Alla Facoltà di Teologia di Lugano dell’Università della Svizzera Italiana, il 30 agosto, workshop sulla comunicazione religiosa e le sfide poste del metaverso e dai nuovi strumenti offerti dalla tecnologia. Il professor Adriano Fabris a Vatican News: se le reti di relazione aumentano le possibilità di contatto non devono però sostituirsi alla vita concreta
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
La Chiesa e i nuovi strumenti di comunicazione, internet e l’evangelizzazione: se ne è parlato oggi, 30 agosto, alla Facoltà di Teologia di Lugano dell’Università della Svizzera Italiana (Usi), dove l’Istituto ReTe (Religioni e Teologia) ha organizzato il workshop “Comunicazione religiosa e ambienti digitali. Seconda giornata di studi”. L’obiettivo è quello di esplorare in modo critico le prospettive teoriche e pratiche emerse dalla trasformazione dei mezzi di comunicazione e dal digitale, considerando il fatto che la Chiesa, nella sua missione di diffondere il Vangelo a livello globale, ha riconosciuto in internet uno strumento di evangelizzazione ed anche un nuovo “continente” con una cultura “nativa”, che richiede una negoziazione per una comunicazione efficace e positiva.
La Chiesa e la nuova comunicazione digitale
Quanto all’evoluzione verso il Web 2.0, ai social network e all’utilizzo sempre più diffuso dei dispositivi mobili, per la Chiesa sono una ulteriore sfida, per questo l’incontro di Lugano ha proposto il seminario “Sviluppi e limiti delle religioni digitali”, condotto da Adriano Fabris e da Marco Menon, entrambi della Facoltà di teologia di Lugano dell’Usi, che ha esaminato le nuove sfide del metaverso e della trasformazione digitale delle pratiche comunicative religiose, con particolare attenzione al ruolo della Chiesa cattolica e alla presenza cristiana negli spazi digitali. Nel pomeriggio, poi, il confronto su “Le trasformazioni della comunicazione religiosa: stampa, cinema, internet” con gli interventi di monsignor Dario Viganò, vice cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze, Vincenzo Corrado, direttore dell’Ufficio per le Comunicazioni Sociali della Conferenza Episcopale Italiana, e il professor Ruggero Eugeni, ordinario di Semiotica dei Media all’Università Cattolica di Milano.
Circa le opportunità che la comunicazione e gli ambienti digitali possono offrire alla Chiesa, il professor Fabris spiega, a Vatican News, che ce ne sono tante, ma aggiunge che la fede ha sempre comunque bisogno di un faccia a faccia.
In che modo la Chiesa cattolica può essere una vera presenza cristiana negli ambienti digitali?
La Chiesa cattolica è sempre stata una presenza in ambito comunicativo, questo fa parte della sua storia, questo fa parte, diceva il decreto Inter mirifica, del suo dovere essere presente per l’annuncio nella dimensione della comunicazione. Adesso gli ambienti digitali sono la nuova frontiera, i nuovi ambiti in cui è possibile proporre l’annuncio cristiano e la sfida è quella di essere effettivamente all’altezza di questi nuovi strumenti di comunicazione e di questi ambienti. Che cosa c’è di nuovo? Si tratta non semplicemente di usare degli strumenti o dei media, cioè dei mezzi di comunicazione, ma di abitare in maniera assolutamente nuova gli ambienti digitali. Abitare vuol dire essere in grado di creare relazioni, relazioni feconde, anche in ambiti non della realtà fisica, non del corpo, ma della realtà virtuale, vale a dire di qualche cosa che si avvicina alla dimensione dello spirito.
La Chiesa da sempre è annuncio, ma come proporlo?
Questa è veramente una delle grandi sfide. La Chiesa ha sempre fatto il suo annuncio contestualizzando, cioè calandolo all’interno dei vari ambiti culturali, all’interno dei diversi contesti in cui l’esperienza cristiana, l’esperienza di fede, può crescere. Qui ci troviamo di fronte a degli ambienti artificiali, cioè creati, in qualche modo, da programmi che hanno determinate regole, che identificano e promuovono determinati comportamenti, proprio perché ci sono specifici programmi che, per interagire, chiedono all’essere umano di comportarsi in un certo modo. Ci sono opportunità e rischi. La Chiesa ha sempre sottolineato gli aspetti positivi da sfruttare e i rischi da evitare. Gli aspetti positivi da sfruttare, in questo caso, sono l’aumento, la moltiplicazione delle relazioni che vengono rese possibili, i rischi sono la possibilità di una perdita della presenza. La fede, infatti, ha bisogno del faccia a faccia. Dunque può cambiare la forma di presenza, ma non può essere tagliato via il radicamento nel corpo e nella vita concreta di ciascun cristiano.
Quanto è stata importante in questi ultimi anni la presenza della Chiesa nel web e come può evolversi?
La Chiesa è stata fin da subito attenta a questi sviluppi. Ricordiamo, all’inizio degli anni 2000, due documenti importantissimi: “Etica in internet” e “La Chiesa in internet”. La Chiesa ha non solo utilizzato questi strumenti per annunciare, per essere più presente, più visibile, a livello comunicativo all’interno dell’annuncio, ma li ha usati anche – specialmente gli sviluppi del web 2.0 e i social network – per creare reti di relazione sempre più ampie. La cosa importante è che queste reti di relazione aumentino le possibilità di contatto e di collegamento, magari per poter raggiungere anche persone che fisicamente non partecipano, e non che diventino sostitutive. Quindi è un’aggiunta e un ampliamento, è un potenziamento ciò che viene offerto dalle tecnologie comunicative di tipo digitale, ma non una sostituzione. Se questo accade emergono tutta una serie di problemi che comunque è possibile gestire.