Alessandro Gisotti
“Oggi, malgrado tutto, riaffermiamo la nostra convinzione che la fraternità è più forte del fratricidio, che la speranza è più forte della morte, che la pace è più forte della guerra”. Il 5 marzo del 2021 iniziava il viaggio apostolico di Papa Francesco in Iraq. Un viaggio da molti sconsigliato per motivi di sicurezza, da altri temuto per il rischio di “fallimento”, considerate le divisioni interne alla società irachena, e il non sempre facile dialogo tra le diverse religioni presenti nel Paese. Quella visita, fortemente voluta dal Pontefice, è stata – nonostante le preoccupazioni della vigilia – un successo. Anzi di più: è stato un viaggio-messaggio che ha sottolineato come la pace sia possibile, la convivenza necessaria e che – come affermato da Francesco in una Mosul devastata dalla ferocia dell’Isis – la fraternità, malgrado tutto, è più forte del fratricidio. Le parole pronunciate un anno fa in una delle aree più martoriate del pianeta risuonano oggi profetiche, come un monito, mentre nel cuore dell’Europa si combatte una guerra distruttiva, scatenata dall’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo. Le sofferenze sono immani come insostenibile è il debito di vite umane recise da questo conflitto. L’ordine stesso delle cose ne risulta sconvolto perché, come già constatava amaramente Erodoto, “in tempo di pace i figli seppelliscono i padri, in tempo di guerra sono i padri a seppellire i figli”.
Mai come prima, se non forse durante la Crisi dei missili a Cuba nel 1962, l’umanità teme un’escalation militare che tracimi pericolosamente in un nuovo conflitto globale. Una follia aliena alla ragione eppure ora paventata come possibile. E tuttavia, già molti anni fa – per lo più inascoltato – il Papa aveva messo in guardia da una Terza Guerra Mondiale combattuta “a pezzi”: dalla Siria allo Yemen, dall’Afghanistan all’Iraq. Elenco a cui ora si aggiunge tragicamente l’Ucraina. Instancabilmente, Francesco ha levato la voce in questi quasi nove anni di Pontificato in favore dei popoli oppressi dal flagello delle guerre, specie di quelle dimenticate perché combattute lontane dai centri di potere o nel disinteresse dei grandi mezzi di comunicazione. Quante volte il Papa ha lanciato appelli per i bambini dello Yemen, vittime innocenti di un conflitto brutale. Quante volte ha ricordato il dramma della Siria e quante iniziative ha messo in campo – di preghiera, umanitarie e diplomatiche – per quel popolo che da oltre dieci anni non conosce pace.
“Chi fa la guerra dimentica l’umanità”, ha detto domenica scorsa all’Angelus con il cuore straziato per l’Ucraina. Chi fa la guerra, ha soggiunto, “non guarda alla vita concreta delle persone”, ma “si affida alla logica diabolica e perversa delle armi, che è la più lontana dalla volontà di Dio”. Ed è anche la più lontana dalla logica della fraternità, che accetta pazientemente l’altro così come è in quanto figlio dello stesso Padre. Papa Francesco visitando, nel settembre del 2014, il Sacrario militare di Redipuglia nel centenario della Prima Guerra Mondiale denunciò l’assurdità della guerra sottolineando che “è folle perché il suo piano di sviluppo è la distruzione”. In questi giorni, dall’Ucraina stravolta dall’invasione militare russa, arrivano immagini proprio di questa distruzione che non risparmia nessuno. E l’interrogativo che si fa più angosciante giorno dopo giorno è: per quanto ancora?