Michele Raviart – Città del Vaticano
“C’è democrazia solo se l’indipendenza del sistema giudiziario è rispettata e non è soggetta all’interesse politico del Governo al potere. La democrazia è rispetto per la verità. Non si può creare un falso resoconto della storia, inventando la verità e manipolando la coscienza dei boliviani”. A parlare a nome di tutti i vescovi boliviani è monsignor Ricardo Centellas, arcivescovo di Sucre e presidente della conferenza episcopale del Paese, commentando i recenti arresti del fine settimana. L’ex presidente ad interim Jeanine Aňez, infatti, è stata incarcerata preventivamente per quattro mesi e si trova ora in una prigione di La Paz, accusata di cospirazione, terrorismo e sedizione insieme a due ex-ministri del suo governo. Una catena di eventi che ha riacuito le tensioni politiche nel Paese, dopo che le elezioni presidenziali dello scorso ottobre, concluse con la vittoria di Luis Arce, avevano posto fine ad undici mesi di transizione politica.
L’accusa di colpo di Stato
Dopo le elezioni dell’ottobre del 2019 Evo Morales, dichiarato vincitore per un quarto mandato consecutivo nonstante i risultati di un referendum del 2016 avessero vietato questa possibilità, si dimise e fuggì all’estero in un clima di proteste dei cittadini boliviani e di accuse di frode sostenute anche dall’Oas, l’Organizzazione degli Stati Americani. Il 12 novembre 2019, due giorni dopo le dimissioni di Morales, fu avviato un processo di transizione temporanea, guidato dall’allora secondo presidente del Senato Aňez e avallato dalla Corte Costituzionale. L’attuale governo di Arce, già importante ministro dell’Economia durante l’era Morales, e il partito di maggioranza Movimento per il Socialismo (Mas) si riferiscono a quegli eventi parlando di un colpo di Stato e sostengono che le dimissioni di Morales siano state in un qualche modo imposte dai militari che avrebbero poi favorito il governo di Aňez. Non si tratta di vendetta, dicono alcuni ministri dell’esecutivo di Arce, ma di una ricerca di giustizia per le morti dei civili durante le proteste del 2019 e la persecuzione contro i sostenitori di Morales.
I vescovi: non restare passivi davanti alle violazioni dei diritti
“L’arresto e il perseguimento dell’ex presidente della Bolivia, Jeanine Añez, insieme a molti dei suoi ministri, politici, polizia e militari, senza tener conto delle garanzie costituzionali minime o addirittura della presunzione di innocenza, conferma il modo di agire che, purtroppo, abbiamo visto nel sistema giudiziario, che lascia alcuni impuniti e criminalizza altri, a seconda del potere politico del momento”, ribadisce il presidente dei vescovi boliviani, che invita a “non restare passivi, mentre si perseguitano i cittadini che hanno servito la Bolivia, con i propri limiti, nei momenti difficili della sua storia e cercando vie di pacificazione. Invitiamo tutti a riflettere e ad aiutare la nostra gente a guardare al futuro con speranza”, e i poteri dello Stato “a desistere dal controllo totale del potere”.
Il governa valuta azioni legali contro l’Oas
Intanto, il ministro degli esteri del Perù sta valutando una richiesta di asilo presentata da Roxanna Lizarraga Vera, ex ministro della Comunicazione del governo Aňez, mentre il governo boliviano deciderà se intraprendere o meno azioni legali nei confronti del segretario generale dell’Oas Luis Almagro, per “persistenti sue ingerenze negli affari interni boliviani”, dopo che l’organizzazione ha detto che non ci sarebbero sufficienti garanzie di “un processo equo, imparziale e giusto” nei confronti degli arrestati. “Non ci sorprende la sua difesa di Aňez”, ha scritto su twitter Evo Morales, ora rientrato in Bolivia, “perché anche lui dovrebbe essere processato per aver propiziato il colpo di Stato e per crimini contro l’umanità”.
Monsignor Coter: gli arresti sono un pessimo segnale
“Il momento che stiamo vivendo è un momento particolarmente forte e importante. Siamo di fronte a una fase di ‘giuridicizzazione’ della politica”, spiega a Vatican News monsignor Eugenio Coter, vicario apostolico di Pando, nel nord del Paese. “Nel 2019, ricorda, il parlamento, i cui due terzi erano composti dal partito di governo, accettò la rinuncia del presidente, ha proceduto alla successione costituzionale prevista riconoscendo il mandato alla presidente Aňez, che ha iniziato a governare di fronte anche a tutte le incertezze sia per il Covid-19 sia per la situazione politica”. “Gli arresti di questi giorni sono un pessimo segnale”, aggiunge, “di degenerazione dei diritti democratici e dei diritti civili della gente. È un momento molto preoccupante”.