Marco Guerra – Città del Vaticano
Almeno 30 persone sono state uccise e altre 20 sono state ferite da miliziani jihadisti nel Burkina Faso orientale. Secondo quanto riferisce un funzionario governativo, gli estremisti hanno circondato il villaggio di Kodyel, vicino al confine con il Niger, e sono andati casa per casa uccidendo le persone e incendiando le abitazioni.
Le ritorsioni dei jihadisti
Le autorità ritengono che i jihadisti avrebbero colpito il villaggio perché ha fornito combattenti al programma nazionale dei Volontari per la difesa della Patria (Vdp) che aiutano l’esercito a mantenere la sicurezza. Spesso infatti le comunità che forniscono i volontari incorrono in ritorsioni da parte degli estremisti.
L’uccisione di giornalisti europei
L’attacco arriva esattamente una settimana dopo che due giornalisti spagnoli e un ambientalista irlandese sono morti e una guardia governativa scomparsa in un agguato terroristico contro le pattuglie anti-bracconaggio, condotto sempre da gruppi di estremisti islamici. Secondo gli osservatori l’esercito mal equipaggiato non riesce a contenere le azioni dei jihadisti legati ad al-Qaida e allo Stato Islamico, che hanno ucciso migliaia di persone e causato più di un milione di sfollati interni.
Sahel sempre più turbolento
Questo nuovo attacco si inserisce nell’aggravarsi dell’instabilità e delle violenze in tutta la regione del Sahel, che ha portato a una delle crisi umanitarie più acute del mondo. La scorsa settimana le Nazioni Unite hanno infatti stimato che circa 29 milioni di saheliani hanno bisogno di aiuto e protezione, si tratta del massimo storico, con 5 milioni in più di persone in stato di necessità rispetto allo scorso anno. In questo contesto i gruppi jihadisti hanno anche alimentato le tensioni religiose ed etniche tra le comunità agricole e pastorali in Mali, Burkina Faso e Niger al fine di aumentare il reclutamento tra le fasce di popolazione emarginate.
Casale (Rivista Africa): Burkina Faso paese fragile
“Questa fiammata di violenza è simbolo di una crisi di tutta l’area del Sahel. Ricordiamo poi che il Burkina Faso solo dal 2015 ha iniziato un processo di transizione democratica, quindi le istituzioni politiche e le forze armate sono ancora molto fragili e non sono in grado di contrastare in modo efficiente la minaccia terroristica”, così il giornalista esperto dell’Area e redattore della Rivista Africa, Enrico Casale, analizza per Vatican News la situazione nella regione africana del Sahel.
Sahel crocevia di traffici illeciti e terrorismo
Allargando lo sguardo a tutta la regione, Casale ricorda che dal 2015, nel Sahel centrale nell’area del Lago Ciad, gli attacchi violenti sono aumentati otto volte. “Una situazione di instabilità dettata soprattutto dall’azione dei gruppi terroristici legati allo Stato Islamico e al Qaeda – evidenzia ancora Casale -. Da quella zona passano inoltre le rotte del traffico di armi, della droga, delle sigarette e degli esseri umani”. Secondo il giornalista esperto dell’area, le violenze che si inseriscono anche nel fenomeno dei cambiamenti climatici e quindi di una profonda riduzione delle risorse. I circa 30 milioni le persone che hanno bisogno di assistenza e protezione, perché vivono in estrema povertà, alimentano violenza e ostilità in cui si inserisce il fondamentalismo islamico.
L’intervento internazionale
Riguardo alla necessità di un intervento internazionale, Casale riferisce della presenza delle truppe Francesi “a cui presto si affiancheranno le forze italiane e di altri Paesi europei”. “Un intervento di interposizione sotto l’egida delle Nazioni Unite – sostiene il giornalista – sarebbe fondamentale per riportare la pace nelle regione, un intervento che deve coordinarsi con le forze nazionali dei Paesi del Sahel che sono tutti interessati da questo fenomeno”. “Bisogna sostenere le forze militari e la sicurezza di questi Paesi ma anche il loro processo democratico – conclude Casale -. Solo attraverso la democratizzazione si può arrivare ad una distribuzione più equa delle risorse e quindi ad una diminuzione delle tensioni, dietro questo sforzo ci vuole una comunità internazionale coesa”.