Bonafede: fare esperienza di ecumenismo vuol dire ascoltare

Vatican News

Antonella Palermo – Città del Vaticano

“In Oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti qui per onorarlo”: è il tema scelto quest’anno per pregare sull’unità dei Cristiani. In un tempo in cui l’agire collettivo è al limite della paralisi a causa dei condizionamenti dovuti alla pandemia, come e dove si può trovare la luce per riorientarsi, mettere a fuoco meglio le priorità, finalmente rinnovare lo sguardo per vedere e servire laddove c’è un bisogno? Maria Bonafede, Pastora della Chiesa evangelica valdese, risponde a Vatican News:

Ascolta l’intervista con Maria Bonafede

Porsi a servizio del Vangelo richiede oggi l’impegno a difendere la dignità umana, soprattutto dei più poveri, dei più deboli e degli emarginati. L’esperienza dei “corridoi umanitari”, in corso da anni insieme alla comunità di Sant’Egidio, è l’esempio più lampante di una collaborazione tra le Chiese in questo senso. Ci vuole segnalare altre modalità di impegno comune che vanno in questa direzione?

Si tratta di modalità anche molto piccole, in realtà. Tutte le comunità hanno dei servizi di ascolto, di accoglienza delle emergenze, per trovare delle soluzioni, per esempio, per l’alloggio di una notte [a senza fissa dimora, ndr]. C’è la sensazione che ci siano persone molto in difficoltà anche per far fronte alla vita quotidiana, per l’organizzazione della propria esistenza; è qualcosa che c’è sempre stato ma che è nuovo come esperienza diffusa. Persone che non sanno come mangiare, che prendono due mezzi di trasporto per andare a prendere un sussidio alimentare. Ecco, sono cose che si sono moltiplicate con la pandemia, diventando quasi ‘normali’. Mi fa molta impressione non sapere come fare per dare da mangiare ai propri figli, non ci si aspetta una cosa del genere nell’Occidente evoluto. E, allora, le Chiese si danno abbastanza da fare per riuscire a provvedere anche a richieste di questo tipo. Poi c’è l’ambito delle persone disorientate dall’esistenza, che hanno perso un po’ il senso della realtà, l’interezza della personalità, a livello cognitivo e relazionale. Questo mi sembra un pericolo molto presente. Le comunità hanno molto da fare in questa direzione, anche se poi alla fine il loro servizio è molto piccolo. 

La pandemia ci ha catapultato nella consapevolezza di essere fragile umanità sulla stessa barca. Purtroppo ha anche accentuato le divisioni tra le persone, per definizione il virus è divisivo. Come le Chiese possono far ritrovare una unità, una fiducia, una luce, appunto? 

Da un lato, le Chiese possono tanto in questa direzione, perché hanno questa caratteristica molto bella della loro vocazione: non hanno categorie di persone, ci sono giovani, anziani, abbienti, poveri… il miscuglio fa sì che si incontrino realtà anche molto diverse e che possono convivere. C’è chi fa i dibattiti sul vaccino sì, vaccino no, ci sono quelli che non hanno lo status per esserci e invece ci sono… in tutto questo, il fatto di trovare udienza, molto prima che accoglienza, poter ascoltare punti di vista molto diversi, secondo me è una cosa molto importante, molto preziosa. Consente di confrontarsi sul tema della luce e di cercarla una luce, una strada insieme. Può ambire a non rimanere nel ‘mio’, nel ‘tuo’ buio e trovare piccole strade di soluzione. In generale, ritrovare la fiducia è molto difficile perché è stata molto minata da questa pandemia e anche dalle molte dichiarazioni per cui si sa come se ne esce e poi non se ne esce mai. Questo non ha aiutato la fiducia profonda che oggi è molto più debole. E’ un tema molto vasto, certo. Le Chiese parlano di Dio, di Gesù, della salvezza, della possibilità di intravedere quello che si dice. Questa possibilità di porre domande e di essere ascoltati, e insieme di cercare possibilità di uscita, credo sia una funzione buona delle Chiese.

In uno dei versetti biblici proposti per la meditazione durante la Settimana di Preghiera per l’unità, “Essi presero allora un’altra strada e ritornarono al loro paese”, si suggerisce la conversione dalle consuete vie della separazione, alle nuove vie di Dio. Come risuona in lei questo versetto?

E’ molto evocativo. Intanto, “l’altra strada” la prendono perché c’è qualcuno che gliela indica. Bisogna ascoltare tutte le voci, guardare tutte le voci, le voci che ci parlano in tanti modi: delle persone, dell’anima, della Bibbia, e sapere che quando non vedi una possibilità, in realtà, se ascolti di più, è possibile che venga fuori una indicazione che riguardi proprio te e la tua vita. Secondo me, è una cosa molto bella. Poi il fatto che questi testi testi vengono dal Medio Oriente vuol dire che noi ascoltiamo anche la voce di realtà molto combattute in cui vivere è molto difficile. L’idea che è possibile drizzare le orecchie e la vista mi sembra che in questo tempo così difficile – perché a lungo provati – è preziosa. L’essere incoraggiati a trovare parole e percorsi nuovi facendo comunità.

Insistere sulla dimensione dell’ascolto mi stimola a farle una domanda che ha a che fare con il percorso sinodale intrapreso dalla Chiesa cattolica. Come guardate a questa iniziativa, quali i vostri auspici anche in chiave ecumenica?

Io ho trovato che questa idea del Sinodo è molto buona, mi sembra una iniziativa preziosa e che fa nascere molte aspettative. Mi auguro che veda una partecipazione delle confessioni cristiane. Credo che sia il momento di avere dei delegati ecumenici, che si cerchi una interlocuzione con i fratelli e le sorelle delle Chiese cristiane.