Pubblichiamo il testo dell’omelia che il Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI, ha pronunciato il 26 novembre, a Verona, in occasione della Santa Messa di chiusura del XIII Festival della Dottrina sociale.
Il Vangelo di oggi ci aiuta a riscoprire cosa è la dottrina sociale della Chiesa e l’unità indivisibile tra questa e la celebrazione eucaristica, tra lo spirituale e il materiale, tra l’amore per Dio e quello per il prossimo ad iniziare dai “suoi fratelli più piccoli”. Solo di loro Gesù dice che qualunque cosa facciamo al loro corpo la facciamo a Lui. È lo stesso Cristo deposto sull’altare. La dottrina sociale non riguarda alcuni specialisti! Aiuta tutti a capire come dare da mangiare ad un affamato, a capire perché ha fame, a interrogarsi su cosa richiede farlo. La dottrina sociale è sempre dinamica, non è mai conclusa! La Chiesa vive nel mondo. Non ne ha paura, ma ha paura di diventare come il mondo se perde l’amore di Gesù o lo fa diventare un tranquillante per il proprio benessere individuale. La Chiesa legge nel mondo – così com’è – i segni dei tempi, quelli che ci aiutano a capire il Vangelo e a comprendere cosa è chiesto oggi a noi che vogliamo metterlo in pratica. Il Vangelo non dà una risposta per tutto ma ci insegna a trovarla sempre perché ci aiuta ad amare tutto e tutti. E questa è la risposta di Gesù: ti amo. È amore che diventa intelligenza, cultura, umanesimo, prassi e che la Chiesa offre a tutti, regala a chiunque e chiede a tutti coloro che hanno responsabilità sociali, cioè per la comunità. Alcuni ne hanno parecchie ma, attenzione, tutti abbiamo le nostre! Siamo persone “socievoli”, non individui-isole! Non ci sono spettatori nella società e nella Chiesa. La dottrina sociale non è allora di qualcuno ma di tutti e per tutti. Non è di parte, tanto meno di un partito, ma prende posizione e sta sempre dalla parte della persona, dal suo inizio alla sua fine, chiunque essa sia, mistero di amore che ci è affidato. Non ha altre preoccupazioni la Chiesa che essere fedele a Gesù e al suo prossimo e questa è la sua libertà. Fare qualunque cosa per il Signore libera dalla misera ricerca di ruolo, di successo, di potere per il potere, di usare le buone intenzioni per nasconderne altre, di scegliere per opportunismo o favoritismi, di ridurre il sociale ai propri “soci” e non a tutte le persone. I poveri sono suoi e farlo a loro significa farlo a lui. Il giudizio inizia già oggi e quanto ci aiuta esercitarci nel fare le cose davanti a Dio per farle davanti agli uomini. La dottrina sociale della Chiesa nasce da questa consapevolezza: il tuo futuro dipende dal loro e viceversa, anche il loro futuro dipende da te. Non è mai la stessa cosa se “facciamo” misericordia oppure non facciamo niente, se ci fermiamo invece di passare oltre, se diventiamo noi il prossimo e loro per noi facendocene carico. Chi ama i poveri ama tutti e non per convenienza, tanto che siamo ammoniti a non cercare nessun contraccambio, fossero riconoscimenti o ruoli. L’amore vero è solo gratuito e solo la gratuità ci fa trovare quello che davvero ci serve. La ricerca di amore per sé senza il prossimo diventa ossessiva, provoca una malata esaltazione di sé senza limiti, nascondendo la fragilità per poi precipitare nella depressione senza fondo. L’amore che possiede è violento perché al centro c’è solo l’io mentre l’amore è sempre relazione, dono, libertà, rispetto. Non è mai difficile la dottrina sociale, anzi è possibile a tutti e ci rende davvero umani. Dipende se la viviamo con amore. Altrimenti un affamato è solo un problema, una grana da evitare e non un fratello da amare. È proprio vero: siamo sulla stessa barca. Ve lo ha scritto Papa Francesco: la libertà personale è unita a quella comunitaria. L’amore moltiplica il poco ma solo se lo condividi. Solo dopo avere offerto il pane capiamo che questo basa per tutti, altrimenti restiamo solo a difendere i nostri cinque pani che finiranno per non bastare mai neanche per noi. Siamo sazi quando saziamo e condividiamo! Papa Francesco ci chiede di rimuovere le cause che determinano la povertà, la sofferenza. Anche per questo l’impegno per la pace è fondamentale, perché la guerra causa tutte le povertà, quelle condizioni di cui ci ha parlato il Vangelo: fame, sete, nudità perché perdi tutto per prima cosa la dignità, tutte le malattie, diventi prigioniero, ostaggio e torturato, sei uno straniero perché devi scappare. “Aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro”. Non faremmo così con i nostri fratelli, che sono più piccoli, quindi doppiamente affidati a noi? La dottrina sociale ispira, anzi esige una traduzione politica, nel senso più alto del termine, esigente, rigoroso anche per liberarla da errori, corruzione, inefficienza tanto che qualcuno vorrebbe sostituirla “con l’economia o a dominarla con qualche ideologia”. Abbiamo bisogno di una politica, di un’economia, di persone responsabili che in ogni loro servizio pensino con una visione ampia, e che portino avanti un “nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi”. (FT177). Si tratta di un progetto comune per l’umanità presente e futura, affidato a ciascuno nella libertà delle scelte ma nel rigoroso impegno a vivere questo amore cristiano. “Tutti gli impegni che derivano dalla dottrina sociale della Chiesa sono attinti alla carità che, secondo l’insegnamento di Gesù, è la sintesi di tutta la Legge (cfr. Mt 22,36-40)”. Ciò richiede di riconoscere che “l’amore, pieno di piccoli gesti di cura reciproca, è anche civile e politico, e si manifesta in tutte le azioni che cercano di costruire un mondo migliore”. La carità non è “un sentimento sterile, un sentimentalismo soggettivo” (FT 185). E quanto ci serve lasciarci educare ad un sentimento di amore che lega in relazioni affettive, umane, rete che ci fa essere parte di una comunità vera e non isole che possono confidare solo su sé stesse. Gesù ci affida tutto di sé perché diventi realtà, vita, intelligenza, risposte, gesti concreti, piccoli e grandi ma di solo amore. Le opere di misericordia sono la prima dottrina sociale indicata da Gesù per tutti, e dalla quale nessuno può ritenersi escluso per ruolo o condizione. E facciamolo non per dovere, ma per amore, con le mani, il cuore e la testa, uniti dall’amore per Gesù. Un affamato ci aiuta a condividere e donarlo ci aiuta a trovare il pane che non finisce e a dare valore a quello della terra. Dare da bere un po’ di acqua ci farà sentire la sete di vita e trovare la sorgente nel nostro cuore che zampilla per la vita eterna. Rivestire un nudo ci regala la nostra vera dignità e ci farà vestire l’abito più bello, quello splendente della carità. Visitare un malato ci fa capire la forza straordinaria dell’amore che guarisce e riflette quello di Gesù, medico buono che non lascia soli nessuno e che protegge dalla sofferenza e dall’abbandono. Andare in carcere ci aiuterà a capire che nessuno è mai il suo peccato, anche terribile, perché la consapevolezza di questo non diventa condanna ma incontra la misericordia che apre al futuro e affranca dal passato. Accogliere uno straniero e renderlo di casa ci fa trovare il nostro prossimo e straniera diventa solo la divisione e l’indifferenza che fanno perdere l’umanità. Il suo regno è di fratelli tutti. In un mondo pieno di divisioni e di meschinità, minacciato dalla pandemia e attraversato da violenza e guerre, capiamo la nostra vera forza, essere suoi e appartenere a Lui. E ci fa sperimentare già oggi la gioia che nessuno ci può togliere. Sono felice quando faccio agli altri quello che voglio sia fatto a me. Solo per amore.
Venga presto il tuo regno e fa’ o Signore che lo viviamo già oggi con il nostro amore per goderlo pieno della casa del cielo.
Verona, 26 novembre 2023