Agata Rita Borracci* – Venezia
I missionari italiani “fidei donum” che prestano servizio pastorale nella parrocchia Maria Regina della Pace di Chae Hom, nel nord della Thailandia, hanno avviato un progetto per la coltivazione e la commercializzazione del caffè che si caratterizza non solo per la qualità del prodotto ma anche, e soprattutto, per la destinazione dei proventi: borse di studio per ragazzi, formazione degli abitanti dei villaggi alla gestione di colture sostenibili e miglioramento generale delle condizioni di vita. L’azione pastorale della parrocchia, istituita ufficialmente più di dieci anni fa, ha fatto propri i valori fondamentali espressi nell’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco anche prima della sua pubblicazione.
Le origini della missione
La missione di Chae Hom, che appartenente alla diocesi di Chiang Mai, è nata da un desiderio di collaborazione missionaria tra le diocesi della regione ecclesiastica italiana Triveneto, espresso per la prima volta nel corso del convegno ecclesiale di Aquileia (Udine) dell’aprile 1990. Un’intuizione confermata qualche mese più tardi, nel dicembre dello stesso anno
con la pubblicazione dell’enciclica Redemptoris Missio di San Giovanni Paolo II, che indicava tra gli ambiti territoriali da privilegiare proprio il continente asiatico.
Sette anni dopo hanno iniziato il loro servizio pastorale a Chae Hom don Pietro Melotto e don Gabriele Gastaldello, del clero diocesano di Vicenza, accompagnati da monsignor Antonio Mattiazzo, al tempo vescovo di Padova. Alla loro presenza si sono aggiunte, nel 1999, quelle di don Bruno Rossi e don Lorenzo Biasion, provenienti dalla diocesi di Padova, e quattro anni dopo quella di don Giuseppe Berti, appartenente al clero veronese. A completare il gruppo triveneto, sono arrivate le suore saveriane e la comunità di Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Touret e, tra il 2008 e il 2010, don Attilio De Battisti e don Raffaele Sandonà del clero di Padova e don Bruno Soppelsa della diocesi di Belluno.
Il 1 maggio 2000 è stata istituita ufficialmente la parrocchia Maria Regina della Pace a Chae Hom, che si estende su un territorio di oltre 3.000 chilometri quadrati e alla quale viene affidata la cura pastorale di 40 villaggi, disseminati in buona parte su territori montuosi e abitati da una gran varietà di gruppi etnici: Akha, Lahu, Karen, Yao, Isaan, Lisu, Hmong, che mantengono cultura, lingua e tradizioni proprie.
La parrocchia sorge su una struttura preesistente, sia dal punto di vista degli edifici sia dell’azione pastorale, inizialmente curata dai missionari del Pime che si erano concentrati soprattutto su piccole comunità provenienti da Cina, Birmania e Laos, offrendo loro assistenza materiale e spirituale. La percentuale di cristiani, su una popolazione di circa 120.000 abitanti, è di circa l’1%.
L’attività nei centri
Tra le prime necessità che i missionari del centro Maria Regina della Pace si sono trovati ad affrontare, c’è stata quella di offrire a bambini e ragazzi che abitano nei villaggi l’accesso alla scolarizzazione. Il sentiero discontinuo tra montagne e pianure, la stagione delle piogge e l’assenza di figure professionali adeguate hanno privato i più giovani, per lungo tempo,
dell’opportunità di frequentare qualsiasi percorso scolastico. Sono nati così 4 centri, dove centinaia di ragazzi provenienti da più di 40 villaggi e 7 tribù diverse hanno trovato un punto di riferimento e di ospitalità.
“Ad oggi ne sono attivi soltanto 2” spiega il parroco, don Bruno Rossi, “segno che le condizioni di mobilità per raggiungere autonomamente le scuole sono migliorate”. Buona parte dell’attività della parrocchia consiste anche nell’assistenza spirituale ai villaggi e la formazione dei catechisti locali ha consentito ai missionari di poter raggiungere persone provenienti da tribù, culture, lingue e tradizioni diverse.
In Thailandia solo lo 0,5% della popolazione è cattolica. La maggior parte della popolazione è buddista e all’interno delle tribù locali la situazione si segmenta ulteriormente in varie appartenenze. “La nostra parrocchia – prosegue don Bruno – è strettamente collegata con i servizi che offre il centro educativo per minori e viceversa. La prima cosa che consideriamo quando qualcuno si rivolge a noi è la sua necessità, al di là dell’appartenenza. Siamo tutti figli di Dio, pertanto nelle nostre azioni quotidiane cerchiamo di aiutare e amare tutti, senza condizioni. Gli itinerari di evangelizzazione, poi, costituiscono una proposta chiara, sotto gli occhi di tutti. Chi vuole accostarsi lo fa liberamente, magari a partire da domande che sono sorte nell’aver incontrato la nostra comunità”.
Una risposta all’inquinamento
Un rapporto dell’Air Quality Life Index di Chicago, pubblicato nel 2019, ha rivelato come l’aspettativa di vita si sia ridotta di un paio di anni a causa dell’inquinamento atmosferico: per giorni, durante il periodo di monitoraggio, Chiang Mai è stata la città più inquinata al mondo, superando abbondantemente i livelli massimi di inquinamento previsti dagli standard internazionali.
Uno dei fattori principali che provoca questi livelli fuori controllo è la pratica dell’addebbiatura, utilizzata soprattutto nelle coltivazioni di mais, ovvero la combustione di residui agricoli
per aumentare la fertilità e preparare il terreno al raccolto successivo. All’inquinamento ambientale contribuisce non poco anche l’utilizzo di pesticidi e fertilizzanti chimici irrorati sulle varie coltivazioni che, nelle stagioni delle piogge, confluiscono abbondantemente nei corsi d’acqua.
Pratiche che hanno prodotto conseguenze pesanti anche su quanti frequentano la parrocchia Maria Regina della Pace di Chae Hom. “Quando i fedeli si accostavano all’altare per ricevere l’Eucaristia – spiega don Bruno Rossi – abbiamo notato che le loro mani erano sporche di polvere rossa, residuo dei pesticidi. Quello è stato un punto di svolta per noi: ci siamo resi conto che consegnavamo il Corpo di Cristo in mani malate, un gesto di vita piena e vera posto su mani che restituivano segni di morte”.
I missionari hanno quindi suggerito di estendere le piantagioni di caffè dalle parti montuose del paese a quelle collinari e a valle. Don Bruno racconta come l’idea di poter avviare coltivazioni biologiche sia scaturita dall’assaggio di alcuni chicchi coltivati dalle famiglie di studenti che risiedevano in parrocchia. Il prodotto era di qualità ma la tostatura operata dalle popolazioni locali non conferiva quell’aroma al quale i missionari erano abituati nella loro patria di origine. Così, con l’arrivo di una prima macchina per la tostatura nel 2012 e, successivamente, apportando sempre nuove migliorie, si è arrivati ad innescare un processo di produzione biologica e vendita in grado sia di valorizzare una risorsa di alta qualità sia di tutelare la natura e la salute delle persone. Le vendite, caratterizzate da un prezzo concorrenziale, hanno permesso di restituire dignità e riposo ai contadini che abitano i villaggi di Chae Hom e di finanziare borse di studio destinate agli studenti. L’attività è, inoltre, regolamentata dall’istituto onlus denominato proprio “Laudato si’ social enterprise”, nato con la finalità di contribuire al bene comune nel pieno rispetto della legge e dei regolamenti statali e ispirato ai valori contenuti nell’enciclica di Papa Francesco del 2015.
Antesignani della Laudato si’
La produzione del “Caffè Bruno” è iniziata più di dieci anni fa, ancor prima della pubblicazione della Laudato si’, ma i principi ispiratori dell’azione dei missionari e dei loro collaboratori si ritrovano pienamente nelle parole che Papa Francesco ha consegnato nel documento per orientare la cura della casa comune. “Abbiamo cercato di tutelare il lavoro e il riposo – spiega don Bruno Rossi – come pure il desiderio delle comunità di restare in salute e all’interno di un ambiente sicuro. Abbiamo anche cercato di prenderci cura della casa comune, rispettando la natura e armonizzando con essa il lavoro dell’uomo. È un’esigenza nata dal profondo dallo spirito, un’attenzione che porta con sé valori condivisi pienamente anche dalla cultura asiatica. Un orientamento, per noi spontaneo, che poi abbiamo trovato descritto e sistematizzato nell’enciclica di Papa Francesco: ha dato voce e ulteriore motivazione alle nostre azioni. La natura, per noi cristiani, può essere un veicolo importante anche per avvicinarsi a Dio, come ci ha insegnato San Francesco e come ribadisce la Laudato si’: essa ci offre sostentamento e noi dovremmo imparare a rispettarla per innescare un circolo virtuoso”.
Don Bruno, scherzosamente, paragona anche i suoi parrocchiani ai chicchi di caffè: uno diverso dall’altro, ciascuno con una propria storia, unica e irripetibile. A far la differenza, poi, è la tostatura, ovvero la capacità di estrarre il meglio da ciascuno, proprio come fa un bravo educatore con i suoi ragazzi. “Riusciamo a produrre circa 800 chilogrammi di caffè tostato al mese, confezionato e spedito in tutta la Thailandia. Le richieste maggiori arrivano generalmente dagli hotel – prosegue il parroco – e da turisti curiosi di assaggiare un caffè tostato all’italiana. La pandemia ha creato non poche difficoltà legate alla mancanza di turisti, ma non per questo il progetto si è arrestato. Anzi, puntiamo a incentivare la coltivazione delle piante autoctone di the e proseguiamo l’attività su un progetto di recente avvio che prevede la coltivazione e la lavorazione del cacao, che può crescere tranquillamente anche in pianura, offrendo sostentamento ai parrocchiani che vi abitano e non possono coltivare il caffè”.
*Cube Radio – Istituto Universitario Salesiano Venezia e Verona