Marco Guerra – Città del Vaticano
2446 città di 70 Paesi di tutti i continenti hanno celebrato la ventesima edizione della Giornata internazionale ‘Cities for Life, Città per la Vita – contro la pena di morte’. L’iniziativa è promossa dalla Comunità di Sant’Egidio per diffondere la cultura del rispetto per la vita, allo scopo di arrivare ad un mondo senza pena di morte. L’appuntamento ricorre ogni anno nel giorno in cui il Granducato di Toscana, primo Stato nel mondo, abolì la pena capitale (30 novembre 1786).
Illuminati i monumenti nelle capitali
In 70 capitali di tutto il mondo, tra cui Roma, Madrid, Parigi, Berlino, Manila e Città del Messic,o si sono svolte numerose iniziative che sono culminate con l’illuminazione di alcuni monumenti simbolo, come il Colosseo, sui quali è stata proiettata la scritta “Non c’è giustizia senza vita”. In questi ultimi venti anni il messaggio contro la pena capitale ha fatto breccia nelle opinioni pubbliche del mondo e tra la classe politica, fatto sta che la moratoria sull’uso della pena di morte lo scorso anno è stata votata da 123 Paesi all’Assemblea generale dell’Onu. Le adesioni a ‘Città per la Vita’ sono passate da 69 città nel 2002 alle oltre 2400 del 2021. Ma il dato più importante è che attualmente i Paesi abolizionisti sono diventati 108, a cui vanno aggiunti altri 28 abolizionisti de facto e 8 che lo sono per crimini ordinari. I Paesi mantenitori sono 55. Basti pensare che nel 1988 gli abolizionisti erano appena 35 e i mantenitori 101. Sono stati fatti quindi grandi progressi e solo negli ultimi tre anni la Mongolia, la Guinea, il Burkina Faso, Guatemala, Armenia e altri sette Paesi hanno abolito la pena di morte.
Il webinar a più voci
Per valutare le esperienze positive, i passi intrapresi e il grande lavoro che c’è ancora da fare, nel contesto delle odierne celebrazioni si è svolto il webinar “No Justice Without Life – Per un mondo senza pena di morte”, con la partecipazione attivisti, giuristi e personaggi delle istituzioni da David Sassoli, presidente del Parlamento Europeo a Tawakull Karman, premio Nobel per la pace 2011, a Bessolé René Bagoro, ex ministro della giustizia del Burkina Faso.
Marazziti: governi stanno comprendendo
Il webinar è stato moderato da Mario Marazziti, coordinatore della campagna per la moratoria universale della pena di morte della Comunità di Sant’Egidio, il quale ha messo l’accento sui progressi compiuti in questi due decenni e ha messo in relazione la difesa della vita con lo sforzo profuso dai governi in questo momento per tutelare per popolazioni dal Covid 19. “Siamo dentro l’accelerazione della storia – ha detto Marazziti -, si è fissato un nuovo standard etico per la giustizia, ed è sempre più imbarazzante il ricorso alla pena di morte, una vergogna che ricade sui governi che stanno comprendendo che non possiamo essere mai come chi crea nuove vittime”.
Sassoli: non possiamo rimanere indifferenti
Nel suo intervento, il presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, ha evidenziato che la pena di morte non ha mai fatto da deterrente e che le punizioni capitali sono un fallimento che mortifica i rapporti sociali. “Una pratica inaccettabile contro la quale le istituzioni Ue sono in prima linea”. “Non possiamo essere indifferenti – ha concluso – e non può esserci giustizia senza pieno rispetto diritti umani, il diritto vita deve essere valorizzato in ogni angolo del mondo”.
Tawakkol Karman: pena di morte arma dei regimi
Il Premio Nobel per la Pace, Tawakkol Karman, ha esortato la comunità internazionale a monitorare costantemente l’applicazione della pena di morte e le sue “deviazioni”, perché, ha ricordato l’attivista, questo tipo di punizione è l’arma preferita dei tiranni. “I regimi usano la pena di morte – ha spiegato – come arma e vendetta e non per ottenere giustizia”. “Non si può condannare a morte in sistemi giuridici iniqui – ha aggiunto – opporsi a questa pratica è una delle cose più onorevoli da fare, la vita è un dono di Dio”. Karman ha quindi parlato degli abusi perpetrati in Egitto, Arabia Saudita e in Yemen dove le milizie Houti poche settimane fa hanno condannato numerosi innocenti alla pena capitale.
Bagaro: lo stato deve rifiutare la violenza
Durante l’evento c’è stato anche un breve saluto di Aurelie Placais direttore della Coalizione mondiale contro la pena di morte riunita in questi giorni in Costa d’Avorio. Subito dopo ha preso la parola Bessolé René Bagoro, ex ministro della Giustizia del Burkina Faso, che nel 2018 ha condotto il processo per l’abolizione della pena di morte, basato su quattro presupposti: il ruolo riparatore della giustizia; il reinserimento del condannato; il rifiuto violenza di Stato e infine il riconoscimento del carattere disumano della pena di morte. “Dobbiamo aiutare tutti i Paesi ad abolire pena di morte – ha aggiunto – ma anche i Paesi abolizionisti a non tornare indietro, anche in Burkina Faso dove ci confrontiamo con il terrorismo”.
La storia Antoinette Chahine
L’iniziativa è stata arricchita anche dalla testimonianza di Antoinette Chahine, attivista, ex condannata a morte in Libano. La donna, cristiana libanese, ha raccontato la sua storia: incarcerata per cinque anni e mezzo e condannata a morte perché i fratelli si erano uniti alle milizie libanesi combattenti negli anni Ottanta. Chahine ha subito ogni tipo di tortura e dopo la sua liberazione ha sentito il dovere di impegnarsi per la pace nel suo Paese e per tutti i condannati a morte.
Nessuna giustizia senza processo equo
Durante il webinar è stato proiettato anche un filmato con la toccante testimonianza di Curtis Edward McCarthy, cittadino statunitense che è stato trattenuto ingiustamente 21 anni nel braccio della morte. A seguire ha preso la parola Suzana Norlihan Ujen, attivista e avvocato della Malaysia, che ha raccontato la vicenda di un suo assistito condannato a morte per il possesso di cannabis e salvato dalla stessa Ujen che, nel corso del processo, ha provato gli errori commessi dalla procura. Ujen ha quindi lanciato un appello agli avvocati di tutto il mondo: “Per quanto sembri grave situazione, se si lavora per trovare gli errori commessi dall’accusa si avrà successo. Ricordate non ci sarà mai giustizia senza un processo equo e senza vita”. Infine il vescovo Rubianto Solichin di Padang, in Indonesia, ha parlato dell’attività di Sant’Egidio nel suo Paese, dove la pena capitale è applicata anche nei casi di traffico di droga. Il presule ha concluso sulla necessità di costruire una giustizia “riparativa” che comprenda le cause della criminalità e arrivi a prevenirla.