Chiesa Cattolica – Italiana

Bambini soldato, una drammatica realtà che non viene fermata

Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

Imbracciano fucili e kalashnikov, usano coltello e machete e vengono reclutati da forze armate o gruppi armati. E sono piccoli, anche piccolissimi, anche di soli 6 anni, i bambini soldato vengono usati nei conflitti come combattenti, come spie, messaggeri o, nel caso di bambine, come schiave sessuali, e si parla del 40%. Sono almeno 18 i Paesi del mondo coinvolti da questo fenomeno, così come indicati dalle Nazioni Unite: Afghanistan, Camerun, Colombia, Repubblica Centrafricana, , India, Iraq, Mali, Myanmar, Nigeria, Libia, Filippine, Pakistan, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Siria, Yemen e Repubblica Democratica del Congo, ed  è qui che è missionario il saveriano padre Faustino Turco, il suo racconto risale agli inizi degli anni 2000, quando la RDC attraversava un drammatico conflitto, in quegli anni il sacerdote si trovava nell’est del Paese, ad Uvira, “una zona di conflitto – ricorda – dove  erano coinvolte diverse milizie. Abbiamo visto come usavano i bambini per la guerra, li chiamavano i kadogo (piccola cosa senza importanza ndr) i piccoli i bambini soldato, li vedevamo da lontano, erano alterati, per non dire drogati, e sappiamo che si tratta di una realtà ancora attuale, venivano quindi messi in prima linea, poi venivano gli adulti, i bambini purtroppo servivano per avanzare, per guadagnare delle posizioni e per uccidere”.

Ascolta l’intervista con padre Faustino Turco

Trovare sicurezza in un fucile. Le bambine schiave

Il fenomeno dei bambini-soldato è una piaga che incide sul futuro dei Paesi che ne sono coinvolti. “Nelle varie attività di pastorale – prosegue padre Turco – riceviamo dei giovani e ci raccontano come per la disoccupazione, per la mancanza di scolarizzazione, trovino poi sicurezza con un fucile in mano.  C’è poi un altro triste fatto, che lascia dei traumi fisici e psicologici spesso veramente non recuperabili, ed è quello delle bambine. In parrocchia, così come nei centri di ascolto, riceviamo delle giovani donne che sono state con dei militari in età adolescente, quando minorenni. Se all’inizio vengono scelte per fare le domestiche, poi subiscono stupri e violenze di ogni tipo”.

La difficoltà di recuperare e reintegrare i bambini

La giornata di oggi vuole sottolineare soprattutto la necessità di salvare e reintegrare questi piccoli che vivono una delle più gravi violazioni dei diritti dell’infanzia. Gli effetti sono devastanti, recuperare questi bambini sul piano fisico e psicologico è difficilissimo, la maggior parte, se non tutti, vengono storditi con alcol e droga e sviluppano dipendenza dagli stupefacenti, come il qat, la sostanza che annienta fame e paura. Reintegrarli è un percorso difficile, lungo, ma non impossibile. I missionari che si trovano in RDC cercano di intervenire nelle piccole città, così come nella capitale Kinshasa. Sono attivi tra i ragazzi di strada e anche tra i minori che si trovano in carcere e che, spesso, sono proprio bambini che hanno avuto esperienze con le milizie. Per padre Turco l’aspetto fondamentale è soprattutto la prevenzione, laddove manca la possibilità di studiare o lavorare, si interviene con i centri giovanili, coinvolgendoli in attività culturali e sportive, realtà che spesso hanno anche aiutato i bambini-soldato a reinserirsi in un ambiente di lavoro, o ad entrare nel mondo dello sport, come arbitri di calcio, ad esempio. “Ciò che è bello – prosegue il missionario – è vedere come i genitori sostengano queste iniziative in favore dei loro figli, perché l’inserimento in società di questi bambini pian piano porta anche all’accoglienza, al ritorno, nelle famiglie di origine”.

Investire sui bambini significa salvare il futuro

Il grande lavoro di chi cerca di recuperare questi ragazzi prevede la restituzione alle loro famiglie, questi bambini spesso sono divenuti dei disadattati, capaci di concepire solo la violenza. “È una grande ferita per le famiglie – aggiunge il missionario – spesso i genitori devono affrontare il senso di colpa”. Una giornata mondiale dedicata a questi bambini vuole dunque sostenere i diritti dell’infanzia, “se investiamo sulla cultura del bambino – è la conclusione di padre Turco – investiamo sull’avvenire”.

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