Rosario Tronnolone – Città del Vaticano
Bellissima. Di una bellezza singolare, di quelle che durano nel tempo e non sono legate alla freschezza dell’incarnato, ma che risiedono e si intuiscono dietro lo sguardo, o nella piega del sorriso. Sembra impossibile oggi che il cinema potesse fare a meno di un volto simile, eppure quando, nel 1953, si diplomò all’Accademia d’Arte Drammatica diretta da Silvio d’Amico, la giovane attrice pensava di voler fare solo teatro. Il cinema italiano di quel periodo sembrava non aver bisogno di attori accademici, prediligeva volti genuini, semplici, privi di forzature. Casomai, pensava, avrebbe potuto prestare la sua voce, singolare anch’essa, così roca, sgraziata (e straziata), arcana, al doppiaggio.
Una voce singolare
La sua voce piaceva a pochi, ma quei pochi erano Pasolini, che la volle per la moglie di Accattone, Monicelli, che le affidò un personaggio dei Soliti ignoti, e soprattutto Antonioni, che le chiese di doppiare Dorian Gray nel Grido. Fu l’incontro fondamentale della sua vita, non solo artistica. Con il regista ferrarese girò quattro pietre miliari del nostro cinema: L’avventura, L’eclissi, Deserto Rosso e La notte. Si ritrovarono ancora nel 1980 per Il mistero di Oberwald, tratto da un testo di Cocteau, ennesima sperimentazione del regista con il colore dei sentimenti.
Dai ruoli drammatici al registro comico
Intanto, al tavolo di un bar di piazza Bologna, aveva scelto un nome d’arte (per non far vergognare i suoi, diceva): Vitti era la metà del cognome di sua madre, Monica l’aveva sentito alla radio. Il suo nome di nascita era Maria Luisa Ceciarelli. Dopo i film con Antonioni, con l’intelligenza che la contraddistingueva, si era provata nel registro comico, trovando nell’umorismo surreale la naturale conseguenza dei temi dell’alienazione e dell’incomunicabilità. Ha lavorato anche all’estero, con Vadim, Losey e Cayatte, rimanendo però fedele alla propria personalità, difendendola, perché, diceva, “occorre proteggersi dagli inquinamenti dell’anima.”
Con i giovani attori all’Accademia
Monica Vitti ha saputo amare i propri difetti e ne ha fatto caratteristiche inimitabili. Con il regista Roberto Russo, il suo ultimo compagno, si provò anche nella sceneggiatura, raccontando donne complesse e fragili, di una comicità vulnerabile. Ha insegnato per anni all’Accademia d’Arte Drammatica e ai suoi allievi raccomandava di “sapersi guidare senza avere coscienza della guida”, di fidarsi di quel misterioso istinto che accompagna l’attore pensante.
Buona notte, Monica.