Don Fernando Carannante, da 24 anni in servizio volontario nella casa circondariale femminile napoletana, assicura ancora l’assistenza spirituale alle “sorelle detenute”. Dopo le scosse di terremoto, il provveditore delle carceri della Campania ha disposto la chiusura dell’istituto per qualche anno per consentire lavori di ristrutturazione
Roberta Barbi – Città del Vaticano
20 maggio 2024, ore 20.10: la terra trema in Campania, siamo nell’area Campi Flegrei, tra Napoli e Pozzuoli. La gente di qui è abituata alle scosse, ma questa appare da subito più forte, arriverà a misurare magnitudo 4.4. Molti hanno paura e si riversano in strada, scappano, il più lontano possibile. A Pozzuoli c’è un carcere storico, giuridicamente è una casa circondariale femminile, una delle poche strutture in Italia dedicate alla detenzione delle donne, fiore all’occhiello nell’ambito del reinserimento al lavoro grazie alla torrefazione delle Lazzarelle e a una sartoria, ma non solo. “Le ragazze hanno avuto molto coraggio quella sera, al di là della paura, nel farsi guidare dalle agenti e nel farsi mettere in sicurezza, hanno affrontato l’emergenza con serenità”, testimonia a Radio Vaticana-Vatican News don Fernando Carannante, accanto a loro da 24 anni.
Un’emergenza gestita alla perfezione
Le ospiti del carcere di Pozzuoli hanno fatto tante esercitazioni, ma quando la minaccia diventa reale, è un’altra cosa. Quella prima notte alle detenute uscite in permesso di lavoro è consentito dormire a casa; per le altre vengono preparati giacigli all’aperto, all’addiaccio. La situazione dello stabile già da subito non appare delle migliori, così la direttrice decide di trascorrere la notte nella struttura, accanto alle sue ragazze: “Sono cappellano qui da 24 anni e posso testimoniare che c’è e c’è sempre stata un’attenzione amichevole alle ospiti – racconta don Fernando – tutto questo sempre nel dovuto rispetto dei ruoli, ma che non nega l’umanità, l’affetto, talvolta l’amicizia, i tentativi reciproci di comprendersi e soprattutto di mettersi a servizio l’uno dell’altro”.
Il 30 maggio disposta la chiusura di Pozzuoli
Seguono, poi, le opportune verifiche sul grado di agibilità del palazzo. Il responso arriva il 30 maggio ed è una doccia fredda: chiusura. Così le detenute, che già il giorno successivo al sisma erano dovute salire sui pullman per raggiungere gli altri istituti della Campania e non solo – anche Milano, Roma e Perugia – che le avrebbero ospitate, adesso sono smarrite e non sanno quando né soprattutto dove potranno tornare. “Era già stato molto triste vederle andare via, erano circa 145, perché qui ci consideriamo una grande famiglia – dichiara il cappellano – ora sono stato contattato dal cappellano di Bollate, dove ne sono arrivate alcune, e mi aggiorno continuamente con quelli di Lauro e Secondigliano. Fortunatamente il Dipartimento ha autorizzato chi, come me, gode dell’ex articolo 78, di poterle andare a trovare negli altri istituti dove sono state temporaneamente sistemate”. L’articolo dell’Ordinamento penitenziario cui fa riferimento il sacerdote consente al magistrato di sorveglianza di autorizzare persone idonee a frequentare gli istituti di pena con l’obiettivo di partecipare ad attività di risocializzazione, sostegno morale e reinserimento: in pratica disciplina l’ingresso degli assistenti volontari, che a Pozzuoli sono circa 120.
Il cappellano itinerante
La chiusura del carcere di Pozzuoli è un vero e proprio dramma per le detenute, sia perché molte di loro sono state trasferite, come detto, anche molto lontano da casa e dagli affetti, sia perché quelle che lavoravano in carcere o in contesti vicini ad esso ora saranno costrette a interrompere il lavoro, e così viene meno di fatto l’obiettivo stesso del carcere che è la rieducazione di chi lo abita e la restituzione alla società di una persona riabilitata. Anche il cappellano per un po’ sarà un cappellano ‘itinerante’, ma don Fernando non si scoraggia: “Un cappellano penitenziario sa che dovrà sempre affrontare sfide difficili – afferma – da sempre mi occupo anche dei bisogni materiali delle ragazze, in carcere con gli altri volontari gestivamo una boutique completamente gratuita dove potevano trovare ciò che occorreva loro, nel rispetto della dignità della donna. Ora tutto quello che c’era l’ho portato dalle suore, pian piano ci riorganizzeremo per distribuirlo nelle varie strutture. A Lauro c’è un gruppo nutrito delle nostre ospiti, tra loro ce ne sono molte che tra l’altro hanno intrapreso un serio cammino di fede; un altro gruppo è stato portato a Secondigliano dove mi dicono che forse potranno essere trasferite tutte quante”.
Cappellano di tutti
Già, perché adesso aleggia anche lo spettro della chiusura definitiva e della riconversione ad altro uso dell’edifico storico che ospitava il carcere femminile di Pozzuoli, fatto che danneggerebbe in primis le strutture lavorative che con il tempo vi sono state attivate. “Il problema è per tutti, per le ragazze ma anche per il personale, penso alle giovani poliziotte penitenziarie che con le ospiti avevano costruito un buon rapporto e che ora dovranno lavorare altrove – ricorda don Fernando – spesso in questi giorni passo davanti al carcere e scambio qualche parola con le agenti che stanno fuori di guardia. Cerco di far sentire loro che il cappellano c’è, perché io sono il cappellano di tutti”.