Ccee, monsignor Massafra: un confronto continuo tra le Chiese europee

Vatican News

Giancarlo La Vella – Città del Vaticano

Il Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE) è un organismo pastorale, ma che dialoga con tutte le realtà sociali e politiche del Vecchio continente. Lo afferma monsignor Angelo Massafra, presidente della Conferenza episcopale albanese, nell’intervista a Radio Vaticana-Vatican News. “Per una Chiesa piccola come la nostra – afferma il presule – è poi molto importante il confronto con le altre Chiese più grandi. Questo ci consente di arricchire la nostra visuale sui problemi del momento, di trovare soluzioni nuove. È dunque un’esperienza di comunione e condivisione”.

Ascolta l’intervista a monsignor Angelo Massafra

Monsignor Massafra, qual è l’esperienza della Chiesa albanese all’interno delle CCEE?

Noi facciamo parte di una piccola Chiesa, quella d’Albania, però, nel confronto con gli altri presidenti delle Conferenze episcopali europee, entriamo in contatto con tanti problemi, tante cose positive, abbiamo tante relazioni. La nostra mente si arricchisce, si apre e non si rischia di rimanere nella propria realtà. È un’esperienza molto bella di comunione, di riflessione, di coinvolgimento, di stimolo, di memoria, ma anche di proposizione, per cui è un organismo molto interessante. Poi ogni singola Conferenza attua nella propria nazione le indicazioni che vengono dal documento finale, prodotto da noi stessi e poi approvato prima di essere pubblicato.

Esperienze e realtà dunque diverse a confronto, pur se appartenenti allo stesso continente. Quali sono oggi le problematiche dell’Albania?

L’arrivo nella CCEE dei Paesi dell’Est, dopo la caduta del comunismo, ha fatto sì che questo organismo funzioni con due polmoni, come diceva san Giovanni Paolo II: il polmone della Chiesa d’Occidente e quello della Chiesa dell’Europa dell’Est. In tutti i Paesi ex comunisti c’erano da risolvere tante problematiche, come la giustizia, la solidarietà, l’istruzione dei giovani, lo sviluppo economico. Su tutti questi argomenti ci siamo confrontati all’interno del Consiglio e ne è scaturito un arricchimento delle Chiese nazionali. Attualmente abbiamo questo rischio della pandemia che ha colpito anche l’Albania. Quindi, con tutta la nostra difficoltà economica, noi siamo comunque vicini con le nostre istituzioni ai poveri. La gente ha subito anche il terremoto di due anni fa e gli albanesi sono un po’ scoraggiati, infatti si registra la partenza dall’Albania di tante famiglie, di tanti giovani, di tanti adolescenti. Questo è un grosso problema, però questo comporta anche da parte dello Stato un impegno maggiore per aumentare i posti di lavoro, migliorare la giustizia e tante altre problematiche che non dipendono direttamente da noi. Noi facciamo la nostra parte, però noi siamo una piccola realtà nella società albanese e anche il mondo civile deve fare la sua parte.

L’Albania ha vissuto 30 anni fa il momento doloroso della guerra civile e dell’esodo di tanti giovani. Come avete vissuto quel periodo?

Trent’anni fa ero in Puglia, sono francescano, e proprio lì abbiamo accolto tanti albanesi. C’era questa grande fuga dal comunismo, un regime che ha distrutto le persone e la nazione, poi c’è stato l’avvento della democrazia. Quando sono andato in Albania, all’inizio degli anni ’90, c’era povertà e miseria, però anche una gran gioia di vivere, perché avevano messo da parte un regime liberticida, che impediva di incontrarsi ad esempio in due o in tre. Quindi è stato un cammino veramente grande. Oggi secondo me, grazie a chi ci ha aiutato, allo Stato, chi viene in Albania vede una nazione che si è molto sviluppata. Occorre però uno sviluppo non solo economico, ma anche culturale e sociale che metta in evidenza il bene comune, la solidarietà e la giustizia. Allora dobbiamo insistere molto sul fatto che il bene comune oggi va realizzato insieme, soprattutto ora che la pandemia ha frenato parecchio il progresso che stavamo portando avanti. Io vedo un cammino molto interessante, che però dovrebbe svilupparsi in modo più giusto. Oggi in Albania c’è chi è molto ricco e chi è molto povero.

Con quale spirito l’Albania guarda al processo di integrazione europea?

È vero che ci sono tanti standard che non abbiamo ancora raggiunto, tuttavia noi chiediamo di darci una mano, di darci un piccolo posto in Europa. Questo ci porterà a seguire un cammino virtuoso. Sono stati fatti dei passi avanti, ma bisogna insistere e quindi le diplomazie europee ci facciano avviare un cammino serio con i dovuti controlli, affinché il processo di integrazione si porti a compimento quanto prima. Quanto più tardiamo, peggio è.