Alessandro De Carolis e Griselda Mutual – Città del Vaticano
Un inizio, un momento spartiacque nel mezzo di un “trauma intergenerazionale”, che potrà aiutare a risanare cuori purché da questo inizio scaturisca un seguito di fatti concreti. Padre Gilles Mongeau, viceprovinciale dei gesuiti del Canada, vive il pellegrinaggio del Papa in Canada con un sentimento di speranza, che allevia il peso della conoscenza dei tanti orrori causati in passato dalle politiche di assimilazione, di cui furono psicologicamente e fisicamente vittime migliaia di bambini indigeni. Si è trattato – spiega nell’intervista raccolta da una delle nostre inviate Griselda Mutual – di una lacerazione terribile, dalla deriva lunga ben oltre il periodo storico in cui fu causata. “Questi bambini sono stati portati via dalle loro famiglie. Il trauma della perdita di identità, cultura, lingua è profondo e ha colpito le generazioni successive. Un sopravvissuto ha detto: ‘Non ho mai avuto un vero padre, quindi non sapevo come essere un padre per i miei figli’”.
“Riconoscere il mio fratello indigeno”
Anche la Compagnia di Gesù, racconta padre Mongeau, ha dovuto fare i conti con un risanamento della memoria per eventi accaduti in una sua scuola residenziale in Ontario, a cavallo tra l’Otto e il Novecento. Il percorso della riconciliazione è stato assunto esplicitamente dall’Ordine ignaziano nel 2015 e da allora il vento è lentamente cambiato. “Le nostre relazioni con alcuni gruppi indigeni – dice – si sono approfondite e ampliate. Scusarsi e cercare di riconciliarsi è doloroso, ma ne vale la pena”. Anche perché, prosegue, “una delle verità più difficili da affrontare è il semplice fatto che i discendenti dei coloni e dei nuovi immigrati continuano a beneficiare delle ingiustizie economiche e politiche commesse contro i popoli indigeni”. Ciò che serve al Paese, sostiene il gesuita, è una trasformazione che incida “culturalmente, politicamente, economicamente e interpersonalmente” che porti a “riconoscere come prossimo la mia sorella e il mio fratello indigeni”.
Non per la colpa ma per la compassione
A pesare positivamente in questi giorni sono stati e sono non solo le parole di richiesta di perdono pronunciate dal Papa ma anche, rileva padre Mongeau, “i suoi commenti, le reazioni informali, come pure le risposte degli indigeni e l’atteggiamento della folla”. Francesco ha chiesto di non cedere all’oblio per quanto accaduto e questo, secondo padre Mongeau, è la pietra su cui pooggiare tutto il percorso di risanamento e di rinascita. Fare memoria, afferma, serve a rendere “vividamente presenti le realtà passate, non per provocare senso di colpa, ma per suscitare compassione e amore. Solo questo tipo di energia può alimentare la profonda conversione necessaria. Dimenticare porta all’indifferenza, e l’indifferenza significa che nulla cambierà. Le scuse del Santo Padre sono un passo avanti nella ricerca della verità, della giustizia e della riconciliazione, Ma è solo l’inizio. Dobbiamo continuare a compiere azioni concrete”.