Chiesa Cattolica – Italiana

Chiesa e democrazia: l’intervento del Presidente della CEI

Pubblichiamo il testo dell’intervento del Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI, alla presentazione del libro “Chiesa e democrazia” di Mons. Mario Toso, che si è tenuta il 12 giugno a Roma all’Università degli Studi Link. 

Il libro di Mons. Mario Toso “Chiesa e democrazia” ci aiuta a comprendere la storia di un abbraccio tra la Chiesa e la democrazia che non è stato pacifico. Dobbiamo arrivare al Radiomessaggio natalizio di Pio XII del 1944 per avere una sorta di battesimo della democrazia per la Chiesa cattolica, senza il sospetto di cadere nel relativismo. Dagli anni ’60, soprattutto con l’enciclica Pacem in terris (1963) e con la lettera apostolica Octogesima adveniens (1971), c’è stato un importante approfondimento. Non è mai un rapporto definito una volta per tutte. Cambia, si affina il contenuto stesso di democrazia, che viene vista come attitudine dello spirito e considerata nella sua positività, come possibilità di dialogo, come occasione per fare spazio all’altro, come incontro fecondo. Anche per questo non può non preoccupare il dato della partecipazione al voto, uno dei segni e delle conseguenze della crisi della democrazia. Non possiamo smettere di interrogarci, né accettarla come un dato ineluttabile: cittadini lontani dalle urne vuol dire una democrazia in difficoltà o, se vogliamo, la richiesta di maggiore democrazia, non il contrario. Non accettiamo una cultura diffusa che disprezza o, quantomeno, considera di poco conto la democrazia rappresentativa, che si esercita piuttosto a gestirla che a difenderla, che tende più a far pesare le opinioni sui social. Spesso prevale una politica ridotta a spettacolo, motivo per cui bisogna difenderla e rilanciarla, non farla diventare evanescente.

La democrazia “è un’attitudine dello spirito. Detto altrimenti, trova la sua più profonda radice e il suo alimento morale nell’animo dei cittadini. Richiede un profondo rispetto della persona altrui. Domanda che vi sia apertura agli altri, spirito di collaborazione, intraprendenza, responsabilità da parte di tutti, sensibilità nei confronti del bene comune, ispirazione cristiana”. È la bellissima Dottrina sociale della Chiesa. Questa non è di parte, è la parte. Non è esclusiva, è di tutti. Per difendere la laicità non si usa la spada, ma la vita, il cuore, la mente, le mani. La bellezza si impone ed è chiarissima, senza ambiguità, libera, non si piega agli interessi, ma piega gli interessi all’attenzione alla persona.

La Chiesa italiana ha affrontato più volte il tema della democrazia nelle Settimane Sociali. Si pensi a quella del 1945, con l’Italia che cercava di voltare pagina dopo la Seconda guerra mondiale. I cattolici si sono ritrovati a Firenze riflettendo su “Costituzione e costituente”, dando forza alle idee che erano state condivise nel Codice di Camaldoli del luglio 1943. Nel 1964 a Pescara, in pieno Concilio Vaticano II, si è ragionato di “Persone e bene comune nello stato contemporaneo”. Nel 1993 a Torino si è discusso di “Identità nazionale, democrazia e bene comune” e nel 2004 a Bologna si è trattato ancora di “Democrazia: nuovi scenari, nuovi poteri”. Arriviamo quest’anno a Trieste, con la 50a Settimana Sociale dei cattolici in Italia: “Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro”. La democrazia è il filo rosso che ha attraversato la storia del nostro Paese dopo l’esperienza del totalitarismo fascista. I cattolici hanno preso sul serio il loro impegno politico, trovando nella partecipazione democratica la risposta alla domanda di istituzioni capaci di favorire la promozione del bene comune. Non è un caso che la visione cristiana abbia contribuito, insieme a quella comunista-socialista e liberale, alla straordinaria sintesi ideale della Costituzione, dove la grande lungimiranza dei padri ha permesso che vi fosse una alta condivisione di quello che univa. Anche oggi l’auspicio rivolto a tutti è che se ne rispetti lo spirito che ha portato all’elaborazione del testo. Certo che si può cambiare – è previsto, se necessario – ma questo è auspicabile che avvenga con lo stesso spirito, scrivendo con l’inchiostro di quella visione e di quei valori.

Nella Costituzione è chiaro che la persona è sempre sociale, mai un’isola e la persona è legata al noi, non è un utente di diritti individuali, ma gode di questi sempre dentro un sistema che lo unisce al popolo. L’Art. 2 ricorda che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. L’Art. 4: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Il demos non è evanescente, sottomesso all’ego. Molto cattolici hanno visto la possibilità di coniugare impegno politico e centralità della persona. La democrazia è garanzia dei diritti più profondi dell’uomo.

Il patrimonio accumulato nel nostro Paese ha visto prima l’esperienza storica della Democrazia cristiana, che si è conclusa nel 1993, e poi ha conosciuto la frammentazione e la divisione in diversi schieramenti e partiti. All’interno di una stabile e sostanziale fedeltà alla democrazia, siamo giunti a differenti opzioni con inevitabili dibattiti. In ogni epoca siamo chiamati a leggere i segni dei tempi anche in campo politico. Fare discernimento è proprio della coscienza credente, per esprimere la testimonianza evangelica nelle strade della storia. La Settimana Sociale di Trieste vedrà la presenza del Presidente Sergio Mattarella e di Papa Francesco, a sottolineare un traguardo importante (la 50ª Settimana Sociale) ma anche il valore di un tema così delicato. Viene da chiederci: ha ancora senso difendere e promuovere la partecipazione democratica? Quale democrazia in questa stagione storica promuove la centralità della persona? Viene in mente quanto ci suggerisce il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa: “Il governo democratico è definito a partire dall’attribuzione, da parte del popolo, di poteri e funzioni, che vengono esercitati a suo nome, per suo conto e a suo favore; è evidente, dunque, che ogni democrazia deve essere partecipativa. Ciò comporta che i vari soggetti della comunità civile, ad ogni suo livello, siano informati, ascoltati e coinvolti nell’esercizio delle funzioni che essa svolge” (CDSC 190).

Oggi è come se ci trovassimo per strada su una rotonda, più che a un bivio. Nel mondo la democrazia si presenta con molteplici volti. Ogni anno l’Economist pubblica i dati sullo stato della democrazia nel mondo. Quasi la metà della popolazione mondiale vive in un sistema democratico (45,4%), ma solo il 7,8% vive in piena democrazia e più di un terzo della popolazione mondiale vive sotto un regime autoritario (39,4%). Il Democracy Index stabilisce la seguente classificazione: ci sono Paesi a democrazia completa, dove le libertà civili e politiche sono rispettate e, grazie a un sistema di pesi e contrappesi, i vari poteri funzionano in modo indipendente. Le democrazie imperfette sono caratterizzate da libere elezioni ma con una partecipazione sempre più scarsa e talora si segnalano problemi circa la libertà di informazione. L’Italia si colloca tra questi ed è al 31° posto in classifica. Ci sono poi i regimi ibridi, dove puntualmente si verificano irregolarità nelle elezioni, libere solo di facciata. Sono nazioni con un’opposizione controllata, la magistratura non indipendente e la corruzione estesa. Infine, i regimi autoritari non conoscono libertà e pluralismo. Si tratta di dittature assolute con violazioni delle libertà civili, elezioni non libere e media assoggettati al regime.
Queste distinzioni dell’Economist aiutano ad avere un quadro completo e a percepire differenze sostanziali, ma ci fanno capire anche i rischi della democrazia attuale. Mons. Toso lo mette bene in evidenza nel suo testo. Il pericolo, infatti, è quello di costruire democrazie procedurali, senza contenuto. Una scatola vuota dove ciascuno si sente libero, ma anche svincolato dai valori. Questa visione ci presenta una democrazia minimalista, senza sguardi profetici e senza una concezione ampia della comunità. Finisce per essere attratta da una cultura di morte e non di vita, quasi ne ha paura, scambiando il paradosso della libertà individuale come pienezza dell’io. Non è l’onnipotenza dell’io a farlo stare bene, ma l’altro; lo specchio – se è narciso – uccide l’io, se è l’altro lo fa vivere. Se togli le sponde non giochi a biliardo, dice Gallese con i suoi neuroni a specchio.  In verità, la libertà è sì un valore, ma in quale direzione la esercitiamo? Per esempio, non si dice dello stato di salute del welfare, dell’importanza della solidarietà verso i poveri, della scelta condivisa in materia fiscale, della gravità delle leggi a tutela della centralità della persona umana dal concepimento alla morte naturale. La democrazia è sempre in cammino e va costruita in ogni epoca. Talvolta rischiamo di retrocedere in serie B, se vengono calpestati valori fondamentali come la vita, se non è tutelato il lavoro, se è negato l’accesso alla sanità e se la scolarizzazione è per pochi.

Mons. Toso evidenzia che la democrazia deve fare i conti con i valori e la struttura di una società. Alla base vi è una visione antropologica che ha un impatto sulle scelte e sulla qualità delle relazioni. Le disuguaglianze, le povertà, i conflitti sociali, la cultura dello scarto nella sanità o nella scuola, l’ingiustizia sociale, la mancanza di sussidiarietà… trovano terreno di coltura in concezioni individualistiche della persona e in una visione astratta della libertà, separata dai legami sociali.

Il libro di Toso critica una democrazia “a bassa intensità”, che favorisce le disuguaglianze e fa crescere la cultura dell’indifferenza e dello scarto. In tal modo, i partiti si riducono ad essere comitati d’affare. La democrazia entra in crisi se non trova realizzazione “ad alta intensità”, ossia risponde alla dignità della persona. Negli incontri coi movimenti popolari, non ultimo quello di Verona dello scorso 18 maggio, Papa Francesco ha elogiato chi ha il coraggio di costruire una democrazia dal basso, fondata sull’intraprendenza dei poeti sociali. Essi non accettano la rassegnazione di essere emarginati, ma preferiscono creare luoghi di confronto per elaborare idee e proposte sul lavoro, sulla società, sull’economia, sull’ecologia, sulla pace e sulla politica. L’economia che uccide strumentalizza, mentre la democrazia inclusiva pone attenzione ai poveri, si impegna per l’ecologia integrale e costruisce la pace e la fraternità tra i popoli.

Il 4 dicembre 2021 al Palazzo presidenziale di Atene Papa Francesco ha detto: “Questa è la direzione da seguire, che un padre fondatore dell’Europa indicò come antidoto alle polarizzazioni che animano la democrazia ma rischiano di esasperarla: “Si parla molto di chi va a sinistra o a destra, ma il decisivo è andare avanti e andare avanti vuol dire andare verso la giustizia sociale” (A. De Gasperi, Discorso tenuto a Milano, 23 aprile 1949). Un cambio di passo in tal senso è necessario, mentre, amplificate dalla comunicazione virtuale, si diffondono ogni giorno paure e si elaborano teorie per contrapporsi agli altri. Aiutiamoci invece a passare dal parteggiare al partecipare; dall’impegnarsi solo a sostenere la propria parte al coinvolgersi attivamente per la promozione di tutti. Dal parteggiare al partecipare. È la motivazione che ci deve sospingere su vari fronti: penso al clima, alla pandemia, al mercato comune e soprattutto alle povertà diffuse. Sono sfide che chiedono di collaborare concretamente e attivamente. Ne ha bisogno la comunità internazionale, per aprire vie di pace attraverso un multilateralismo che non venga soffocato da eccessive pretese nazionaliste. Ne ha bisogno la politica, per porre le esigenze comuni davanti agli interessi privati. Può sembrare un’utopia, un viaggio senza speranza in un mare turbolento, un’odissea lunga e irrealizzabile. Eppure il viaggio in un mare agitato, come insegna il grande racconto omerico, è spesso l’unica via”.
Ecco due elementi da recuperare nelle nostre democrazie: il passo spedito verso la giustizia sociale e il passare dal parteggiare al partecipare. A ben pensarci sono due conversioni che ci riguardano da vicino. La qualità della democrazia si gioca intorno alla capacità di valorizzare questi atteggiamenti. La nostra nasce da Camaldoli. Non solo, ma da lì. È questo lo spirito che pensiamo indispensabile, anche pensando alla necessità di una Camaldoli europea. Occorre combattere gli squilibri occupazionali e distributivi che sono frutto di disuguaglianze crescenti. Inoltre la fraternità è negata dalla “terza guerra mondiale a pezzi” e dalle chiusure rispetto ai flussi migratori. Eppure, c’è uno stretto rapporto tra democrazia e libertà: la prima non può esistere senza la seconda e può svilupparsi solo se si sprigiona da una libertà responsabile e solidale.

Mons. Toso esorta a superare la dispersione e la frammentazione così diffuse. I cattolici sono presenti in tutti gli schieramenti e in tutti i partiti politici. Il Vescovo di Faenza invita ad organizzarsi e a non dimenticare che per avere una chance di cambiare le cose occorre generare consenso e coinvolgere in un’idea che sia una visione. Altrimenti ci si condanna all’insignificanza. Con ogni probabilità, c’è da aspettarsi che a Trieste il tema tornerà e si potrà discutere apertamente della collocazione politica dei cattolici. La Chiesa viene prima dei partiti. Si avverte l’urgenza di disinnescare le bombe dovute alla priorità di indossare casacche di appartenenza per mettere al primo posto il comune legame con la comunità cristiana. Il Cammino sinodale che stiamo vivendo ce lo ricorda ogni giorno di più. Tali doni possono fare la differenza per trovare convergenze. Proprio l’atteggiamento del consenso e della convergenza può far nascere una casa politica per il cattolicesimo italiano. Ciò comporta la capacità di mettere da parte le proprie preferenze personali, di camminare insieme e di fare dell’opzione preferenziale per gli ultimi il criterio di azione.

Ci deve far riflettere il fatto che Francesco metta tra le virtù fondamentali della politica la tenerezza. Tutti siamo convinti che la politica sia per persone forti, coraggiose e decisioniste. L’enciclica Fratelli tutti al n. 194 ricorda che la tenerezza “è l’amore che si fa vicino e concreto. È un movimento che parte dal cuore e arriva agli occhi, alle orecchie, alle mani”. Abbiamo bisogno di una politica che si chini sulle ferite delle persone e se ne faccia carico. Perché tutto questo si realizzi, occorre una buona dose di immaginazione. Ci manca o la sentiamo presente? Ricordo anche quanto ci suggerisce la sapienza orientale di Lao Tze: “L’uomo, quando entra nella vita, è tenero e fragile; quando è morto, è rigido e duro. Per questo i rigidi e duri diventano messaggeri della morte e i teneri e fragili sono i più credibili messaggeri della vita”. Del resto, siamo discepoli di Cristo crocifisso, mite e umile di cuore e non di un Cristo che schiaccia e opprime. Ne deriva uno stile di politica che sembra essere dimenticata anche nelle democrazie odierne: al centro ci deve stare la cura della comunità o l’affermazione leaderistica del personaggio?
Come scrive il Documento preparatorio in vista della Settimana Sociale di Trieste: “Per cambiare le cose serve innanzitutto il coraggio di una visione profetica che, alla luce della Parola di Dio, attraverso il discernimento ecclesiale, sappia tracciare il cammino. Serve immaginare di poterle cambiare: ecco la virtù di chi sa stare dentro il suo tempo, senza lasciarsi schiacciare dal presente, ma traendo pensiero e ispirazione dalla propria storia, per agire e generare futuro. L’immaginazione non appartiene solo al mondo della letteratura e dell’arte, e non è un passatempo effimero per chi non ha problemi più seri da affrontare. L’immaginazione è un’attitudine dello sguardo che parte dalle cose, dalla realtà e «vede oltre»; scorge connessioni, individua soluzioni, connette elementi all’apparenza distanti”.

La domanda diventa: cosa possiamo immaginare? Non chiudiamoci sulle nostre visioni parziali, ma apriamoci all’ascolto dello Spirito e mettiamoci in cammino. Ci aspetta un tempo creativo. L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Non possiamo rimanere rassegnati e tristi. Non è la stagione per gli spettatori alla finestra. La politica non è un concerto a cui assistere in poltrona. È piuttosto uno spettacolo teatrale dove tutti sono chiamati a stare sul palco per fare la loro parte. Da protagonisti, all’altezza delle sfide, perché la guerra e la logica che la precede, la chiusura in prospettive limitate offendono la persona e quindi Dio, sempre nella laicità della quale la Chiesa è ben consapevole e, direi, garante.

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