di Dale S. Recinella
A partire dal 1999, tra i miei rituali di ogni anno ci sono i pellegrinaggi, in febbraio, aprile e maggio, nei grandi discount sparsi nella campagna centro-settentrionale della Florida, da Jacksonville a Lake City, a Gainsville, a Starke. Ogni anno mi occorrono circa 1.400 biglietti augurali di San Valentino, circa 900 biglietti per la Festa della Mamma e circa 700 per la Festa del Papà. Devo darli tutti ai condannati a morte quando vado a visitarli di cella in cella.
Il regolamento carcerario è rigidissimo riguardo ai biglietti augurali che i detenuti sono autorizzati a spedire. Niente materiale luccicante. Niente nastrini o altri ornamenti frivoli. Niente inserti pop-up tridimensionali o incollati. Niente plastica. Niente metallo. Niente stagnola. Niente legno. E nessun tipo di busta che non sia bianca, giallina o celestina. Il timbro a inchiostro rosso, che il Dipartimento Correzionale della Florida imprime su ogni busta che lascia il carcere per posta, deve essere molto ben visibile.
Nessun biglietto a contenuto sguaiato o allusivo al sesso. Nessun biglietto con soggetti alcolici o legati al bere. Nessun biglietto con immagini di bambini piccoli. Nessun biglietto eccessivamente romantico.
Ogni anno diventa sempre più difficile trovare biglietti che rispondano alle limitazioni del carcere, persino per la Festa della Mamma. E quindi, ogni anno, io vado avidamente a caccia di centinaia di biglietti augurali da mezzo dollaro nei cestoni dei supermercati economici, che scovo lungo le strade meno trafficate nelle campagne settentrionali della Florida.
Tutto sta nel tempismo. Se ci si presenta solo un giorno o due dopo che i biglietti sono stati messi in vendita sugli scaffali di un particolare grande magazzino, è possibile trovarne anche otto o dodici o persino ventiquattro dello stesso tipo. È ancora vivido in me il ricordo di un momento imbarazzante, con un amico che mi accompagnava in questo pellegrinaggio da un grande magazzino all’altro. Inaspettatamente ebbi un colpo di fortuna nel reparto dei biglietti augurali di un negozio isolato. Mentre riempivo allegramente il mio cestino con decine di confezioni, ognuna da 12 biglietti, tutti adatti ai requisiti del carcere per la Festa di San Valentino, dovevo apparire un po’ come il pirata Barbanera che arraffa monete d’oro.
Il mio accompagnatore mi guarda amorevolmente e mi chiede, preoccupato: “Fratello Dale, sei sicuro che tutto ciò sia spiritualmente appropriato?”
Sia come sia, nulla eguaglia l’esperienza di arrivare alla cassa di un supermercato di campagna con centinaia di biglietti di auguri.
“Quante madri ha?” è tra i commenti più gentili che ho ricevuto da cassieri contrariati, che devono scannerizzare il codice a barre sul retro di ciascun biglietto da mezzo dollaro.
Immancabilmente, colgo questa occasione per dire che i biglietti sono per i condannati a morte della Florida, che così possono spedirli ai loro cari. Di sicuro, questo interrompe la conversazione per qualche secondo. Poi la faccenda si fa proprio interessante, e molti dei clienti abituali del supermercato si avvicinano per ascoltare.
“Quindi lei è contro le vittime e a favore dei criminali!”
“No.” Guardo sempre il mio interlocutore negli occhi e parlo gentilmente. “Di fatto, mi sono reso conto che tra le vittime invisibili di questi crimini orrendi ci sono spesso i familiari di chi li ha commessi. I biglietti augurali sono quindi per loro: i figli, le madri, i padri, i fratelli e le sorelle, le mogli. La maggior parte di queste persone non hanno fatto niente di male”.
“In che senso sono vittime?”
“Nessuno arriva in carcere da solo. Tutti portano sempre con sé i loro familiari. E quando un uomo viene condannato alla pena capitale, porta i suoi familiari nel braccio della morte”.
“Però la vittima del suo crimine non potrà mandare biglietti d’auguri alla sua mamma o al suo bambino o a suo marito! Che mi dice di questo?”.
“Ha ragione. E non posso porvi rimedio. Quindi, faccio il poco che posso cercando di alleviare le sofferenze delle altre vittime innocenti, quelle della famiglia del condannato”.
Alcuni dipendenti mostrano indifferenza. Altri dicono semplicemente che non approvano ciò che faccio, ma che devono ugualmente accettare il mio pagamento perché hanno bisogno di lavorare. Qualche commessa mi ha gettato addosso i biglietti e si è rifiutata di farmi uscire con gli acquisti. Una volta una dipendente lasciò la cassa, dopo aver detto al direttore che o io me ne andavo subito o se ne andava lei. Non ho dubbi che reazioni emotive così forti affondino le radici nell’orrenda perdita di una persona cara a causa di un crimine violento. La nostra società non ci prova nemmeno a imparare come confortare coloro che hanno subito una perdita così terribile.
Ci sono dipendenti che si stupiscono all’idea che i condannati a morte abbiano dei familiari e delle persone care. Sembrano scossi da questa idea, e poi accettano di buon grado di scannerizzare i biglietti di auguri.
Molte volte ogni anno, mentre esco dal supermercato trasportando le mie borse fino al parcheggio, qualcuno mi si avvicina alle spalle. Un uomo, una signora anziana, una coppia di coniugi. Parlano sempre a voce bassa e con cautela, come se far uscire le parole costasse loro un grande sforzo.
Nostro figlio è in prigione… Il mio papà è in prigione… Mio fratello è in prigione… Mio nonno è in prigione… Mia madre è in prigione… Nostra figlia è in prigione… Nostro nipote è in prigione… segue un sospiro che viene dal cuore: “Grazie”.
In Florida è permesso dal febbraio 1999, ai volontari che assistono pastoralmente i detenuti, distribuire ai condannati a morte i biglietti per San Valentino, per la Festa della Mamma e per la Festa del Papà. Dobbiamo superare i controlli mostrandoli nei nostri sacchetti di plastica trasparente. Se anche un solo biglietto si rivelerà contenente materiale non autorizzato, la guardia che ci ha lasciato passare dovrà cercarsi un altro lavoro il giorno stesso. Ogni esame dei biglietti è molto accurato e spesso capita che i contenitori di plastica con i biglietti vengano perquisiti più volte: al cancello d’ingresso del carcere, alla cappella, all’ingresso dell’edificio con il braccio della morte, all’ingresso dei singoli corridoi, e in qualsiasi posto tra uno e l’altro di questi ingressi.
Il primo anno in cui portai i biglietti per San Valentino ai condannati a morte, avevo scelto biglietti di forma diversa con buste di misure diverse, e tutto era ben suddiviso in ordine nei miei contenitori. Quando arrivai all’edificio del braccio della morte per iniziare la distribuzione passando davanti a ogni cella, il contenuto dei miei sacchetti era stato mescolato e rivoltato. Molti detenuti si lamentarono che il biglietto ricevuto non entrava nella busta o che la busta era troppo grande per il biglietto.
Quando tornai due mesi dopo con i biglietti per la Festa della Mamma, tutti i biglietti e le buste erano della stessa misura. Per sopravvivere in carcere bisogna adattarsi, perché il carcere non si adatta a noi.
Tra i miei compiti, in qualità di cappellano cattolico nel braccio della morte in Florida, c’è quello di rendermi disponibile per incontri pastorali individuali con i condannati. Non sono mai io ad avviare questi incontri. Solitamente iniziano su richiesta del detenuto. In casi rari, può anche essere richiesto dalle guardie e dal personale che cercano onestamente di migliorare le condizioni di un particolare detenuto.
Ad esempio, in un’occasione, le guardie sono molto preoccupate per un prigioniero che ha sofferto da poco per la morte di alcuni cari amici e di alcuni familiari. Il personale teme che possa essere depresso al punto di tentare il suicidio. Le guardie hanno l’incarico di stare alla sua porta (definizione carceraria per indicare la sorveglianza anti-suicidio). Ad ogni cambio di turno del personale, la nuova guardia incaricata siede al posto della precedente su una sedia pieghevole davanti alla cella. Mi chiedono di avere con lui un incontro pastorale. Accetto, a condizione che il detenuto venga di sua volontà. Lui è d’accordo.
Le guardie lo scortano, in catene e ammanettato, dalla cella fino alla stanza dei colloqui e lì ci rinchiudono insieme. Il detenuto e io stiamo seduti tranquillamente ai lati opposti del tavolo mentre lui mi squadra. Mi conosce perché faccio il giro davanti a tutte le celle e sa che da anni gli porto i biglietti augurali da inviare a sua mamma e a sua sorella.
“Grazie per tutti i biglietti natalizi e per San valentino e per la Festa della Mamma che mi hai portato in questi anni.”
“Non c’è di che. Spero che abbiano procurato un sorriso a tua mamma e a tua sorella.”
Lui liquida la mia risposta formale e va al sodo. “Guarda che non sono uno del tuo gregge!”, il suo tono è irritato e sdegnoso.
“Lo so.” Annuisco sorridendo.
“E allora cosa cavolo vuoi da me?”
“Ci sono molte persone qui che si preoccupano per te. Mi hanno chiesto di incontrarti.”
“Ok, questo è il motivo per cui facciamo questo incontro, ma tu non hai risposto alla mia domanda. Cosa vuoi tu da me?”
“Voglio convincerti che la tua vita è un dono di Dio, e che persino qui dentro la tua vita è un dono di grande valore.”
“Cosa?” mi lancia un’occhiataccia roteando gli occhi. “Scu—u—u—u—u—sa? Credevo che fossi un cristiano, ma devo essermi sbagliato!”.
“No, nessun errore. Sono un cristiano cattolico.”
“Voi cristiani siete quelli che vogliono uccidermi!” Le manette producono un tonfo monotono mentre le sue mani colpiscono il tavolo, a puntualizzare le sue parole. “Voi cristiani siete quelli che insistono a volere la pena di morte! E tu hai il coraggio di venire qui a dirmi che la mia vita è un dono? Che genere di ipocrita cristiano sei?”
“Tocca a me adesso?” gli chiedo dopo aver lasciato sbollire la carica di energia negativa della sua tirata.
“Dai, sentiamo”, sbuffa sprezzante. “Sono proprio curioso!”
“Non tutti i cristiani sono favorevoli alla pena di morte. Di fatto la stragrande maggioranza non lo è. Ma siamo in un paese, e in una particolare area del paese, dove molti cristiani credono erroneamente che questa pratica sia voluta da Dio”.
“Questo sarebbe lo stesso Dio di cui tu vorresti parlarmi?”, dice, mentre finge di allungare lo sguardo verso il corridoio, come se volesse che le guardie ponessero fine a questo incontro inutile. “Questo Dio di cui vuoi parlarmi pensa che la mia vita sia un dono?”
“Non posso parlare per gli altri”. Scrollo le spalle cercando di mostrare tutta l’innocenza che posso, considerate le circostanze. “Posso solo parlarti del Dio che io conosco. E il Dio che io conosco è compassionevole all’ennesima potenza. Lui considera la tua vita preziosa, e non vuole la morte di un peccatore”.
“Ah, allora adesso sono un peccatore, vero?” Non riesco a capire se la sua irritazione è reale o simulata. Finge di nuovo di cercare liberazione e salvezza dalle guardie nel corridoio, ma questa volta sta sorridendo, certo per provocarmi un po’.
“Non preoccuparti”, mi metto a ridere. “Benvenuto nel club. Anch’io sono un peccatore.”
“E allora, cappellano peccatore, taglia corto e parla chiaro. Cosa vuoi tu da me?”
“Voglio convincerti che la tua vita è un dono di Dio, e che persino qui dentro la tua vita è un dono di grande valore”.
Scrolla il capo e lo abbassa sul piano del tavolo come se fosse disperato, come se stessimo sprecando il tempo. “Quindi questa è la tua storia e non ti ci smuovi, eh?”.
“Di fatto, questa è la storia di Dio, e Lui non la cambia”.
“Di questo Dio che tu conosci”. La sua enfasi è molto sarcastica.
“Sì, del Dio che io conosco”.
“Beh, non sperarci troppo. Non intendo pregare con te, e non intendo leggere il tuo stupido libro che tutti voi cristiani citate per uccidermi.”
“Vuoi dire che ‘alcuni cristiani’ citano per ucciderti, vero?”.
“Certo, se lo dici tu”.
“Quindi questo significa che ti piacerebbe incontrarmi con regolarità?”.
“Non direi che mi piacerebbe. Ma va bene”.
Nel corso dei tre anni successivi, quest’uomo è stato battezzato (io e mia moglie siamo stati suoi padrino e madrina), e ha ricevuto la Comunione regolarmente. È morto da poco per cause naturali nell’ospedale del carcere, dopo aver ricevuto l’unzione degli infermi dal sacerdote che assiste i condannati a morte.