Pubblichiamo il discorso del Card. Gualtiero Bassetti, Presidente della CEI, a conclusione dell’Incontro di Vescovi delegati e Sindaci delle città del Mediterraneo.
Cari sindaci, cari confratelli, cari amici e care amiche,
confesso che ho un’emozione forte nel parlarvi a conclusione di quest’incontro. Sento sopra di me la responsabilità di aver promosso quest’evento insieme al Sindaco di Firenze, Dario Nardella: al quale va tutta la mia sincera e commossa gratitudine per l’impegno profuso e la passione autentica con cui si è speso per la riuscita di questa iniziativa. Sento la responsabilità di aver coinvolto e condiviso questo progetto con il pastore della Chiesa di Firenze, il caro Cardinale Giuseppe Betori, che ci ha accolti con calore e premura.
Tuttavia, sento ancora più responsabilità, perché il Santo Padre mi ha affidato il compito di concludere quest’assemblea congiunta. Purtroppo, oggi, non è qui con noi per un forte dolore alla gamba che Lo costringe a ridurre al minimo le Sue attività. Lo ricordiamo con affetto e Gli assicuriamo la nostra vicinanza e il nostro sostegno, ricordandolo in particolar modo con il Suo messaggio di pace: «Ogni guerra lascia il nostro mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male».
Grazie, Beatissimo Padre, Le auguriamo una pronta guarigione.
Cari amici e care amiche, in queste mie poche parole conclusive, vorrei mettere in evidenza quattro elementi che a me sembrano di grande importanza e possono rappresentare una sintesi di questo nostro convenire.
Innanzitutto, la storia. Quello che abbiamo vissuto – e che ancora stiamo vivendo – è stato un grande momento storico. Questo è un punto decisivo, che voglio sottolineare con forza. Dobbiamo assumere la consapevolezza, tutti quanti, sindaci e vescovi, esperti e volontari, che questi giorni stupendi, in cui ci siamo potuti confrontare e ascoltare, hanno rappresentato qualcosa di nuovo e di profondamente diverso rispetto al passato. Questi giorni hanno dato vita, infatti, a un appuntamento straordinario e mai verificatosi prima: vescovi e sindaci del Mediterraneo si sono ritrovati insieme e, mossi da una reciproca volontà di ascolto, si sono prima confrontati e poi hanno siglato una dichiarazione comune. Non era scontato, non era dovuto, ma si è realizzato. E questo è meraviglioso! Mentre una folle guerra scoppia in Ucraina portando morte e distruzione, l’orologio della storia ha fermato le sue lancette a Firenze ed è suonata l’ora della pace e del dialogo.
Si tratta, però, di una storia complessa che non nasce quattro giorni fa e non ha origine neanche nel 2020 a Bari. Nasce molto prima ed è una storia che, in gran parte, ci sovrasta e oltrepassa i nostri progetti e le nostre volontà. Un’antica profezia ha, infatti, percorso tutto il Novecento ed è arrivata fino ai giorni nostri: il Mediterraneo diventerà un luogo di pace. Un mare che unisce e non divide. Nella visione di Giorgio La Pira il cosiddetto mare nostrum è, infatti, il «grande lago di Tiberiade» in cui si affacciano le civiltà che appartengono alla «triplice famiglia di Abramo». Il loro incontro, dopo secoli di divisione, può cambiare la storia non solo del Mediterraneo, ma del mondo intero. Lasciatemelo dire: Dio ci ha chiamato qui a Firenze. Contro ogni avversità, contro ogni difficoltà, contro ogni guerra. Spes contra spem, come avrebbe detto Giorgio La Pira.
Il secondo elemento su cui voglio soffermarmi è proprio Giorgio La Pira. Questo nome ha risuonato molte volte, sia tra i sindaci, sia tra i vescovi. Bisogna chiedersi allora, a distanza di più di 40 anni dalla sua morte, chi è stato La Pira e perché oggi è così importante.
La Pira può essere definito in tanti modi diversi: un politico, un professore universitario di diritto romano, un terziario domenicano oppure un terziario francescano. In moltissimi, ancora oggi, a Firenze lo ricordano come il «sindaco santo». Ognuna di queste definizioni è senza dubbio vera. A mio avviso, però, La Pira è stato un cristiano autentico, un profeta dei tempi moderni e, in definitiva, un mistico prestato alla politica. Un mistico che non aveva alcuna attrazione per il potere, ma una dedizione totale per gli ultimi e un amore sconfinato per la Chiesa.
Da sacerdote e, soprattutto, da Rettore del Seminario ho avuto modo di parlare molte volte con La Pira. Nelle sue conferenze era un fiume in piena: una fonte inesauribile di sapienza, di citazioni erudite e di continui aneddoti della sua vita politica. Quando mi è capitato di accompagnarlo per strada a Firenze verso la sua dimora sembrava di assistere a una continua processione di fiorentini che lo fermavano ad ogni angolo della città e vedevano in lui, non solo il sindaco, ma qualcosa di molto più profondo: scorgevano nella sua persona il testimone autentico di una cristianità che si faceva prossima ai cittadini. Non quindi un funzionario pubblico, ma un servitore sincero del popolo. Una volta una donna anziana, segnata nel corpo e nell’abbigliamento dalle piaghe della miseria mi disse: «Il professore da molti non è capito, lo capiamo soltanto noi poveri».
La Pira per i poveri non fu soltanto un benefattore ma un autentico maestro di vita. Su questioni come la casa ai senza casa, il lavoro ai senza lavoro, il pane ai senza pane, non esitò più volte a giocarsi tutta la carriera politica. Metteva in campo tutto se stesso perché ciò che lo muoveva era sempre e soltanto il Vangelo.
Nessuna ideologia politica albergava nelle sue azioni e se volessimo scegliere alcune pagine evangeliche che ispirarono le sue azioni, queste vanno rintracciate, senza dubbio, nel discorso di Gesù sul giudizio universale del capitolo 25 di Matteo e nella parabola del Samaritano narrata da Luca.
E allora perché oggi è importante La Pira? Perché egli è stato un uomo libero che ha avuto il coraggio di sostenere opinioni scomode senza mai scendere a patti con la mentalità di questo mondo. L’ex sindaco di Firenze ha sempre cercato il bene delle famiglie e dei giovani, dei poveri e degli emarginati, degli indifesi e degli ultimi della società. Senza mai lasciarsi tentare dall’arroganza del potere, dal consenso facile, dall’odio verso chi è diverso, dalla corruzione e dalla malavita. La Pira è dunque, ancora oggi, un modello di spiritualità per i cristiani e un modello di impegno civile per tutti. Un modello non solo per l’Italia, ma per l’intero mondo mediterraneo.
Il terzo elemento su cui voglio soffermarmi è proprio il Mediterraneo. Che splendida follia abbiamo fatto organizzando questo Incontro a Firenze! Parlare del Mediterraneo, oggi, significa guardare il mondo da un angolo visuale molto particolare. Anche se non si può dire che è la zona geopolitica più importante del pianeta, si può affermare, però, che il Mediterraneo rappresenta uno dei crocevia politico-culturali più rilevanti della Terra. Sia per il ricchissimo deposito di storia che ha alle spalle, e sia perché in questo bacino – che in molti hanno anche visto come un grande lago – confluiscono non uno, ma ben tre continenti: Asia, Africa ed Europa.
Tre continenti con tradizioni culturali differenti, con una storia politica conflittuale ma anche con forti punti di interconnessione. Ne indico due: le città e le chiese. Il mediterraneo, infatti, è stato storicamente un luogo di transito e di commerci. Non solo scontro militare, non solo frontiera politica, ma anche luogo di incontro tra le città delle coste e tra le comunità religiose. Non possiamo dimenticare infatti che il cristianesimo ha infatti un’origine e uno sviluppo intrinsecamente mediterraneo: la sua epifania si colloca proprio sulla sponda orientale di questo mare.
Per questi motivi le città e le comunità religiose hanno di fronte una grande sfida: l’unità del Mediterraneo. Mai come oggi, quando la società sembra sgretolarsi fino a farsi liquida, è tempo di costruire l’unità. Questa è un valore che ha un significato profondo. Essere uniti non significa essere unanimi, ma vuol dire essere complementari e collaboratori. Uniti in unico corpo, composto però da tante parti diverse. Da qui nasce la grande funzione storica delle città secondo la visione di La Pira: esse devono «collaborare alla unità del mondo, alla unità delle nazioni» costruendo «un sistema di ponti che si estenda in tutto il mondo» e che realizzi «le città unite», ovvero l’altro volto delle «nazioni unite».
«Abbattere muri, costruire ponti»: questa è la splendida immagine elaborata da La Pira. Un’immagine che mutuò da quello che vide al Cairo nel 1967 dopo aver incontrato il presidente egiziano Nasser. In quell’occasione scorse «una squadra di operai abbattere i muri che erano stati costruiti davanti alle porte dell’albergo, come strumenti di difesa antiaerea». In quel gesto percepì il simbolo di una grande azione politica e culturale. Bisognava abbattere «il muro della diffidenza» tra i popoli e costruire ponti di dialogo tra le genti».
E questa è ancora oggi la nostra sfida per il futuro: costruire ponti di dialogo tra le genti del Mediterraneo. Unire ciò che è stato diviso per secoli. Unire in nome della fratellanza umana come ci ricorda il documento di Abu Dhabi. Unire per la pace: una sfida epocale.
Oggi, infatti, e vengo al quarto e ultimo elemento di riflessione, ci troviamo di fronte a un «crinale apocalittico della storia», come diceva La Pira, e abbiamo un impellente bisogno di pace e fraternità nel Mediterraneo. Bisogna dirlo con forza e con coraggio: noi vogliamo costruire la pace! La vogliamo per le nostre città, per le nostre comunità religiose, per le nostre famiglie, per i nostri figli. La pace è un valore che non si può barattare con nulla. Perché la vita umana non si compra e non si uccide! Questo è il nostro sogno: la pace tra tutti i popoli.
Don Tonino Bello diceva che «battersi per la pace vuol dire liberare l’uomo dall’intrico della miseria, dal viluppo della massificazione, dalle grinfie rapaci del potere, dalle seduzioni involutrici del falso benessere». Oggi abbiamo bisogno di pace sociale nelle città e nel nostro mare. Il Mediterraneo, infatti, come ha ricordato papa Francesco, è diventato il «più grande cimitero d’Europa». Negli ultimi anni, migliaia di uomini, donne e bambini hanno perso la vita solcando questo mare in cerca di una vita migliore o in fuga da una guerra. Questa emergenza drammatica ci interpella profondamente come cristiani e come persone umane. Non possiamo rimanere indifferenti rispetto al grande flusso migratorio che ormai da tempo caratterizza il Mediterraneo. Dobbiamo perciò soccorrere e aiutare. Ma dobbiamo anche capovolgere il paradigma e la narrazione delle migrazioni: esse vanno viste non solo come un problema ma come una grande opportunità. Un’occasione per trasformare le nostre città in luoghi di accoglienza e di ospitalità.
Oggi, però, un’altra emergenza scuote i nostri cuori. Le notizie drammatiche e le immagini ancor più inquietanti che provengono dall’Ucraina ci raccontano di una tragedia umanitaria a cui non avremmo mai voluto assistere. Il mio pensiero e la mia preghiera vanno verso tutte quelle persone che adesso si trovano nei rifugi sotterranei e a coloro che stanno fuggendo. A tutti coloro che stanno combattendo vorrei usare le parole semplici di un vecchio sacerdote: vi prego, vi scongiuro, fermatevi! In nome di Dio, no alla guerra!
Cari amici e cari amiche, vi ringrazio del meraviglioso lavoro che abbiamo fatto tutti insieme e mi permetto di evidenziare un ultimo aspetto: l’importanza della Carta di Firenze. Portatela nelle vostre città, nelle scuole, nelle comunità religiose, nelle parrocchie. Divulgatela ma soprattutto incarnatela nella vostra vita. Quella carta infatti è la testimonianza, non solo simbolica, che esiste una coscienza mediterranea. Quella carta è un patto sociale, un patto di amicizia sociale. La Carta di Firenze è un raggio di luce nell’ora più buia.