di Diego Possamai
“Santo Padre, il 16 aprile 2005, nel giorno del 78esimo compleanno, Lei comunicava ai suoi collaboratori quanto pregustasse il suo pensionamento. Tre giorni dopo si ritrovò ad essere il Capo della Chiesa universale”. “Veramente avevo sperato di aver trovato pace e tranquillità (…) ho avuto l’impressione di sentire una mannaia calarmi addosso”.
Si apre così il libro-intervista di Peter Seewald a Benedetto XVI Luce del mondo, pubblicato nel 2010 frutto di una lunga conservazione tra il giornalista tedesco e il conterraneo ex Papa emerito. Un dialogo che ha contribuito a scrostare l’idea del pontefice come figura inaccessibile, a tratti autoritaria ma non per questo meno umana: nel libro si racconta della routine del Santo Padre, dei sentimenti e delle paure relative alla salita al soglio pontificio, ma soprattutto si affrontano con singolare franchezza lo scandalo degli abusi (il caso Maciel e le denunce alla chiesa d’Irlanda) e i temi più scottanti per la dottrina cattolica, dai rapporti omosessuali fino al dialogo con le altre religioni. Ma già allora così come pochi anni più tardi in pochi avrebbero previsto la storica rinuncia, sebbene Ratzinger fosse già consapevole che per mandare avanti l’operato di Dio servissero “il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito” come lui stesso ha pronunciato nel suo discorso dimissionario il 13 febbraio 2013, un fulmine a ciel sereno non solo per la Chiesa ma per il mondo intero.
Dal 1415 con la rinuncia di Gregorio XII nessun altro aveva rassegnato le dimissioni dal ministero petrino e non s’era mai verificata la singolare convivenza di due papi, sulla cui coabitazione spesso si sono ricamate speculazioni ideologiche e teologiche basate più su una presunta differenza emotiva tra l’algido tedesco e il progressista terzomondista. Lo storico del cristianesimo Massimo Fagioli ha parlato di “rapporto assai rispettoso tra i due uomini” ma ha anche messo in guardia i giuristi canonici, parlando di una “necessaria regolamentazione perché è probabile che si verifichino situazioni simili” .
L’idea che va delineandosi è che la carica a vita di Vicarius Christi si scontri sempre di più con le esigenze fisiologiche di chi si ritrova a dover ricoprire il ruolo di massima autorità di una famiglia, quella cattolica, che ad oggi conta 1 miliardo e 300 milioni di appartenenti (seppur con le dovute differenze). Certo, il mettersi nelle mani di Dio può essere d’aiuto da un punto di vista spirituale, ma è evidente che le responsabilità e gli impegni a cui il pontefice è sempre di più sottoposto siano fisicamente debilitanti e richiedano qualcosa in più della propria fede.
Lo scorso dicembre Bergoglio ha affermato di aver sottoscritto preventivamente le proprie dimissioni per motivi esclusivamente medici, ma nel recente viaggio tra il Sud Sudan e la Repubblica Democratica del Congo il pontefice ha scacciato qualsiasi dubbio sull’intenzione di poter lasciare la carica: “Io credo che il ministero del papa sia ad vitam. Non vedo ragione perché non debba essere così (…) i papi emeriti non sono una moda” ha risposto alle domande rivoltegli dai gesuiti locali e mettendo fine alle speculazioni della stampa che dopo la morte del suo successore avvenuta nel dicembre scorso avevano riportato in auge il tema delle dimissioni papali.
L’atto di Benedetto XVI è quindi da ritenersi un unicum nel trascorso della Chiesa Cattolica o aprirà le porte di San Pietro ad una nuova tendenza storica? Difficile dirlo.