di Rosario Capomasi
«Non si può essere cristiani senza essere ecumenici, è l’insegnamento di Gesù. Per questo dobbiamo cercare insieme un comune Signore avvicinandoci sempre di più a Lui». La strada da percorrere è ben indicata da Erica Sfredda, valdese, nuova presidente del Segretariato attività ecumeniche (Sae) e prima donna non cattolica a essere nominata alla guida dell’associazione interconfessionale di laici e laiche. Impiegata nella Divisione finanze del Comune di Torino è membro attivo della Chiesa valdese dove ricopre il ruolo di predicatrice locale.
Qual è il cammino ecumenico che il Sae è chiamato ad affrontare?
Innanzitutto promuovendo sempre l’interconfessionalità, rappresentando tutti alla pari con le altre Chiese. La mia elezione, del resto, ha espresso la piena convinzione dei soci che è arrivato il momento di rafforzare questo concetto, e che anche in un Paese a maggioranza cattolica si può interloquire su un piano di rispetto e uguaglianza tra mondo ortodosso, cattolico romano e protestante, favorendo il dialogo senza nessuna discriminazione.
Un ecumenismo alla portata di tutti, quindi.
Sì, cercando di raggiungere anche quelle persone che ancora diffidano dell’aspetto ecumenico, come se avessero paura di aprirsi ad altre confessioni religiose. Conquistare con l’esempio e il confronto i dubbiosi è un compito che ci affascina ma che richiede profondo rispetto per la fede altrui. Un obiettivo che io e la mia équipe ci proponiamo di raggiungere è proprio la differenziazione: non siamo tutti e tutte uguali e ciò che colpisce l’attenzione di qualcuno può essere invece di difficile comprensione per altri. Questo deve essere il leit motiv del nostro operato, da affrontare non solo nella sessione estiva, vero e proprio momento di confronto e formazione, e in quella primaverile, dove l’associazione riflette sul proprio percorso, ma anche in filoni particolari che affrontino la questione. Un tema che ho approfondito e che conosco fin dalla giovinezza, essendo nata da una famiglia con padre metodista e mamma valdese, catechista, e avendo avuto la fortuna di partecipare alle sessioni del Sae al Passo della Mendola, dove ho conosciuto la fondatrice dell’associazione, Maria Vingiani, facendo propri i suoi insegnamenti.
Altri obiettivi?
Il Segretariato attività ecumeniche vuole continuare ad essere “sale e lievito della terra”. Diciamo che il delicato problema dell’intercomunione e le tematiche legate alla salvaguardia del creato, di cui parla spesso Papa Francesco, saranno all’ordine del giorno nelle prossime sessioni di lavoro. Per quanto riguarda il primo tema, bisogna mantenere costantemente una posizione di grande rispetto verso la Chiesa cattolica e quella ortodossa, non forzare mai la mano di fronte a una questione che causa molte sofferenze a tanti credenti: molti la richiedono a gran voce, sentendosi pronti a una comunione non solo spirituale, nelle preghiere, ma anche “fisica”. Non dimentichiamoci mai di ascoltare il pianto di quanti vogliono l’intercomunione, di quanti cercano l’“unità nella diversità”. Accanto a questi obiettivi, poi, seguiremo sempre con particolare attenzione il fenomeno della violenza sulle donne, sia con eventi online da noi organizzati sia partecipando ad altri. Non ultimo, il dialogo sempre aperto con il mondo ebraico, proseguendo sulla strada tracciata dalla fondatrice anche nei confronti di altre fedi. In tante nostre sessioni, infatti, hanno partecipato spesso esponenti non solo di questa religione ma anche musulmani, induisti, buddhisti. È l’accoglienza la parola chiave, amarci gli uni gli altri incondizionatamente, come ci ha insegnato il Salvatore.
Nel processo ecumenico che ruolo ricoprono i giovani?
Loro sono i nostri interlocutori privilegiati perché ancora non “appesantiti”, non “contaminati” da troppe convinzioni, hanno una grande libertà di pensiero. All’ultima sessione di formazione ecumenica tenutasi a Camaldoli lo scorso luglio abbiamo molto apprezzato la loro presenza, partecipativa e significativa. Consideriamo che la situazione attuale, tra pandemia, scuola a distanza e crisi occupazionale, li rende fragili e timorosi per il futuro. Per questo dobbiamo renderli protagonisti nel dialogo ecumenico, coinvolgerli in iniziative e investendo su di loro. È una scommessa sul domani: ricordiamoci che non sono solo il futuro del Sae e dell’ecumenismo in Italia ma sono già adesso la Chiesa. Non possiamo trascurare il loro senso critico, la loro vivacità, la loro curiosità perché ciò rappresenta una benedizione, una grande opportunità di crescita reciproca per giovani e meno giovani. Anzi nel rapportarsi tra persone di diversa età, nello scambio di vedute, si può costruire un qualcosa che rimane per sempre.