Michele Raviart – Città del Vaticano
Teologia e pastorale, il rapporto tra il campo della riflessione e quello dell’azione sono alle radici del magistero di Papa Francesco, “uomo pieno di Spirito e quindi pieno di intuizioni che non fanno della pastorale né qualcosa di estemporaneo, né della teologia un sistema chiuso o completo in sé stesso”. Da questo spunto, declinato nelle dimensioni della Chiesa e della società contemporanea partono le riflessioni affrontate nel volume “Francesco, pastore e teologo”, pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana e presentato questo pomeriggio a Palazzo Pio, che raccoglie gli interventi del convegno su questo tema, svoltosi a Barcellona nel novembre 2019 su iniziativa dell’Ateneo Universitario Sant Pacià.
Pastore e teologo al servizio della Chiesa
Fin da quando Papa Francesco era “solo” il cardinale Bergoglio, e ad Aparecida in Brasile disse che la presenza del popolo di Dio nel santuario mariano aveva fatto sentire diversi i vescovi latinoamericani riuniti nel 2007, per arrivare all’ultimo viaggio in Slovacchia della settimana scorsa, quando ai giovani di Kosiçe spiegò di guardare al Sacramento della Confessione come guardare ai nostri peccati ma a Dio che ci accoglie e protegge, l’intera biografia di Jorge Mario Bergoglio è costellata di esempi in cui “lo stretto legame tra teologia e pastorale caratterizza il suo ministero al servizio della Chiesa cattolica”. A scriverlo è il cardinale Juan-Josè Omella Omella, arcivescovo di Barcellona e presidente della Conferenza episcopale spagnola, presente questo pomeriggio alla presentazione del volume e che a Vatican News spiega in che modo, appunto, Francesco riesca a coniugare in sé sia la figura di teologo che quella di pastore.
“Credo che Papa Francesco ci insegni ad aprire gli occhi e a guardare in profondità la realtà del mondo, perché il teologo è colui che in qualche modo mette gli occhiali della fede per vedere quello che stiamo vivendo, capire quanto è profondo e aiutarci a scoprire la presenza del Dio che cammina con l’uomo. Questa è la teologia, non una cosa solo speculativa. E’ dare una visione alla vita quotidiana, ai problemi della nostra vita, una visione di fede e vedere e scoprire come il Signore sta camminando con noi, costruendo con noi un mondo nuovo, un mondo di speranza.
Potremmo dire che questo è anche un frutto del Concilio Vaticano II, che chiede anche una teologia più incarnata e di saper portare il messaggio di Gesù Cristo alle situazioni concrete e applicarlo per illuminare la realtà contemporanea?
“È ovvio. Da un lato, il documento conciliare Gaudium et Spes ci fa scoprire questa visione positiva del mondo. La creazione che Dio ha messo lì per farci godere della bellezza e lavorare per essa. Questa visione positiva ci aiuta a guardare il mondo in modo diverso e a impegnarci nel mondo con un atteggiamento diverso, sempre basato sulla fede, che ci porta a scoprire il Dio incarnato che cammina con l’umanità. Perché alla fine è il Vangelo che ci dice: “Andate in tutto il mondo e io sarò con voi fino alla fine del mondo”.
Ci sono persone che hanno posto una dialettica tra teologia e pastorale, dicendo che il Papa è più un pastore che un teologo, ma attraverso il suo pontificato Papa Francesco si è rivelato anche un teologo. Quali sono quei punti della sua teologia che possiamo dire si rivelano più propriamente nel suo approccio pastorale?
“Beh, ce ne sono molti. Credo che abbiamo un esempio nella convocazione del Sinodo per tutta la Chiesa, che è un mistero di comunione, in tensione missionaria, come diceva Giovanni Paolo II, con la partecipazione di tutti, laici, religiosi, sacerdoti, non solo dei grandi specialisti dell’università o dei preti, ma di tutti. E per cosa? Per la missione di evangelizzazione. Credo che questa sia la grande teologia, che si incarna realmente nella pastorale di Papa Francesco. Questa è la nostra missione pastorale dal Vangelo e dalla riflessione teologica, è la comunione tra tutti, la partecipazione di tutti alla missione”.
Una delle parole che Papa Francesco usa costantemente è quella di “popolo. Come allora il popolo può beneficiare della grazia di Dio e anche mettersi al servizio degli altri come soggetto attivo?
“La teologia appare nelle persone semplici, quando ci si apre al mistero di Dio, quando si vive a partire da Dio. Quando si vive in contatto con Dio, si scopre tutta la teologia, si scopre tutta la presenza di Dio, tutta l’azione di Dio nel mondo, che è fondamentalmente teologia e pastorale. Ho paura di una teologia che sia solo speculativa e ho paura di una pastorale che sia solo azione e non sia riflessione e non sia visione in profondità e che nasca dalla preghiera. Credo che le due cose debbano essere assolutamente unite e il Papa ce lo insegna”.
Lei ha detto che questo Papa parla a tutti, in questo senso, come parla alla società secolarizzata?
“Credo che la cosa più bella che il Papa ci sta insegnando è il linguaggio dell’amore e l’amore per i più piccoli, i più esclusi e i più abbandonati della nostra società, e questo tutti lo capiscono. Ricordo un giorno a Madrid un tassista che mi portò dalla stazione alla Conferenza episcopale, non ero ancora cardinale, ma ricordo che si girò – era un uomo con i capelli completamente rasati, una barba molto lunga e molti anelli alle orecchie – e mi disse: ‘oggi voglio ringraziarvi per il Papa che avete eletto’. Risposi che doveva ringraziare quelli che l’avevano eletto, perché io non ero un cardinale. E lui rispose. ‘Non mi interessa, lei è un prete, quindi mi permetta di congratularmi con lei perché questo Papa mi ha riconciliato con la Chiesa’. Lì ho capito tutto, un pastore che ama, che accompagna, che va avanti dicendo dove andare, ma che non impone, che va con la gente condividendo la vita della gente, che è capace di andare sull’autobus, sul tram, sulla metro, e che va a raccogliere i più poveri e i più semplici, credo che la gente segue quel pastore e lo capisce perché questo è il linguaggio dell’amore”.