Chiesa Cattolica – Italiana

Colombia: il partito delle Farc cambia nome per sostenere il processo di pace

Michele Raviart – Città del Vaticano

Il partito politico delle Farc, le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia, ha deciso di cambiare nome in “Comunes”. La decisione è stata presa dalla seconda assemblea nazionale del partito, nato dopo la smobilitazione dei guerriglieri seguita agli accordi di pace del 2016 con il governo, che avrebbero dovuto porre fine a cinquanta anni di conflitto nel Paese, un conflitto costato più di 260 mila vite e milioni di sfollati. La formazione aveva mantenuto l’acronimo “Farc”, seppure con il significato di “Forza Comune di Alternativa Rivoluzionaria”, ma ha deciso il cambio di denominazione per segnalare in maniera decisa la rottura con il passato.

Un segnale di discontinuità

Il partito, che aveva preso lo 0,38% alle elezioni del 2018, ma ha cinque seggi in parlamento proprio in virtù dell’accordo di pace, sconta un malcontento generale della società colombiana su come sta andando l’applicazione dell’accordo di pace, soprattutto per quanto riguarda il reintegro degli ex-combattenti, esemplificato dal fatto che uno dei maggiori negoziatori degli accordi di pace siglati all’Avana, il numero due delle Farc, Ivan Marquez, ha deciso di riprendere la lotta armata. “Questo partito sente il bisogno di trovare uno spazio di credibilità all’interno della società colombiana”, spiega a Vatican News Gianni La Bella, docente di Storia contemporanea all’Università di Modena-Reggio Emilia e esperto dell’area latino-americana per la Comunità di Sant’Egidio, “e questa operazione di marcare la differenza con gli ex-compagni di partito, che sono ritornati alla lotta armata, è diventata in questo momento una priorità per trovare un minimo di consenso e di spazio politico”.

Ascolta l’intervista integrale a Gianni La Bella

Almeno 3000 i guerriglieri ancora attivi

Fin dall’origine, infatti, non tutti i 30 “blocchi” – raggruppamenti regionali che comprendono dai venti ai cento combattenti – delle Farc avevano aderito all’accordo e si calcola che adesso siano almeno 3000 le persone in armi in Colombia divisi per la maggior parte in tre grandi gruppi combattenti. Non sono mancati gli scontri – se ne contano almeno sei dall’inizio del 2021 – l’ultimo dei quali è costato la vita a quattro giovani in una zona rurale del municipio di Buga, nel dipartimento della Valle del Cauca. I ragazzi sono stati aggrediti da un commando. L’attacco è stato condannato dal presidente colombiano, Ivan Duque, che ha inviato l’esercito e i corpi speciali per scovare gli aggressori. In totale quest’anno si contano 14 morti tra gli assistenti sociali e cinque tra gli ex-militanti delle Farc entrati nel programma di reinserimento in società. Dalla firma degli accordi, invece, le vittime sono almeno 300.

Un accordo messo a dura prova

“Gli accordi di pace sono stati messi a dura prova e non hanno trovato un grosso riscontro in un cambiamento di cultura e di mentalità all’interno della società colombiana”, spiega ancora La Bella. “Da un lato bisognerebbe rimettere al centro l’implementazione vera degli accordi di pace, cioè aiutare con il ritorno alla vita normale queste migliaia di ex-militanti che per ora spesso vivono in campi di transito”, sottolinea, e poi bisognerebbe mettere mano “a quelli che sono un po’ anche i problemi cronici della Colombia: il problema della terra, della distribuzione del lavoro, della giustizia sociale, ma ancor di più ci sarebbe bisogno – e in questo lo spazio e il ruolo della Chiesa è potenzialmente infinito – di una grossa campagna di cultura, di sensibilizzazione. C’è insomma bisogna di una grande predicazione ‘del perdono’, della riconciliazione, che è esattamente il contenuto dei messaggi e dei discordi del Papa durante il suo viaggio in Colombia. Bisogna scrivere una nuova fase, deve nascere una nuova indipendenza, ma questo va fatto con una certa rapidità.

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