Compie 110 anni lo stadio più antico d’Italia

Vatican News

Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

Avevo ancora negli occhi il panorama che si apriva improvvisamente oltre i finestrini del treno con repentini sprazzi di luce dopo lunghe gallerie e limpidi tratti di mare che sembravano arrampicarsi tra rocce scoscese e ripide montagne. Il viaggio iniziato da Roma, nella mia testa di bambino, era durato un tempo interminabile che avrebbe permesso a degli astronauti, con un potente missile, di arrivare sulla Luna. Ero giunto, accompagnato da mio padre, in un mondo nuovo. Ero arrivato nella terra dove era nato – me lo aveva detto la maestra pochi giorni prima – un grande esploratore, Cristoforo Colombo, che nel 1492 aveva scoperto il nuovo mondo. Quella città era un dedalo di vicoli che si rincorrevano sotto lo sguardo amorevole della Madonna della Guardia e all’ombra del fiero e inconfondibile profilo della Lanterna. Un luogo incastonato tra mare e monti con un porto, che fin dall’epoca romana, era stato il crocevia di intensi scambi commerciali. 

Avevo ancora negli occhi scorci e strade di Genova quando una domenica, il 26 settembre del 1982, si apriva un “palcoscenico” nuovo ed emozionante. Dopo alcuni scalini, tra una luce dirompente e suoni sempre più tambureggianti, potevo finalmente vedere per la prima volta uno stadio. Davanti a me c’era una folla in festa che riempiva gli spazi degli spalti e delle gradinate. Un campo di calcio luccicante, maglie e bandiere colorate con una affascinante trama blucerchiata che per me era subito diventata una delle più grandi espressioni d’arte moderna. Avevo sei anni ed ero nello stadio Marassi, il più antico d’Italia tra quelli ancora in uso.

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Dal 1911 ad oggi

Lo Stadio Marassi oggi compie 110 anni. È stato inaugurato il 22 gennaio 1911. Alcuni anni prima era stato fondato, il 7 settembre 1893 presso il consolato britannico di Genova, il Genoa Cricket and Football Club, la società di calcio più antica in Italia. Lo scopo del sodalizio è diffondere la pratica del calcio e i valori dello sport. Nel 1911 la prima storica partita nel nuovo stadio, inaugurato con il nome di Campo di Via del Piano, viene giocata dalle formazioni di Genoa e Inter. Il nuovo terreno di gioco sorge non lontano dal torrente Bisagno ed è adiacente ad un  altro campo sportivo, quello della Cajenna, dove gioca un’altra formazione genovese l’Andrea Doria. Lo stadio sorge nel quartiere Marassi, oggi uno dei rioni più popolosi e densamente abitati di Genova. Nel corso degli anni, sin dalle origini, ha subito varie ristrutturazioni. Nel 1933 viene intitolato a Luigi Ferraris, capitano della squadra del Genoa, morto durante la prima guerra mondiale. Ed è stato ricostruito in occasione dei mondiali di calcio del 1990. Oggi lo stadio Marassi si presenta come un moderno impianto all’inglese, con gli spalti a ridosso del campo che possono ospitare quasi 40.000 spettatori. Subito dopo la ristrutturazione, ha ospitato alcune partite dei mondiali organizzati in Italia. Ed è stato “testimone” dello scudetto vinto nel 1991 dalla Sampdoria, squadra genovese nata nel 1946 dalla fusione dell’Andrea Doria e della Sampierdarenese. Accanto allo stadio Marassi sorge anche l’omonimo carcere, dove l’eco delle partite scandisce alcune delle giornate dei detenuti.

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Gli stadi al tempo della pandemia

Oggi, come molti impianti nel mondo, anche lo stadio Marassi non è aperto agli spettatori durante le partite a causa della pandemia. Quello sportivo, in questa fase duramente segnata dall’emergenza sanitaria, è uno spettacolo soprattutto televisivo. Mancano cori, coreografie, gli applausi scrocianti dopo belle azioni. Non si sente il tipico “boato” dopo un goal. In questo scenario, ancora fortemente condizionato dalla diffusione del coronavirus, gli stadi vuoti non sono più la tragica cornice di gravi episodi di violenza che, in alcune occasioni, hanno drammaticamente segnato la storia del calcio. Questo tempo può essere allora un’occasione per riflettere sugli autentici valori dello sport, che non devono mai trascendere e scadere in linguaggi di odio e di violenza.

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I Pontefici e gli stadi

Gli stadi di tutto il mondo sono stati il teatro di incontri ed eventi tra i Pontefici e il popolo di Dio. Paolo VI fu tra i primi nel 1965 ad incontrare 80.000 persone allo Yankee Stadium di New York durante il Viaggio Apostolico negli Stati Uniti. Giovanni Paolo II, nel 1990 ha benedetto lo Stadio Olimpico in occasione dei Mondiali di calcio e dieci anni dopo ha assistito come spettatore alla partita tra la Nazionale Azzurra e una selezione del resto del mondo.  Con Benedetto XVI voliamo fino in Brasile dove nel 2007 ha incontrato i giovani allo Stadio Pacaembu di Sao Paolo. Francesco in molte occasioni ha incontrato i fedeli negli stadi italiani e di tutto il mondo. Ricordiamo l’incontro del 25 marzo del 2017 presso lo Stadio Meazza di San Siro con i ragazzi cresimati. Con loro si è soffermato a riflettere sull’importanza del gioco e dello sport. Il primo ottobre dello stesso anno, presso lo Stadio Dall’Ara a Bologna, ha celebrato la Santa Messa, ricordando nell’omelia il valore del pentimento, della necessità per un cristiano, così come per un giocatore di calcio , di fermarsi, e chiedersi umilmente se il suo gioco sia onesto. 

Ascolta la scheda di Silvia Giovanrosa

I Papi e il calcio

I Pontefici si sono più volte soffermati su temi legati allo sport e al calcio. Nel 1952 Pio XII ricorda che le pratiche sportive sono sempre più diffuse e seguite: “non vi è più alcun giornale – afferma rivolgendosi ai partecipanti al Congresso scientifico nazionale italiano dedicato alle attività ginnico sportive – che non abbia la sua pagina sportiva mentre non pochi sono i fogli destinati esclusivamente a questo argomento, senza parlare delle frequenti radio-trasmissioni che informano il pubblico sugli avvenimenti sportivi”. Il 3 maggio del 1975, rivolgendosi ai dirigenti e ai calciatori della Fiorentina, Papa Paolo VI sottolinea che “lo sport – ed il calcio in particolare – è diventato sempre più nella società contemporanea un fenomeno, che coinvolge innumerevoli folle di persone, le quali periodicamente riempiono gli stadi”. “La Chiesa – aggiunge Papa Montini in quell’occasione – guarda con interesse e benevolenza al mondo molteplice e vario dello sport, perché esso può e deve essere, per chi lo pratica abitualmente e per chi ne è spettatore, una vera scuola e una autentica palestra di sode virtù, che contribuiscono alla maturazione ed al perfezionamento integrale della personalità umana: il senso dell’onestà, del dovere, dell’impegno, del sacrificio, della rinuncia, della disciplina, della lealtà, della generosità, della solidarietà”.

Dare l’esempio

Il 28 marzo del 1981, Giovanni Paolo II rivolge queste parole ai giocatori del Cagliari. “Voi rappresentate quel mondo calcistico, che ogni domenica trascina masse di persone negli stadi e che tanta parte occupa nei mezzi di comunicazione sociale. A quanti guardano a voi e vi ammirano, voi dovete certo offrire lo spettacolo del gioco, ma ricordatevi che fa parte del vostro dovere anche il dare l’esempio dell’esercizio di talune virtù, tipiche del mondo agonistico, che devono rappresentare prima di tutto un vostro patrimonio personale”. Il 2 giugno del 2012 Benedetto XVI nello stadio “Meazza” a Milano ricorda tra l’altro un luogo legato anche al calcio: “L’oratorio – afferma  – è un luogo dove si prega, ma anche dove si sta insieme nella gioia della fede, si fa catechesi, si gioca, si organizzano attività di servizio e di altro genere, si impara a vivere. Siate frequentatori assidui del vostro oratorio, per maturare sempre più nella conoscenza e nella sequela del Signore!”. 

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Francesco: lo sport è una meraviglia

Papa Francesco, in diverse occasioni si è soffermato sullo sport e sul calcio. Prima dell’udienza generale del 20 gennaio 2021, ha incontrato dirigenti e calciatori della squadra ligure dello Spezia. “A me piace vedere – ha detto il Pontefice che è un sostenitore della squadra argentina del San Lorenzo de Almagro – lo sforzo dei giovani e delle giovani nello sport, perché lo sport è una meraviglia. Lo sport porta su tutto il meglio che noi abbiamo dentro”. “Continuate con questo, perché ti porta a una nobiltà grande. Grazie per la testimonianza”.

Con una palla di stracci

Nel 2019 Papa Francesco ha ricevuto in udienza i campioni della Nazionale di calcio italiana. Ricordando che i calciatori hanno donato un pallone ai piccoli pazienti del Bambino Gesù, il Pontefice è tornato ai tempi in cui era bambino. “Io ricordo – aveva detto – che c’era una piazzetta a pochi metri da casa mia. Lì giocavamo, ma non sempre avevamo a disposizione un pallone, perché in quel tempo il pallone era di cuoio, era molto costoso. Ancora non c’era la plastica, quelli di gomma non c’erano ancora… C’era il pallone di stracci. Anche con una palla di stracci si fanno dei miracoli”. Bruno Pizzul, giornalista e telecronista della Nazionale italiana di calcio per ben cinque mondiali (dal 1986 al 2002), nell’intervista di Andrea De Angelis ricorda come anche lui giocasse con un pallone fatto di stracci. “Da piccoli giocavamo con qualsiasi cosa fosse tonda”, racconta riferendosi alla sua infanzia. Poi l’emozione dell’incontro con Papa Francesco in un’occasione speciale.

Ascolta l’intervista a Bruno Pizzul

Lo stadio secondo suor Paola

Anche i religiosi e le religiose vanno allo stadio. E’ il caso di suor Paola. Nata in Calabria ma di adozione romana, a soli vent’anni decide di farsi suora ed entra a far parte della congregazione delle Suore scolastiche francescane di Cristo Re. Nel 1993 viene lanciata dal programma condotto da Fabio Fazio “Quelli che il Calcio”, e subito diventa uno tra i maggiori protagonisti. Fortissimo l’impegno sociale di suor Paola: insegna ai bambini, si occupa di case famiglia, fa volontariato all’interno delle carceri. Al microfono di Alessandro Guarasci, si sofferma sul suo rapporto con gli stadi.

Ascolta l’intervista a suor Paola

Quando il tifoso va allo stadio, spiega suor Paola, si sente una persona libera, senza condizionamenti. In questo spazio, sottolinea, si sta insieme per una stessa cosa. La speranza, aggiunge suor Paola, è che allo stadio possano tornare le famiglie. “Se si vive bene, lo stadio è un momento di aggregazione”.