Isabella Piro – Città del Vaticano
“Disagio materiale, educativo, professionale o morale, incompatibile con l’interesse della donna o del nascituro”: sono questi i casi nei quali, d’ora in poi, in Benin si potrà praticare l’aborto entro i primi tre mesi di gravidanza. Finora, infatti, l’interruzione volontaria della gestazione era consentita dalla legge solo in caso di stupro, incesto, pericolo di vita della madre o del nascituro. Il 20 ottobre, invece, il Parlamento ha approvato un ddl che, di fatto, modifica gli articoli 17 e 19 della normativa sulla salute sessuale e riproduttiva, risalente al 2003. Per l’entrata in vigore della nuova legge, manca ancora la ratifica della Corte Costituzionale. Dopo di che, l’aborto nel Paese diverrà legale nella maggior parte delle circostanze.
No alla cultura della morte
Inascoltata, dunque, la voce della Conferenza episcopale nazionale (Ceb) che, in una nota a firma del suo presidente, monsignor Victor Agbanou, e diffusa nei giorni scorsi, aveva esortato i deputati a votare contro il progetto normativo, definendolo come “una pura e semplice legalizzazione dell’aborto”. “Vi supplichiamo – scrivevano i presuli, rivolgendosi ai parlamentari – in nome di Dio, in nome della nostra umanità, in nome dei piccoli innocenti, di attingere ai valori culturali, morali e spirituali del popolo che rappresentate per dire un no categorico alla cultura della morte”.
La vita è sacra e inviolabile
“L’aborto è un atto disumano che distrugge la vita del feto, ma anche quella della madre in molti modi”, affermava ancora la Ceb, ribadendo la necessità di avere “il rispetto incondizionato del carattere sacro e inviolabile della vita, specialmente quella degli innocenti”. Di qui, l’esortazione ai parlamentari a prendere in considerazione tutte quelle “alternative sicure e affidabili” per possono servire a “rimediare ai mali che si vogliono risolvere con la legalizzazione dell’aborto”.