In Germania, il 15 aprile, chiuderanno gli ultimi tre reattori ancora attivi, e il Paese dirà addio all’energia atomica: a deciderlo era stata, nel 2011, l’allora cancelliera Angela Merkel. Una scelta che oggi divide anche gli ambientalisti, perché impone di compensare la produzione di energia elettrica in altro modo, complicando il processo di transizione energetica
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
La decisione di chiudere tutte le centrali nucleari tedesche venne presa dodici anni fa, dopo il disastro nucleare di Fukushima, in Giappone, e mercoledì il cancelliere Scholz ha respinto le richieste di un ulteriore rinvio. Così sabato 15 aprile si fermeranno gli ultimi reattori che si trovano in Baviera, Baden-Württemberg e nella Bassa Sassonia: nel 2022 avevano permesso alla Germania di produrre circa il 6 per cento della propria energia elettrica. Le ultime delle 17 centrali nucleari tedesche avrebbero dovuto fermarsi già alla fine dello scorso anno, ma il governo aveva deciso di tenerle aperte per rispondere all’emergenza energetica provocata dalla guerra in Ucraina e dal taglio delle forniture di energia da parte della Russia. Lo smantellamento durerà anni e Berlino non ha ancora un piano preciso per lo smaltimento delle scorie nucleari. Si sta ancora cercando infatti un luogo dove stoccare in modo permanente e sicuro quasi duemila contenitori di rifiuti altamente radioattivi per innumerevoli generazioni.
Gli ambientalisti divisi: nel breve periodo si dovrà tornare al carbone
Plaudono gli ambientalisti del movimento tedesco contro il nucleare, che ricordano i rischi per la sicurezza e l’impatto ambientale delle scorie. Ma altri ambientalisti, politici ed esperti sono convinti che la decisione danneggerà la Germania sia in termini economici che ecologici. Infatti, la chiusura delle ultime centrali nucleari implica la necessità di compensare la produzione di energia elettrica in altro modo, complicando il processo di transizione energetica. Per il medio-lungo periodo la Germania ha avviato la costruzione di centrali solari ed eoliche, quindi per produrre elettricità da fonti rinnovabili, ma nel breve, per colmare la parte di energia non più prodotta dagli impianti nucleari, ha dovuto fare ancora più affidamento sui combustibili fossili, andando in direzione contraria rispetto ai propri obiettivi climatici.
Gli effetti dell’invasione russa dell’Ucraina
Dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina, il governo tedesco ha per esempio aumentato il ricorso alle centrali termiche che bruciano carbone, il combustibile che a parità di produzione causa le maggiori emissioni di anidride carbonica, il principale gas a cui si deve il cambiamento climatico. Per questo la scelta di abbandonare completamente il nucleare è contestata dagli stessi ambientalisti. Nel dibattito degli ultimi mesi è intervenuta anche Greta Thunberg, la nota attivista svedese per il clima, dicendo che chiudere le centrali nucleari è “una cattiva idea” se comporta l’impiego del carbone. Il giornalista e ambientalista britannico George Monbiot ha poi paragonato la dismissione del nucleare tedesco a Brexit, definendola “un inutile atto di autolesionismo guidato dalla disinformazione”.
I Verdi nel governo: si va verso l’uso dell’idrogeno
La protezione del clima è un tema particolarmente spinoso per il governo tedesco: nelle ultime settimane sono emerse profonde fratture tra socialdemocratici, liberali e ambientalisti sulla politica ambientale e le priorità nell’affrontarla. Beate Baron, la portavoce del ministro dell’Economia Robert Habeck (e leader dei Verdi), ha dichiarato che il governo vuole introdurre gradualmente l’uso dell’idrogeno, che può essere prodotto senza emissioni di gas a effetto serra e alimentato rapidamente nei giorni in cui il sole o il vento sono troppo scarsi per produrre energia rinnovabile.
I tedeschi divisi su possibili nuove centrali
Infine, la guerra in Ucraina sembra aver cambiato la percezione del nucleare anche nell’opinione pubblica: secondo un sondaggio realizzato lo scorso agosto dallo Spiegel, il 67 per cento dei tedeschi si era detto favorevole a un’estensione di cinque anni dell’attività delle centrali nucleari attive nel Paese e il 41 per cento alla costruzione di nuovi impianti. Mentre in un sondaggio simile realizzato circa 30 anni fa, solo il 3 per cento si era detto favorevole.