L’arcivescovo osservatore vaticano all’Onu di New York è intervenuto nel trentennale della Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo svoltasi al Cairo: c’è stata un’”erosione del rispetto per la sacralità della vita umana e per l’inalienabile dignità della persona”
L’Osservatore Romano
Trent’anni dopo la Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo del Cairo, è «fondamentale» respingere l’idea che il controllo della popolazione sia la chiave dello sviluppo sostenibile mentre rimane «essenziale» garantire a tutti gli uomini, le donne e i bambini l’opportunità di «realizzare il loro pieno potenziale». È quanto sottolineato dall’arcivescovo Gabriele Caccia, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, nella dichiarazione resa ieri a New York per il 30° anniversario dell’evento organizzato dall’Onu nel settembre 1994.
La Conferenza riconobbe l’importanza di «garantire il benessere degli individui e delle famiglie», presentando «le persone non come un ostacolo allo sviluppo» bensì come «al centro delle preoccupazioni per lo sviluppo sostenibile».
Nonostante i progressi compiuti, monsignor Caccia ha osservato come persistano numerose sfide, in particolare nel perseguire l’eliminazione della povertà. Anche l’attuazione del programma d’azione della Conferenza del Cairo è diventata più ristretta e le discussioni sono «regredite», tentando di inquadrare la popolazione «come un problema da “risolvere”». Ciò è evidente, ha notato, «nella spinta all’aborto con il pretesto di un linguaggio politicamente corretto»: si tratta, ha messo in luce, non solo di un «dannoso fraintendimento del programma d’azione», ma anche «dello sviluppo in senso più ampio», portando «all’erosione del rispetto per la sacralità della vita umana e per l’inalienabile dignità della persona».