Don Mathieu Bondobo riflette con i media vaticani sul futuro economico, politico ed ecclesiale del Paese, esprimendo gratitudine ma al contempo preoccupazione per gli accordi governativi tra Russia e diversi Stati del Sahel per far arrivare il grano necessario a sostenere la popolazione locale. Dal sacerdote un invito alla leadership a garantire trasparenza
Jacques Ngol e Antonella Palermo – Città del Vaticano
“Che ci sia pace sull’intera nazione, e che la Chiesa resti sentinella sul futuro”. È l’auspicio che don Mathieu Bondobo, parroco della cattedrale di Bangui e vicario generale dell’arcidiocesi, condivide con i media vaticani per il futuro della Repubblica Centroafricana che, sottolinea, ha bisogno di crescere e consolidarsi sulle proprie gambe, in autonomia. Un augurio che si accompagna alla gratitudine, da una parte, e dalla preoccupazione, dall’altra, sugli accordi governativi firmati da alcuni Stati del Sahel con la Russia far arrivare dalla Russia il grano necessario a sostenere la popolazione locale.
Che le scelte politiche aiutino la crescita autonoma del Paese
“Lancio un appello ai nostri governanti: fare delle scelte che aiutano il Paese a svilupparsi, e a contare su se stesso. Dobbiamo arrivare a una indipendenza nel senso profondo del termine”, afferma il sacerdote alla luce dell’avanzamento, militare e commerciale, della penetrazione russa nella nazione africana e nel Sahel. In particolare, la riflessione di Bondobo nasce dall’invio, da parte della Russia, di un carico di 50 mila tonnellate di grano alla Repubblica Centrafricana – come rende noto il Ministero degli Esteri russo – nell’ambito delle decisioni sull’estensione dell’assistenza umanitaria a una serie di Stati africani adottate al secondo vertice Russia-Africa di San Pietroburgo nel luglio 2023. Lo sbarco di due navi è stato completato nel porto della città di Douala (Camerun) il 25 gennaio. Bangui e Yaounde hanno raggiunto un accordo per macinare il grano in farina nel territorio del Camerun e successivamente trasportarlo nella regione della Repubblica Centrafricana. “Per un Paese che esce da una guerra è normale che entri in accordi di cooperazione con altri Paesi perché lo aiutano a svilupparsi”, osserva Bondobo. “In questo caso, dunque, i cereali russi sono benvenuti. Però precisa poniamo una domanda: cosa c’è dietro?”.
Garantire in sicurezza il rientro dei rifugiati
Don Mathieu si sofferma poi sulla guerra in Centrafrica che ha generato un esodo forzato di migliaia di persone che ora attendono di tornare nel proprio Paese. La speranza è che questo sia presto fattibile: “Vedo come il governo e alcune Ong stanno lavorando bene per facilitare il rientro di di questi rifugiati”, dice e sottolinea l’impegno che anche la Chiesa mette in campo in questo ambito a favore di chi è stato costretto a lasciare la nazione. “Ovviamente bisogna creare le condizioni per accoglierli, creare le strutture perché possano rilanciarsi nella vita sociale”. Peraltro, ancora numerose sono le zone in cui è pericoloso andare. È meglio che il rientro si faccia dove la sicurezza è più garantita, spiega, e invita le istituzioni affinché si diano da fare per sostenere la pace su tutto il territorio dello Stato. “Chiedo ai miei fratelli e alle mie sorelle centrafricane di vivere l’unità. Se si vive insieme si vince. E che la Chiesa – rimarca ancora il sacerdote – sia anche sempre una sentinella che guarda da lontano e che indica la via giusta da seguire”.
La Chiesa coltivi il dialogo e l’unità
Riguardo alla situazione della Chiesa in Centrafrica, il vicario generale di Bangui esprime soddisfazione perché, dopo 130 anni di evangelizzazione, “tanti figli e figlie, tanti movimenti e gruppi mostrano una fervente spiritualità che aiuta a vivere la fede in modo dinamico”. Certo, è anche “una Chiesa che deve sempre imparare. Dobbiamo uscire definitivamente dalle nostre abitudini. A volte chi si avvicina alla fede da adulto fa fatica a lasciarsi tutto dietro”, afferma. Il suo auspicio è che Chiesa in Centrafrica, così come lo a livello civile, si impegni “per crescere in autonomia senza aspettare che gli aiuti arrivino da altrove, è anche una questione di maturità e di responsabilità, questa. Secondo me è una sfida su cui bisogna lavorare”. Elogia, infine, il prezioso dialogo interreligioso che si percepisce nel Paese, e prima ancora, lo spirito di solidarietà, l’ospitalità: attitudini di un popolo che già predispongono ad aprirsi agli altri. “È un grande aiuto per noi il dialogo interreligioso: dalla crisi nel 2013, che sembrava una crisi religiosa, e non lo è, questo ci ha aiuta a capire che uniti siamo forti. Bisogna puntare sulle cose che ci uniscono mostrando che è possibile lavorare insieme nello spirito della Fratelli tutti“.