Chiesa Cattolica – Italiana

Card. Zuppi: scegliamo di essere operatori di pace

Pubblichiamo l’omelia pronunciata dal Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI, in occasione della Santa Messa celebrata a Roma, il 9 febbraio, per il 55° anniversario della Comunità di Sant’Egidio. 

L’Eucarestia è sempre ringraziamento, il più completo, perché ci unisce con il Signore e tra noi, riveste le nostre povere persone della luce dell’amore pieno di Dio, della sua presenza nell’incertezza e nella confusione della vita. Oggi sentiamo tutti, sia personalmente sia come comunità, la gioia di ringraziare per l’amicizia che ci unisce, per questi anni di amore, legame gratuito e circolare. Ne godiamo davvero tutti, quelli della prima come quelli dell’ultima ora, anticipo della casa di quel padre che vuole che «tutto ciò che è mio è tuo» (Lc 15,31). Un caro amico della Comunità, Valdo Vinay, che condivise negli anni della sua vecchiaia il cammino dei nostri inizi, fece sua l’espressione di un giovane: «Qui l’amicizia non finisce mai». Lo diceva anche per sé e credo possa dirlo ognuno di noi. Non è finita, anzi, si è rafforzata, affrontando da sempre le tante pandemie di povertà e sofferenza.
La Comunità si è fatta vicina alle ferite che segnano le persone, i poveri. Iniziò alle baracche del Cinodromo, il primo servizio della Comunità, non smettendo di cercare i tanti e spesso enormi Cinodromo delle città degli uomini, ovunque. Quante sofferenze, quante lacrime, quanto abbandono! Il grido di pace di interi popoli ha trovato in questa Arca di Noè ascolto, protezione, compagnia, casa, luce, speranza. Non ha mai smesso di cercare una soluzione, ben diversa da compiaciute e facili dichiarazioni, commozioni digitali o da spettacolo. Sant’Egidio, consapevole che la soluzione non dipende mai solo dalla nostra decisione o dagli sforzi, non ha smesso di cercarla con tutta sé stessa unendoli sempre alla preghiera. Poveri e preghiera, amore per il prossimo e amore per Dio. Gli occhi brillano di luce perché asciugo le lacrime di chi soffre, diceva Madre Teresa. La Comunità brilla di amore, perché ha pianto con chi è nel pianto, ma ha anche sentito la consolazione dei tanti sorrisi restituiti, delle solitudini sconfitte, delle parole ritrovate, degli occhi aperti, anticipo della beatitudine di Gesù che non finirà. La misura non è mai stata quello che si può fare, ma quello che serve fare. A volte sperimentiamo, con amarezza, quanto i ritardi siano colpa degli uomini, la nostra fragilità e il nostro limite, ma senza rinunciare a cercare le risposte.
È successo così con i corridoi umanitari, che hanno aperto il muro impenetrabile del “non c’è niente da fare”, “si può solo aspettare”. Migliaia di persone che lo aspettavano hanno avuto futuro. Poche? Chi salva un uomo – un uomo – salva il mondo intero, perché ogni persona è un mondo, unico e insostituibile. Ricordiamoci sempre e per tutti che chi perde un uomo, perde un mondo intero. Questi anni ci confermano che è sempre possibile amare la vita, difenderla, cambiare questo mondo perché la fraternità sia reale e non un auspicio o una fantasia ingenua. È lotta, intelligenza, cultura, lavoro, esperienza. E l’esperienza della Comunità rivela che tutti possono farlo e che farlo riempie di felicità, libera dalla tristezza o da un amore ridotto ad adrenalina.
La voce persuasiva del falso realismo ripete continuamente di lasciare perdere, di calcolare con precisione che non vale la pena, rende vane energie e sciupa tanti mezzi e possibilità. Tanti! Speriamo che in questo tempo di piani per il futuro, decisivi se e come averli, sappiamo costruire qualcosa di solido, sicuro, che è solo quello che va oltre di noi. Lo capiamo contemplando la bellezza di questa celebrazione, frutto di tanto lavoro nella messe del mondo e che raduna non solo i così numerosi presenti ma anche le tante comunità sparse nel mondo, dai piccoli e sperduti villaggi nel Nord del Mozambico o del Congo, segnati dalla violenza, alle tante comunità in Ucraina e in Russia che nella tempesta della guerra non hanno smesso di aiutare i più deboli, rassicurare e sfamare gli anziani soli, aiutare chi vive per strada o i bambini delle scuole della pace. Preghiamo per tutti i nostri fratelli e sorelle che sono in situazioni difficili, di rischio o di minoranza. Li ringraziamo per l’esempio di umanità che offrono nelle loro situazioni mostrando la vita cristiana e lo spirito della Comunità. Continuiamo tutti ad accendere luci di speranza e a mostrare un mondo migliore quando intorno c’è il buio della violenza, della guerra, ma anche quello della solitudine e dell’insignificanza. Scegliamo tutti di essere operatori di pace, di conservare un cuore umano di agnello anche quando il mondo diventa lupo, crede solo nelle armi e non sa più trovare umanità. Gettiamo semi di un mondo diverso, per iniziare già oggi dove siamo il nostro personale cessate il fuoco, disarmando le mani e le menti e riempiendole di sentimenti e legami di amore.
La guerra spegne anche i sogni e gli slanci. La Comunità di Sant’Egidio li riaccende, li difende, germoglio di pace che continua a fiorire, anticipo della pace che può fare rinascere la vita. Sant’Egidio tutto è un popolo di operai di pace, perché avvicina i cuori, combatte le barriere, abbatte i muri, costruisce luoghi dove “Fratelli tutti” non è solo una visione grande ma la realtà di comportamenti e parole. E ringrazio di cuore gli sforzi intelligenti e pazienti per tessere la pace, come quelli in Sud Sudan, a volte sforzi tanto prolungati nel tempo, potremmo dire interminabili, come lo sono le guerre! Aveva ragione San Giovanni Paolo II, parlando alla Comunità e ricordando le sue radici e caratteristiche romane: non vi siete posti altri limiti se non la carità. E la carità è infaticabile non perché non prova stanchezza, ma perché la vince per l’amore stesso. E ringraziamo Andrea che non smette di lottare con inquietudine e intelligenza contro le tenebre del male. Continua a sognare di cambiare il mondo, perché ascolta Dio e la sua passione per le messi. Ha visto il giardino anche quando c’era solo il deserto. Grazie, Andrea!
Cristo è la pace perché ha abbattuto il vero muro di separazione che divide e genera la guerra, cioè l’inimicizia. Sant’Egidio è diventata una famiglia universale, davvero senza confini, che come una madre non dimentica nessuno. E ringrazio di cuore chi si affanna perché questa madre mostri la sua maternità ovunque, ad iniziare da Marco e da tutta la presidenza della Comunità e i suoi responsabili: ricordiamoci sempre di pregare per ogni comunità e anche per chi la serve nella comunione e nell’unità.
Siete un popolo di poveri e di umili, di vecchi e giovani, di fratelli più piccoli e fratelli che si fanno piccoli e così diventano tutti grandi. Siete operai che possono sempre, in ogni stagione della vita e anche nella condizione di fragilità – ed è una grazia – lavorare per il Signore e, quindi, per il prossimo. Benedetto XVI, con tanta delicatezza e profonda comprensione umana, al termine del pranzo alla mensa di via Dandolo disse che nella Comunità non si distingue chi serve e chi è servito, felicità per l’uno e per l’altro. È un noi aperto e preciso allo stesso tempo, accogliente e mai anonimo, perché il noi non solo non cancella l’io, non lo limita ma lo scioglie dall’egoismo e dal pensare di essere sé stesso perché un’isola, non lo deprime anzi lo esalta, perché lo rende utile. E si è utili per davvero quando si è gratuiti, senza considerazione o meriti! Siamo sulla stessa barca, con la radicalità essenziale del Vangelo, senza compromessi, cercando sempre il bene possibile ma senza dimenticare di credere nell’impossibile, perché la messe è davvero grande e la sofferenza che la attraversa è terribile. Quando sentiamo questa, siamo spinti a coinvolgere altri operai, che se diventano oziosi è perché nessuno li ha presi a giornata, non perché non vogliono lavorare. E la gioia è lavorare per amore. È la Parola di Dio che continua a chiamare e a mandare. È la Parola che ha custodito la Comunità, perché non smette di renderci sensibili a nuovi aspetti di povertà e anche a capire in modo nuovo e più profondo i vecchi. È la Parola che permette di vivere ogni incontro come anticipo di quello che ritroveremo pieno in cielo. La Comunità è sempre piccola – siamo il piccolo gregge – minoranza che non smette di generare vita ma che è già oggi un popolo largo. Il passare del tempo non ha fatto crescere il sottile scetticismo o meccanismi sclerotizzati. C’è un grande bisogno di comunità, di una felicità vera e non ingannevole, di un amore gratuito, umano, possibile, di un Vangelo che tocchi il cuore e risponda alle domande che lo agitano e lo fanno soffrire.
Ecco, questa è la benedizione e la preghiera che chiedo questa sera, ripetendo parole che per tanto tempo hanno accompagnato la preghiera della Comunità: «Signore nostro Dio, che nella confusione e nella solitudine di questo mondo non cessi di radunare con la tua Parola un popolo santo, da ogni terra, città, paese, perché nella carità renda a te un culto gradito, custodisci il gregge che hai radunato, conservalo nel tuo amore, ora e sempre, nei secoli dei secoli». Amen.

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