Chiesa Cattolica – Italiana

Caritas in Ucraina: una Via Crucis che va avanti da un anno e mezzo

Prosegue l’incessante lavoro dell’organizzazione nel Paese distrutto dal conflitto. Il direttore esecutivo padre Vyacheslav Hrynevych e il responsabile per l’Identità e Rete don Andriy Nahirniak, raccontano l’impegno accanto al popolo che soffre per la guerra: “Sono gli occhi dei bambini e delle persone che aiutiamo che ci permettono di portare la croce e di continuare a sperare”

Svitlana Dukhovych – Città del Vaticano

A quindici mesi dall’invasione russa dell’Ucraina, a raccontare la tragedia del conflitto sono ancora una volta i numeri, come quelli forniti da Caritas-Spes e da Caritas Ucraina (le due Caritas ucraine, la prima della Chiesa romano-cattolica la seconda dalla Chiesa greco-cattolica) che insieme, in poco meno di un anno e mezzo, hanno fornito oltre 7, 3 milioni di servizi sociali. Il numero delle persone colpite dalla guerra, sia nelle zone dei combattimenti, sia nelle città e nei villaggi che subiscono continui attacchi, è in costante aumento e senza l’aiuto e la solidarietà di tante organizzazioni internazionali, dei governi e delle persone di buona volontà, la situazione umanitaria sarebbe molto più grave.

I bisogni delle persone aumentano

Il responsabile per l’Identità e Rete della Caritas dell’Ucraina, don Andriy Nahirniak, spiega che per capire la quantità delle persone che hanno bisogno di aiuto basta guardare alle cifre degli sfollati interni: “Prima della guerra in Ucraina abitavano circa 36 milioni di persone, nel maggio del 2022, a due mesi dallo scoppio della guerra, c’erano più di 8 milioni di sfollati interni. A dicembre scorso il loro numero era sceso a circa 6 milioni, ora ce ne sono circa 5,3 milioni. Una diminuzione dovuta alla volontà delle persone di rientrare nei loro territori, ora liberati, e nelle loro case”. A questo ritorno, aggiunge il sacerdote, non corrisponde però una diminuzione dei bisogni, “anzi forse sono addirittura aumentati, perché in aggiunta alle necessità primarie, ora c’è la ricerca di aiuto per ricostruire le case distrutte”.

Don Andriy Nahirniak,

La cura delle ferite

Le due Caritas sono impegnate a fornire medicine e kit alimentari, alloggi temporanei e pasti caldi, assistenza per la ricostruzione delle case e molto altro, arrivando fino al sostegno psico-spirituale per intervenire sulle ferite invisibili. È padre Vyacheslav Hrynevych, SAC, direttore esecutivo di Caritas-Spes Ucraina a spiegare che la cura della dimensione spirituale si ispira ai valori fondamentali della Caritas. “Quando aiutiamo le persone – racconta – cerchiamo di passare con loro un po’ di tempo, per ascoltarle e per mostrare la nostra attenzione, cosicché possano sentire che Dio si prende cura di loro. Alcune persone, poi, chiedono di unirsi a noi, di poter aiutare e diventare volontario. Cerchiamo così di mostrare questo volto della Chiesa che è vicina alla persona”. La cura della dimensione interiore è all’origine del progetto, come racconta ancora padre Vyacheslav, che prevede vacanze all’estero per i bambini direttamente colpiti dalla guerra, anche con la perdita dei genitori. “È per permettere loro di prendersi una piccola pausa dalle sirene antiaeree e dal conflitto”.

Padre Vyacheslav Hrynevych, Caritas-Spes Ucraina

Costruire la pace

I traumi personali vissuti durante la guerra possono riflettersi a livello sociale, per questo, come indica ancora don Nahirmiak, è importante prevenire ed aiutare a superare i conflitti all’interno della società. Uno dei progetti di Caritas Ucraina è volto a rafforzare la coesione sociale, aiutando, da un lato, le comunità locali a risolvere i loro problemi interni e, dall’altro, incoraggiandole al servizio sociale. Si cerca, in questo modo, di guarire le anime anche attraverso il programma peacebuilding, dedicato al superamento delle tensioni nelle comunità generate soprattutto da tre criticità individuate dagli operatori della Caritas: la questione della lingua, la questione dell’accesso agli aiuti umanitari e la questione delle tradizioni e della cultura. “Dobbiamo essere consapevoli di tutti questi problemi, – aggiunge Nahirmiak – per garantire la pacifica convivenza nelle nostre comunità, perché convivenza pacifica vuol dire unità e noi abbiamo bisogno di costruire unità a livello di villaggi e città. È in questo modo che si costruisce l’unità del nostro Paese, che inizia anche con la famiglia”.

Le ferite delle famiglie

Di costruzione della pace parla anche padre Hrynevych: “Questo non riguarda solo il nostro atteggiamento nei confronti dei russi – spiega – perché è un po’ prematuro parlarne, bisogna aspettare il momento della giustizia. Si tratta invece, ad esempio, di costruire relazioni in una famiglia in cui il marito è in guerra e la moglie è all’estero. Anche qui la pace deve essere coltivata, perché la famiglia possa ricongiungersi, perché il marito, che ritorna dal fronte, spesso con la sindrome post-traumatica, ha bisogno di ritrovare il proprio posto in una famiglia che è stata divisa dalla guerra. Questi processi sono molto complessi e noi vogliamo aiutare le persone perché la missione della Caritas è guarire le ferite e le cicatrici che ne rimarranno per alcune generazioni”.

Prendersi cura degli operatori

Dall’inizio dell’invasione, il numero di progetti realizzati dalle due Caritas in Ucraina è aumentato in modo significativo e, di conseguenza, è aumentato anche il numero dei dipendenti e dei volontari. Come tutti gli ucraini, anche loro stanno vivendo le tragedie e le difficoltà provocate dalla guerra e anche loro necessitano di attenzione e cura. È con tanta tristezza che don Andriy Nahirniak ricorda la morte di alcuni dipendenti di Caritas Mariupol, nel primo mese di guerra: “Per noi è stata una tragedia”. L’attenzione per i dipendenti ed i volontari ha spinto la Caritas dell’Ucraina ad aprire una nuova posizione, quella di staffcare, ossia di una persona che fornisca consulenze psicologiche, che organizzi incontri e corsi di formazione e programmi di riabilitazione spirituale. “Questo è un elemento molto importante, perché se non abbiamo gli operatori, non potremo aiutare le persone che hanno bisogno”.

La Via Crucis che dura da oltre quindici mesi

“È un momento molto difficile per noi, – prende ancora la parola padre Hrynevych – è difficile lavorare quando ci sono gli attacchi e i bombardamenti, perché, da una parte, dobbiamo pensare alla nostra sicurezza, e dall’altra cappiamo che dobbiamo continuare il nostro lavoro, perché le persone aspettano il nostro aiuto”. Anche per il giovane sacerdote si fa sentire l’aumento del volume di lavoro e delle responsabilità. A sostenerlo, spiega, è la grande dedizione dei suoi collaboratori. “Per loro non è un lavoro, è un servizio, perché sono a disposizione 24 ore su 24 e sono pronti ad assumersi la corresponsabilità”. In questa situazione sono molto importanti i momenti di condivisione, quando tra colleghi si può parlare di dolore, di speranze e si riesce a dare un senso a quello che si vive. “Sono giunto alla conclusione che per noi questa è una vera Via Crucis, che va avanti da quasi un anno e mezzo – è la conclusione di padre Vyacheslav – ogni giorno si può cadere e poi ci si rialza… A volte vorresti solo cadere sotto il peso di questa croce e non alzarti più, vorresti solo nasconderti, perché ti senti veramente stanco. E lo siamo tutti. Ma poi ti ricordi che questa è la tua prima linea, il tuo fronte, quello della responsabilità sociale, e capisci che senza di te un certo numero di persone non riceverà aiuto, che per un certo numero di persone il Signore non sarà capace di agire, perché noi siamo uno strumento del Signore. E allora ti alzi e continui a camminare. E durante questo cammino incontri Veronica, che ti asciuga il volto, incontri Simone di Cirene, che ti aiuta a portare la croce. E così la portiamo insieme. E cosa succederà dopo? Noi speriamo che ci sarà un momento di resurrezione. In realtà, questo è ciò che dà la Chiesa: la speranza. La buona notizia è che in realtà ci sono molte persone in tutto il mondo che ci supportano e ci aiutano. E quando vedi gli occhi dei bambini che tornano dalle vacanze che abbiamo organizzato all’estero, o gli occhi delle persone che sono state aiutate, è davvero un incoraggiamento, ed è questo ci spinge a continuare a servire”.

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