Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
In una giornata di primavera a Strasburgo, frontiera europea tra la Francia e la Germania che si confrontarono con terribili guerre, vent’anni fa, il 22 aprile 2001, veniva firmata la “Charta Œcumenica – Linee guida per la crescente cooperazione tra le Chiese in Europa”. Un documento fondamentale redatto e sottoscritto da 250 delegati del continente, la metà responsabili di chiese, l’altra metà giovani, con l’obiettivo di preservare e sviluppare la fratellanza tra le Chiese europee e far fronte alle sfide del Continente.
Le celebrazioni di Ccee e Cec per l’anniversario della Charta
Per celebrare il ventesimo anniversario della Charta, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente del Ccee (Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa), e il reverendo Christian Krieger, presidente della Cec (Conferenza delle Chiese Europee), hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui rendono grazie a Dio “per la pace” sperimentata in questi anni, come pure “per le conquiste del movimento ecumenico globale”. Dalle 19 alle 20.30 di questa sera, entrambi parteciperanno ad un momento ecumenico online. Proprio il cardinale Bagnasco illustra l’attualità del documento, il cui anniversario della firma cade in un momento sospeso e drammatico quale quello della pandemia, che ha fatto emergere profonde disuguaglianze sociali ed economiche, particolarmente in Europa.
R. – Quanto più il mondo mostra le sue fragilità, le difficoltà anche gravi e le delusioni di un cammino unitario di solidarietà, d’intesa, di proficua collaborazione, tanto più le religioni, in particolare le confessioni cristiane, sono impegnate e hanno la responsabilità di dare un messaggio contrario. Contrario vuol dire far vedere che è possibile e che è anche bello poter camminare insieme nel dialogo, nella crescente fiducia reciproca, nella preghiera gli uni per gli altri, all’interno delle diverse confessioni cristiane e all’esterno, per i nostri popoli del Continente. In questo momento storico della sciagura pandemica è una responsabilità che cresce anche per noi in questa prospettiva.
Nella sua dichiarazione con il reverendo Krieger si parla di “conquiste del movimento ecumenico globale”, ma al contempo di “vecchie e nuove divisioni” nella Chiesa che “hanno bisogno di guarigione”. Quali sono queste divisioni e che cosa si sta facendo per superarle?
R. – Tutti quanti noi, ovunque, qualunque religione, sia la nostra o filosofia, viviamo dentro ad una storia, ad un mondo, ad una società e, in qualche modo, è inevitabile che ne risentiamo. Le difficoltà del mondo civile, lo scontro di ideologie, culture, gli organismi che rivelano spesso fragilità ed inefficienze, possono riverberarsi su tutti i corpi presenti nella società e nel mondo, quindi anche sulle comunità religiose. È un elemento che è connaturale al vivere umano e alla storia degli uomini, una interconnessione – come ha ricordato spesso anche il Papa – di tutte le realtà esistenti nel nostro pianeta. D’altro canto, quanto più ci sono difficoltà ad intendersi e camminare insieme, tanto più siamo chiamati a intensificare gli sforzi, la fiducia e la preghiera in queste direzioni.
Rispetto a vent’anni fa, sono sopraggiunte le recrudescenze degli estremismi religiosi. Abbiamo assistito ad orribili crimini e attentati. Tanto che il Papa ha parlato di un nuovo tipo di ecumenismo, l’“ecumenismo del sangue”. A questo come si fa fronte, come reagiscono le religioni?
R. – Reagiscono con una presenza costante, continua, nonostante tutto, nei vari Paesi, nelle zone del mondo in cui queste violenze anti religiose, anti cristiane, hanno una loro recrudescenza. Il primo modo per reagire è proprio la resistenza delle comunità cristiane a non disperdersi e a rimanere. Lo vediamo, ad esempio, in Iraq, in parte anche in Siria e via dicendo. Questa è una prima reazione che dovrebbe essere intesa dal mondo, soprattutto quello occidentale, in modo molto più attento e non distratto. Oltre a questo, sia all’interno che all’esterno delle comunità cristiane, c’è sempre stato un filo conduttore che è la fraternità, che si traduce in solidarietà e carità.
A proposito di fraternità, tra i temi maggiormente promossi da Papa Francesco e auspicata dalla Carta: è possibile realizzarla oggi o rimane un obiettivo a lungo termine?
R. – Se per fraternità intendiamo il volerci bene, lo stimarci a vicenda, il cooperare nelle forme possibili, certamente. Se si intende per fraternità l’unità nella stessa fede e nelle stesse verità della fede, questo è un altro discorso, sono due livelli diversi. La forma della fraternità nella preghiera, nella carità, nella solidarietà, nel martirio, come ricorda il Papa, questa è doverosa, è possibile e sta camminando.
Un esempio concreto di fraternità ecumenica, negli scorsi anni, è stato quello dei corridoi umanitari ai quali hanno contribuito Chiese evangeliche e cattoliche. Ci saranno altre iniziative simili?
R. – Le iniziative buone, stando le necessità perduranti, devono continuare e continueranno sicuramente. Non sono un monopolio di nessuno, ma un dovere per tutti.