Michele Raviart – Città del Vaticano
Con il trasferimento dei poteri dall’amministrazione Sebastian Pinera a quella del nuovo presidente Gabriel Boric inizia oggi formalmente una nuova fase della politica cilena. Dopo le proteste dei mesi scorsi continua anche il percorso per redigere una nuova Costituzione, mentre il Paese affronta una nuova ondata di contagi di coronavirus, con i dati più alti dal 2020. Sebbene il Cile abbia più dell’80% della popolazione vaccinata e per le persone più a rischio sia stata somministrata anche una quarta dose, la maggior parte dei cileni ha solo due dosi ed è vulnerabile alla variante omicron. Rimane anche la pressione al confine settentrionale, con migliaia di migranti provenienti dai Paesi vicini.
Ospite negli studi di Radio Vaticana – Vatican News per fare il punto sulla situazione del Paese è monsignor Alberto Lorenzelli, vescovo ausiliare di Santiago:
Eccellenza, qual è il ruolo della Chiesa in questa fase di mutamento del Cile?
Stiamo vivendo un processo di cambiamento non solo culturale, ma anche sociale, politico e diciamo pure religioso e spirituale. È un processo in cui prima di tutto la società ha espresso tutto il dolore per le differenze e le disuguaglianze che ci sono tra coloro che stanno molto bene e quelli che se la passano molto male. Abbiamo poi avviato un processo per una nuova costituzione, con le istanze dei popoli originari, che sono istanze sociali, cambiamenti e tutto quello che riguarda la cultura e le ideologie. Anche a livello religioso e spirituale della Chiesa viviamo un momento di incertezza. Prima di tutto perché abbiamo vissuto dolorosamente tutto quello che ha significato il tema degli abusi, non solo sessuali, ma spirituali e di coscienza, che hanno portato lentamente ad una sfiducia verso la Chiesa come istituzione. Non credo che ci sia una crisi di fede, almeno nel popolo dei credenti, però la credibilità della Chiesa è venuta lentamente a mancare, e quindi il suo ruolo in questo processo di grandi cambiamenti si fa molto più difficile.
Quali sono le istanze che la Chiesa sta portando avanti?
La Conferenza episcopale ha scelto, su alcuni temi particolari, di essere presente nella Costituente e di poter dire la sua parola sulla libertà religiosa e sul riconoscimento di quei valori della vita, dalla nascita alla morte, dell’educazione – con la possibilità che siano i genitori a stabilire quale metodo educativo vogliono per i loro figli – nel rispetto di alcune di quelle libertà che già sono promosse nell’attuale costituzione. La conferenza episcopale ha presentato dei documenti anche alla Costituente sul tema delle migrazioni. Il Cile sta vivendo in questo momento una pressione molto forte di gente che viene dal Venezuela, dalla Colombia, da Haiti e dall’Equador e che preme sulle frontiere, sia chi ha ottenuto i permessi sia moltissimi che tentano di poter entrare nel Paese. Purtroppo questo ha creato tensioni e sappiamo che molte volte c’è il rifiuto dei cileni stessi. Si sono accampati in città come Iqique e c’è stata una reazione abbastanza violenza e inaccettabile della popolazione locale.
In questo fenomeno dell’immigrazione c’è un ruolo attivo della Chiesa?
Nella diocesi di Arica e di Iqique, che sono nell’estremo Nord dove c’è il punto di maggior pressione, c’è la presenza dei gesuiti che hanno un’attività per i migranti. Poi ci sono le vicarie episcopali sociali che stanno agendo non solo con il governo per l’accettazione di queste persone, ma tentano anche di accogliere e creare una cultura dell’accoglienza che non è sempre facile. Si occupano delle loro prime necessità appena arrivano e poi li accompagnano perché non cadano, soprattutto i più giovani, in mani sbagliate, perché accade molte volte. In questo anche un gran lavoro lo stanno facendo i padri scalabriniani.
C’è anche una sorta di recrudescenza di casi e morti, purtroppo, di coronavirus. Qual è la situazione in questa nuova fase della pandemia?
Già più dell’85% della popolazione, anche considerando i bambini, è vaccinata almeno con due dosi. In questo momento, pur essendo estate, c’è un aumento della variante Omicron che sebbene non abbia provocato molte morti, ha provocato invece molti contagi. Oggi 35 mila nuovi casi, che è molto per una popolazione di 17 milioni di abitanti e soprattutto con un’ampia vaccinazione. La Chiesa, soprattutto con i lavoratori della Università Cattolica, l’università pontificia, ha fatto un gran lavoro su questo. Abbiamo avuto anche momenti molto belli, che ci hanno fatto prendere coscienza di quello che stavamo vivendo. Non solo la pandemia ha provocato situazioni di povertà, di dolore, di morte, di sofferenza, ma alcune di queste cose c’erano già prima e questo ci ha permesso di aprire gli occhi e dire che questo dolore, questa sofferenza, questa povertà era già in atto. La pandemia ha reso più acuta la situazione. Nella nostra diocesi di Santiago ben 33 sacerdoti si sono offerti per accompagnare i malati di Covid negli ospedali, dando l’unzione degli infermi, mantenendo i contatti con le famiglie perché erano isolati. Nessuno è rimasto contagiato e hanno potuto accompagnare molti fino all’ultimo saluto in cimitero. Questo credo che sia un primo segno di carità pastorale. Poi si sono attivate le parrocchie, che hanno distribuito a tanta gente il pranzo e la cena, tutti i giorni. Hanno cucinato quelle che noi chiamano “le pentole comuni” anche, ma non solo, per le persone di strada. Hanno portato il cibo a molte famiglie che veramente hanno vissuto un’esperienza difficile, distribuendo delle scatole di alimenti casa per casa. In Cile, poi, la pastorale è soprattutto una pastorale molto sacramentale e la pandemia ci ha permesso di creare una pastorale un pochino più ampia, quella della Parola di Dio. Gli incontri fatti in maniera virtuale, con la lettura della Parola di Dio, il commento, la riflessione hanno suscitato motivazioni nuove nella pastorale. Però certamente, come dicevo all’inizio, la Chiesa deve fare un grande sforzo per ricostruire quel tessuto di fiducia e credibilità che ha perso. Si sta facendo un cammino, tanti sforzi, molti documenti, perchè il tema dell’abuso non si ripeta.