Nel Duomo di Piacenza, il prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, nell’omelia per la beatificazione del religioso ucciso dai nazisti nel 1944, sottolinea l’esempio luminoso di colui che, così come gli Ulma, ospitò e aiutò “chi era maltrattato quasi fosse suo compagno di patimenti”.
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
Proteggere e salvare gli ebrei, aiutandoli a fuggire dalla persecuzione nazista, fu senz’altro “l’atto più eroico” di don Giuseppe Beotti e, forse, “tra le cause decisive del martirio”, in quanto frutto di una carità pastorale non sconosciuta all’autorità nazifascista. Il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi. nell’omelia alla Messa di beatificazione di don Beotti, oggi pomeriggio nel Duomo di Piacenza, la Cattedrale Santa Maria Assunta e Santa Giustina, racconta la figura del religioso, vittima dell’odio dei nazisti per aver trasgredito alle regole dettate dalla legge antisemita.
Esempio luminoso
Come arciprete della parrocchia di Sidolo, piccola frazione di Bardi in provincia di Parma, nel 1943, dopo l’armistizio dell’8 settembre, e quindi sotto occupazione tedesca, Beotti soccorse e ospitò soldati in fuga, prigionieri fuggiti dai campi e perseguitati, tra loro un centinaio di ebrei. Nel 1944, per rappresaglia dopo l’uccisione di 70 soldati tedeschi, vennero rastrellati e distrutti i paesi della zona, tra questi Sidolo. Don Beotti, rimasto in chiesa, il 20 luglio fu arrestato e fucilato, per rappresaglia ma anche, e soprattutto, come reazione all’aiuto e riparo da lui offerto a tanti ebrei, Il suo martirio fu testimoniato da chi, pur on avendo assistito alla esecuzione, però corse poco dopo sul luogo dell’eccidio. A morire con don Beotti furono anche il chierico, Italo Subacchi, che aveva trovato ospitalità presso don Beotti, e un confratello, don Francesco Delnevo. “Sappiamo che per i nazisti – sono le parole di Semeraro – il semplice fatto di dare ospitalità agli ebrei era considerato come un crimine punibile con la pena di morte”, esattamente come fu per gli Ulma Josef e Wiktoria, beatificati dal porporato lo scorso 10 settembre in Polonia, altro “esempio luminoso” di beati che, come Beotti, ospitarono e aiutarono “chi era maltrattato quasi fosse suo compagno di patimenti”.
La carità nascosta
La carità pastorale di don Giuseppe Beotti, prosegue Semeraro, “fu una scelta di vita”, donare ai poveri tutto ciò che aveva, lui che “la povertà, l’aveva sperimentata in famiglia”, ma che però la trasformò in ricchezza di dono, “specialmente per chi alla povertà univa altri gravi disagi”. Il cardinale si sofferma poi su un altro aspetto della vita del Beato, quella che definisce una “carità nascosta” e “conosciuta soltanto dai famigliari e da alcuni intimi”, come quando, sempre dopo l’armistizio, sul treno Parma-Piacenza, “per aiutare un soldato ancora nella sua divisa da alpino, profittando del fatto di essere coperto dalla veste talare, don Beotti gli fece dono dei suoi pantaloni e fece cambio delle scarpe usando quelle da alpino”.
La causa del martirio
Il cardinale Semeraro si sofferma su quella che testimonianze dell’epoca riconducono ad essere la “causa immediata del martirio”: una distribuzione di pane, sul sagrato della Chiesa, il 20 luglio, rivolta a persone che ne facevano richiesta, “gesto che i nazisti videro da lontano con il binocolo e da cui materialmente si sviluppò il dramma”. Un evento nel quale Semeraro vede un “valore simbolico: l’unità tra esercizio del sacro ministero nella divina liturgia e impegno quotidiano della vita. Fin dalla Chiesa antica, difatti, la condivisione dei beni e la raccolta delle offerte a favore dei bisognosi sono strettamente unite all’anamnesi del sacrificio di Cristo”.
La vittoria sulla persecuzione
Il beato Giuseppe Beotti, conclude l’omelia il cardinale, allenandosi con questo tipo di doni, “è giunto a fare, come Cristo Pastore, il dono della propria vita. Forte della grazia di Cristo egli è stato vincitore sulla tribolazione, l’angoscia e la persecuzione e oggi, nella Santa Chiesa, la sua luce sorge come un’aurora”.