringraziare il sindaco e tutti gli abitanti per la squisita accoglienza. Dopo aver consegnato dei doni ai bambini e ai ragazzi, ho ascoltato le mamme e i papà che hanno riferito del sollievo provato nel vedere i propri figli ora più tranquilli, perché finalmente lontani dal conflitto, in una dimensione nuova in cui sembrano aver superato le paure che li hanno accompagnati nelle ultime settimane. Se c’è in effetti una sola cosa positiva nel grande mare di tristezza e di orrore portato dall’invasione russa dell’Ucraina è la mobilitazione nei confronti degli esuli. Per la prima volta abbiamo la sensazione che sia chiaro a tutti, proprio a tutti, dalla classe dirigente governativa agli amministratori locali, dalle organizzazioni di categoria ai mezzi di comunicazione, ai singoli cittadini, che i profughi vanno accettati, vanno accolti, vanno compresi, vanno sostenuti. La moltitudine di chiamate e il passaparola per le raccolte, le continue offerte di beni e servizi rappresentano non certo un punto di arrivo, ma un punto di partenza anche per la comunità marsicana. I servizi di Caritas e Migrantes della diocesi, come di consueto, stanno lavorando ininterrottamente per garantire accoglienza e servizi ai circa 300 esuli arrivati nei diversi comuni del territorio della Marsica. A fare la differenza, però, questa volta è la mobilitazione dei sindaci, di tutte le organizzazioni di volontariato, dell’associazionismo, delle singole famiglie che hanno aperto le porte, dichiarando la propria disponibilità all’accoglienza, all’accompagnamento, al sostentamento. Ora è importante cercare di operare, facendo convergere le diverse energie. La strada, ormai è aperta, è segnata: la Marsica sa accogliere, la Marsica sa far sentire calore e vicinanza a quanti sono in fuga. Si tratta di un cammino da percorrere quotidianamente nella verità nella carità, per dare risposte concrete alla grande sfida contemporanea verso un “noi” sempre più grande.

Un esempio, questo del comune di Cerchio, di come anche i piccoli – Cerchio ha poco più di 1600 abitanti – riescano a fare cose grandi?

Sì, in effetti fin dal primo momento, io ho cominciato a visitare in lungo e largo il territorio della diocesi e le diverse comunità, partendo proprio da quelle più piccole, proprio per portare a tutti l’amore di Dio e ho potuto notare che dappertutto, proprio nelle realtà più piccole, c’è un grande senso di accoglienza, di ospitalità, di disponibilità e certamente il paese di Cerchio anche in questa circostanza si è mostrato molto, ma molto accogliente ed ospitale.

Eccellenza, lei diceva che ha incontrato i piccoli, ma anche i loro genitori. Quali storie raccontano della spaventosa esperienza della guerra?

Devo dire che li ho trovato più sereni e più tranquilli di quanto immaginassi. Mi ha colpito il fatto che, visitando un po’ anche altre famiglie ucraine, la prima richiesta che è arrivata da parte loro è un aiuto a pregare. Ricordo che quando sono stato in una famiglia ucraina, mentre tutti si prodigavano per cercare di presentarmi un po’ i componenti del gruppo, a farmi vedere la casa nella quale erano stati ospitati, la mamma si è avvicinata per dirmi: “padre, ci aiuti a pregare, perché solo la preghiera è la nostra forza e consolazione”. Ecco mi preme sottolineare che accanto all’accoglienza c’è la preghiera. La preghiera è l’arma per vincere la guerra. Perché pregare? Perché solo dove c’è la luce, noi possiamo trovare certi valori. In diocesi la settimana scorsa abbiamo promosso una settimana intera di preghiera e ogni giorno un’intera forania si è impegnata a tenere aperte per tutta la giornata le chiese, tutte le parrocchie, invitando la gente a pregare dinanzi a Gesù Eucaristia per chiedere il dono della pace. C’è stato un flusso continuo e ho concluso la settimana con una celebrazione diocesana del Vespro, aiutati nella preghiera dalle monache Benedettine di Tagliacozzo, e ho invitato tutti i sacerdoti ad unirsi al Santo Padre nella preghiera di consacrazione della Ucraina e della Russia al Cuore Immacolato di Maria, così come c’è stato richiesto da Papa Francesco.

Un segno di grande unità della Chiesa in tutte le sue realtà locali e particolari…

Sì, è vero, è un segno di unità con il desiderio di dare speranza in questo momento così difficile. Sant’Agostino diceva che “la speranza ha due figli bellissimi lo sdegno e il coraggio, l’audacia”, il che non significa spericolatezza, temerarietà, ma parresia, cioè libertà, franchezza di parola, capacità propositiva di dire le cose proprio nel nome del Vangelo. E mai come in questo momento la Chiesa e compatta, per dare speranza con una parola anche di coraggio e di unità.