Broglio, presidente dei vescovi Usa: il Sinodo, occasione per superare le polarizzazioni

Vatican News

Joseph Tulloch – Città del Vaticano

C’era anche il nuovo presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, monsignor Timothy Broglio, tra i partecipanti alla riunione di due giorni (28-29 novembre) organizzata dalla Segreteria generale del Sinodo con presidenti e coordinatori delle Assemblee continentali. L’arcivescovo, finora ordinario militare degli Usa, recentemente eletto a capo dell’episcopato Usa, ha parlato con Vatican News di come gli Stati Uniti affronteranno questa seconda fase del cammino avviato dal Papa. In particolare, Broglio ha spiegato come si è svolto l’incontro di Roma e illustrato le strategie volte a raggiungere le voci degli emarginati. Il Sinodo, ha anche affermato, è un’opportunità per combattere la polarizzazione nella Chiesa statunitense.

Siete appena giunti alla fine di questa riunione di due giorni con la Segreteria del Sinodo. Come è stato? Di cosa avete parlato e cosa avete imparato? 

Penso che sia stato un incontro molto utile, durante il quale abbiamo visto sostanzialmente come ogni gruppo ha affrontato la sessione continentale. È interessante che tutti i continenti lo facciano in modi diversi, e questo riflette anche la diversità delle realtà rappresentate. Gli Stati Uniti e il Canada, in particolare, stanno utilizzando un approccio virtuale a causa delle grandi dimensioni dei rispettivi Paesi e della questione logistica, ma è molto interessante vedere la varietà di approcci. Quanto alle cose imparate in questi giorni, credo che sia stato molto utile il tempo dedicato alla conversazione spirituale. La sfida sarà ora come mettere tutto in pratica nei nostri diversi incontri continentali. Ovviamente, sarà molto importante la capacità di ascoltare e poi mettere insieme ciò che abbiamo sentito.

Una delle istanze che maggiormente ricorre nel Documento di lavoro per la fase continentale è che il Sinodo ascolti la voce di tutto il popolo di Dio. Si parla in particolare di far sentire la voce delle donne e dei laici, delle persone che vivono in condizioni di povertà ed emarginazione. In che modo la Chiesa negli Stati Uniti cercherà di mettere in pratica questa richiesta?

Come ho detto, stiamo utilizzando un metodo virtuale… La speranza è che, non obbligando le persone a recarsi in un luogo, possiamo raggiungere anche i più emarginati e coloro per i quali affrontare il costo di un viaggio potrebbe essere problematico. Ora, dipenderà molto da ogni vescovo diocesano incaricare queste persone, perché ognuno può avere da 3 a 5 delegati. Dipenderà quindi dalle singole diocesi assicurarsi di avere una rappresentanza trasversale di persone. Si spera che ciò avvenga ora; il fatto che abbiamo prorogato la scadenza di qualche giorno renderà tutto un po’ più facile, credo, per alcune diocesi che sono un po’ in ritardo. Spero che sia uno scambio proficuo. Abbiamo dieci opportunità di partecipazione: cinque in inglese, due in francese e tre in spagnolo. Si spera quindi che ci sia un ampio spettro di partecipanti sia negli Stati Uniti che in Canada, perché lo stiamo facendo insieme.

Una delle cose di cui si sente parlare molto nel contesto della Chiesa statunitense è la polarizzazione. Pensa che il percorso sinodale possa aiutare in questo senso?

Spero proprio di sì. Penso che l’enfasi posta sull’ascolto sarà di grande aiuto se le persone entreranno in questi momenti di conversazione, dialogo e discernimento con uno spirito di ascolto l’uno dell’altro. Purtroppo, uno degli aspetti – non so quanto sia diffuso nella Chiesa, ma certamente lo è nella società in generale negli Stati Uniti – è l’incapacità di ascoltare l’altro. Si ascoltano solo i notiziari che dicono quello che si vuole sentire o esprimono il proprio punto di vista, e se non si è d’accordo con qualcuno, allora non lo si ascolta. Lo vediamo persino nei campus universitari, dove un aspetto fondamentale dell’apprendimento è anche ascoltare chi non è necessariamente d’accordo con me. Abbiamo questa chiusura per cui non vogliamo ascoltare le persone e, se rappresentano una certa posizione, non sono le benvenute. Spero che almeno tra i cattolici che partecipano al processo sinodale, ci possa essere questa apertura alla presenza dello Spirito… Ciò non significa necessariamente che questo sia un momento per cambiare le convinzioni, ma è un’occasione in cui si ascolta il punto di vista dell’altro e si cerca di condividere i punti di vista. Spero che ciò contribuisca a sanare, almeno per quanto riguarda la Chiesa, alcune polarizzazioni.

Cosa la entusiasma di più del processo sinodale in questa prossima fase continentale?

Mi entusiasma soprattutto il fatto che lavoreremo insieme al Canada. Come ha sottolineato più volte il mio fratello canadese, è il confine più lungo del mondo che non è stato toccato. Abbiamo molto in comune – e naturalmente anche abbastanza per distinguere le due realtà – ma è un arricchimento per poter entrare nell’altro Paese e ascoltarlo. Grazie a queste sessioni, non sarà necessario il passaporto per partecipare, saranno miste. Quindi penso che ci sarà una grande apertura e un grande apprezzamento della Chiesa in entrambi i Paesi. E poi sarà interessante vedere, quando arriveremo alle conclusioni, quale sarà il contributo della Chiesa del Nord America all’intero processo sinodale. Sarà molto interessante vederlo.