Commissione cattolica migrazioni: estendere la solidarietà globale

Vatican News

Isabella Piro – Città del Vaticano 

Proteggere e servire le persone migranti, siano esse rifugiati, richiedenti asilo, sfollati interni, vittime del traffico di esseri umani, indipendentemente dalla fede, razza, etnia o nazionalità: questo l’impegno portato avanti, da 70 anni, dalla Commissione cattolica internazionale per le migrazioni (Icmc). Un organismo quanto mai importante, considerata la cronaca più recente: nell’ultima settimana, sono aumentate le notizie mediatiche sulle tragedie riguardanti i migranti e i rifugiati che fuggono dalle loro terre d’origine su imbarcazioni di fortuna, per cercare di raggiungere l’Europa. Basti pensare a sabato 7 agosto, quando un’imbarcazione si è rovesciata al largo della costa di Dakhla, in Marocco, nella regione del Sahara occidentale, provocando decine di morti e numerosi dispersi.

Questi dati aggravano il bilancio degli oltre 1.140 decessi stimato dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni tra coloro che hanno tentato, nel solo 2021, di migrare in Europa da Paesi come la Libia e la Tunisia. Si tratta di una realtà globale che vede impegnate molte organizzazioni umanitarie cattoliche nella fornitura di aiuti di emergenza e di servizi di insediamento a lungo termine. Tra queste c’è, appunto, l’Icmc, con sede a Ginevra e che riunisce organismi nazionali membri della Conferenze episcopali di tutto il mondo. Il suo segretario generale è Robert Vitillo che, in un’intervista ai colleghi di lingua inglese di VaticanNews, afferma: “Le morti tragiche dei migranti sono un fenomeno globale” che, purtroppo, accade in tutto il mondo, non solo in Europa. Tuttavia, esso viene “ignorato da troppe persone”.

“La migrazione fa parte della condizione umana, fin dalla preistoria – continua monsignor Vitillo – Le persone sono costrette a fuggire da persecuzioni e violenze, con la speranza di trovare la libertà per se stessi e di costruire un nuovo futuro per le loro famiglie”. Oltre alle persone che vedono riconosciuto il loro status di “rifugiato”, sancito dalla Convenzione di Ginevra del 1951 e supervisionata dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) il presule sottolinea che ne esistono molte altre ancora in attesa di tale riconoscimento o che sono “sfollate interne” nei loro stessi Paesi, in fuga da “mancanza dello Stato di diritto, grave cambiamento climatico, totale assenza di nutrizione adeguata e di acqua pulita, traffico di esseri umani, e impossibilità di accedere a un lavoro decente e a una giusta retribuzione”. Pur volendo restare nelle loro terre d’origine, dunque, queste persone sono costrette a migrare, pena la sopravvivenza della loro famiglia in termine di “sicurezza, libertà e nuove opportunità di una vita dignitosa”.

Il ruolo dell’Icmc

A tutte loro, continua il segretario generale, l’Icmc offre attività di primo soccorso sia a livello nazionale che diocesano e parrocchiale. Ai suoi stessi membri, invece, l’organismo fornisce aggiornamenti e informazioni sulle tendenze migratorie globali e regionali, incoraggiandoli a condividere, attraverso i siti web e i social network, “esperienze e sfide per sviluppare ulteriori capacità”. Fondata nel 1951 da Papa Pio XII, la Commissione cattolica internazionale per le migrazioni “è anche impegnato in una programmazione diretta in risposta ad alcune emergenze su larga scala, legate alla migrazione – aggiunge Monsignor Vitillo – In questi casi, collaboriamo con i governi, l’Onu e altre organizzazioni intergovernative per assicurare protezione e provvedere alle necessità di base di migranti e rifugiati”.

Il lavoro svolto nel mondo

Tra gli esempi più recenti, il presule cita i programmi umanitari forniti in Giordania, Pakistan e Malesia, attraverso assistenza in denaro per il cibo e l’affitto; cure mediche e psicologiche; spazi sociali sicuri per i bambini; supporto alle vittime di violenza sessuale e di genere; attività didattica per i minori e per gli adulti; formazione professionale dei migranti in modo che possano sviluppare abilità qualificate o avviare piccole imprese nel settore meccanico (riparazione delle motociclette) o tessile (tessitura dei tappeti).

Ma l’Icmc è coinvolta anche nel processo di reinsediamento dei migranti: degli 85 milioni di essi, infatti, spiega Monsignor Vitillo, “solo l’1 per cento circa ha la possibilità di essere reinsediato permanentemente in un Paese terzo”. Per questo, la Commissione collabora con i governi locali, in Europa e negli Stati Uniti, “per facilitare e preparare le domande di reinsediamento in questi Paesi”. Nello specifico, l’organismo si occupa dei contatti iniziali con i rifugiati e della preparazione della documentazione richiesta, in assistenza ai funzionari governativi, organizzando anche i necessari controlli medici e il viaggio dei rifugiati verso le loro nuove sedi, una volta che la domanda di reinsediamento è stata accetta. Importante, inoltre, è “l’orientamento culturale” che viene fornito ai rifugiati che stanno per essere reinsediati, in modo che “imparino a conoscere il Paese di destinazione, i modi per cercare lavoro e le proprie responsabilità legali, così da adattarsi al meglio alle nuove sfide” che li attendono.

Tra gli altri servizi dell’Icmc ci sono anche “l’invio in 50 Paesi del mondo di esperti di protezione legale e sociale per aiutare l’Unhcr e l’Unicerf nel loro operato e per supportare i governi dei Paesi di primo asilo a valutare i bisogni dei migranti e dei rifugiati, identificando quelli con particolari vulnerabilità”; nonché “la promozione dell’integrazione dei migrati nei Paesi ospitanti, incluso l’accesso alla formazione linguistica, alla formazione delle competenze e all’accesso al lavoro dignitoso”. Forte è anche l’impegno nel settore dell’advocacy, continua monsignor Vitillo, così da favorire l’implementazione del Global Compact sui rifugiati e sui migranti.

L’attenzione particolare all’Europa

In Europa, in particolare, l’Icmc Europe “organizza la formazione e la condivisione di esperienze specialmente con i comuni, le comunità religiose, le organizzazioni non governative e la società civile”, così da “comprendere meglio il contributo che migranti e rifugiati portano alle comunità ospitanti”. “Questo è particolarmente importante nel continente europeo – continua il presule – dove c’è un grande aumento del numero di anziani e una significativa diminuzione del numero di giovani”. In questo caso, infatti, migranti e rifugiati “possono portare contributi dinamici all’economia e molti altri benefici per il benessere generale della società”, perché “come dice spesso Papa Francesco, l’integrazione è una strada a doppio senso: i rifugiati e i migranti portano con sé competenze speciali, cultura, fede e valori tradizionali e familiari” che “contribuiscono fortemente alla società che li sta accogliendo”.

Quanto alla specificità delle organizzazioni cattoliche che operano nel settore, il presule ribadisce che “le nostre risposte sono basate sulla fede e radicate nei valori”. “Nella Chiesa cattolica – spiega – abbiamo una storia condivisa e l’impegno di accogliere, proteggere, promuovere e integrare migranti, rifugiati, sfollati interni e sopravvissuti al traffico di esseri umani, come indicato da Papa Francesco”. Ogni persona, infatti, ha una sua dignità in quanto “figlia di Dio” e come tale deve essere accolta. In questo senso, “le organizzazioni ispirate dalla fede hanno una motivazione molto speciale in termini di rispetto della dignità di ogni persona e di garanzia che queste persone abbiano la possibilità di godere di quella dignità e di contribuire al popolo che le accoglie”.

Allo stesso tempo, monsignor Vitillo mette in risalto “la grande collaborazione interreligiosa” di cui l’Icmc gode a livello globale, con l’obiettivo di creare “una piattaforma comune con circa 3mila ong” per incoraggiare i governi, le imprese e altri settori della società a “trovare un accordo in termini di politiche giuste ed eque per i rifugiati e i migranti”. Ciò è fondamentale, considerando che “la maggior parte dei servizi umanitari, di protezione e di reinsediamento diretti dell’Icmc si trovano in Paesi dove i cristiani rappresentano una minoranza; di fatto, in nazioni a maggioranza musulmana”. La cooperazione interreligiosa è quindi molto stretta, anche “per esplorare i valori comuni come persone di fede”. Esempi, in questo campo, arrivano dal confine tra Pakistan e Afghanistan, dove l’Icmc ha avviato “15 diversi programmi sanitari” per i rifugiati.  

I migranti non sono da considerarsi un problema

Di fronte, poi, alle “incertezze” e al “crescente nazionalismo che vediamo nelle società di tutto il mondo”, monsignor Vitillo richiama quanto invocato più volte dal Pontefice: “Incontrare Gesù in ogni migrante e rifugiato e in tutte le persone che si trovano nelle periferie o ignorate e rifiutate dalla cosiddetta società ‘tradizionale’”. Per questo, i cattolici vanno incoraggiati ad essere più consapevoli e ad “integrare nella loro vita di fede, l’insegnamento della nostra Chiesa in relazione ai migranti e ai rifugiati”, perché gli stessi antenati di molti di loro “sono emigrati a causa di persecuzioni, disordini politici e lotte civili, o per una migliore possibilità economica”. Conoscere i rifugiati e i migranti è quindi importante, conclude il segretario generale dell’Icmc, perché “è facile chiamarli semplicemente ‘problema’”, ma quando si arriverà a conoscerli davvero ed a capire che “hanno gli stessi desideri e bisogni che abbiamo noi, allora la resistenza e il rifiuto scompariranno, e si cominceranno a sviluppare molta più accettazione e amore reciproco, come fratelli e sorelle nell’unico Dio”.