Chiesa Cattolica – Italiana

Card. Zuppi: si fermi l’orrore della guerra

L’8 maggio, il Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI, ha presieduto la Santa Messa e la Supplica alla Beata Maria Vergine del Santo Rosario di Pompei. Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia.  

Papa Francesco ieri ci ha indicato un compito, in unione come sempre con tutta la Chiesa: alzare da questa casa di Maria, casa di preghiera e di carità, di fede e di amore, la supplica alla Madonna del Rosario che il Beato Bartolo Longo volle dedicare alla pace. Siamo sincronizzati, in diversi luoghi ma con la stessa preoccupazione e ripetendo le stesse parole. Supplichiamo con l’insistenza della povera vedova che cerca giustizia da quel terribile giudice iniquo, spietato che rende spietati, che è la guerra. La volontà di Dio è un mondo di pace. Senza pace non c’è vita. Maria, Madre di Dio e madre nostra, ci ricorda che siamo fratelli tutti perché per lei tutti sono suoi figli. Caino non ha riconosciuto suo fratello, non ha imparato a dominare il suo istinto, anzi si è lasciato guidare da questo, non ascoltando la voce di Dio che pure continua a parlare! La guerra è questo istinto e ha sempre un’incubazione: cresce con la rassegnazione di fronte ai problemi, con il cinismo di rimandarli e fare finta che non esistano, con i terribili interessi economici che spingono gli uomini a costruire lance invece di falci, a distruggere i granai e costruire follemente nuovi arsenali e nuovi ordigni per distruggersi.
Sento oggi questa casa e questa piazza accogliere tutta questa enorme sofferenza; la facciamo nostra e la presentiamo, con Maria, al Signore. La supplica esprime l’attesa della creazione che soffre e grida la pace. Pompei ci insegna un amore universale, perché casa di Maria, madre di Dio venuto per tutti, che insegna ad amare tutti e che protegge i suoi piccoli, gli affamati, assetati, nudi, malati, carcerati, forestieri. Quando cerchiamo Maria, la troviamo sempre sotto la croce del suo Figlio Gesù e sotto le croci di ognuno dei suoi figli, quelli che Gesù stesso ha affidato a lei e a noi. E la vediamo madre addolorata sotto la nostra croce, ci darà consolazione. Stando con Lei capiamo di più la guerra. A volte siamo come la folla che osserva quel povero uomo appeso sulla croce, non contemplando Gesù ma solo uno sconosciuto, un numero, uno “senza volto”, un nemico, un corpo. Vediamo la sofferenza con gli occhi della madre! Maria è la prima che sotto la croce supplica che venga presto la resurrezione della pace, della guarigione, della luce che vince le tenebre, della vita che trionfa nel suo duello contro la morte.
Sessanta anni fa, San Giovanni XXIII disse: “Possano i responsabili delle Nazioni ascoltare il desiderio della gente che soffre e vuole la pace!”. Come vicario umile e indegno di colui che è il Principe della pace (Cf. Is 9,6), sentiva il “dovere di spendere tutte le nostre energie per il rafforzamento di questo bene” (Pacem in terris, 90). Sono anche le nostre parole, spendiamo anche noi tutte le nostre energie per il rafforzamento di questo bene. Il Papa buono implorava: “Allontani egli dal cuore degli uomini ciò che la può mettere in pericolo; e li trasformi in testimoni di verità, di giustizia, di amore fraterno. Illumini i responsabili dei popoli, affinché accanto alle sollecitudini per il giusto benessere dei loro cittadini garantiscano e difendano il gran dono della pace; accenda le volontà di tutti a superare le barriere che dividono, ad accrescere i vincoli della mutua carità, a comprendere gli altri, a perdonare coloro che hanno recato ingiurie; in virtù della sua azione, si affratellino tutti i popoli della terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace” (Pacem in terris, 91). Ecco le parole della nostra supplica. Qualche volta restiamo a fissare il cielo per non guardare la durezza della realtà, incerti di fronte a tanta manifestazione del male, pensando che la fede e la speranza siano possibili solo in un mondo lontano invece di viverle in questo minaccioso com’è. L’angelo ci scuote sempre.
Il cristiano non è un uomo fuori dalla storia. Anzi: in un mondo dimentico e volatile, che fugge dalle responsabilità e non ha visioni, il cristiano entra nelle pieghe della vita vera, scende nei problemi per cercare lì la presenza del Signore e perché le piaghe trovino guarigione. Oggi siamo noi riuniti con Maria, siamo la sua famiglia di discepoli chiamati e mandati, perseveranti e concordi nella preghiera. Questa ci rende consapevoli dell’amore di Dio e forti di questo, anche perché “chi non ama rimane nella morte”. Non c’è via di mezzo. “Chiunque odia il proprio fratello è omicida”. Il seme del male è sempre terribile e purtroppo fertile. Ma anche quello dell’amore ha una forza straordinaria! Chi prega è aiutato a dare la vita per i fratelli e ad amare non a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità, perché la verità di Dio è l’amore. “Nulla è impossibile a Dio”. Nulla è impossibile a chi crede, se pieno dell’amore di Dio! Non accettiamo la logica di non fare nulla, che spinge a restare a guardare il cielo. Seguiamo Maria, l’umile che compie le cose più grandi, che supplica, che non si abitua al dolore, che vuole guarigione e pace.
La supplica ci spinge ad essere operatori, artigiani di pace. Questa casa, di preghiera e di carità, questa città di pace ci viene in aiuto. Qui tutto parla di amore perché, come ha saggiamente scritto il vostro caro Vescovo Tommaso, è “città mariana”, non solo un insediamento ben riuscito, ma un “punto luce proiettato sullo scenario del mondo”. Intorno a questa casa nasce e può sempre rinascere la città degli uomini, perché la fede cambia la vita, restituisce vita e futuro al mondo intero! Basta un granellino di fede! Il mio, il mio seme è l’inizio di un mondo nuovo! Bartolo Longo, laico, innamorato di Maria, costruisce una città non più spenta e nascosta dalla cenere del male, ma una “Nuova Pompei”, dove il più debole trova accoglienza e speranza. Longo coinvolgeva tanti umili e forti: Giuseppe Moscati, fra Ludovico da Casoria, Caterina Volpicelli, don Pasquale Uva, don Carlo de Cardona, don Francesco Mottola. La santità è frutto di santità e trasmette santità, strada per costruire qualcosa di grande, perché santo non è il perfetto ma chi è pieno dell’amore di Dio. Tutti diventiamo più santi se seguiamo l’invito del Beato Longo ad allenarci con la preghiera del rosario. Papa Francesco ricorda che santo è chi si sporca le mani.
Nulla è impossibile a chi crede. Lavorare per la pace significa credere che un poco di buono può diventare un uomo buono, come quei tanti poveri figli di detenuti, ergastolani, aiutati a liberarsi dalla condanna – che a volte viene ereditata, come la povertà – e aiutati ad essere sé stessi, perché nessuno nasce perduto, ma si perde perché nessuno se lo carica sulle spalle. Lavorare per la pace significa organizzare tante “ore della misericordia, come faceva Bartolo Longo. Nella Valle, ricorda lui stesso, “tutti si riconciliarono e quasi tutti chiesero l’aggregazione alla confraternita di Maria”. Sentiamoci parte di questa famiglia.
Con il Beato Longo, con Santa Caterina da Siena e San Domenico, usiamo il rosario come “lotta contro il male, contro ogni violenza, per la pace nei cuori, nelle famiglie, nella società e nel mondo”, “scuola di contemplazione e di silenzio”. Papa Benedetto disse che “questa città, da lui rifondata, è una dimostrazione storica di come Dio trasforma il mondo. Qui a Pompei si capisce che l’amore per Dio e l’amore per il prossimo sono inseparabili”.
“Effondiamo – è la supplica – gli affetti del nostro cuore […]. Ti prenda compassione degli affanni e dei travagli che amareggiano la nostra vita […]. Implora misericordia dal tuo Figlio […]. Mostrati a tutti quale sei, Regina di pace e di perdono”. Gridiamo misericordia! Pace! Nei cuori, tra le nazioni. Tutti concorrano al bene. Si fermi l’orrore dalla guerra e si cerchi nel dialogo l’unica vittoria della pace. Grazie Maria, Vergine di Pompei, Regina della pace.

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