Chiesa Cattolica – Italiana

Bambini in Cisgiordania, il Natale malgrado la guerra

Nella parrocchia dell’Annunciazione, ad Ain Erik, alla periferia di Ramallah, il parroco padre Firas Abedrabbo ha decorato soltanto l’interno della chiesa nello spirito di sobrietà richiesto dai leader religiosi di Terra Santa. Festeggerà la nascita di Gesù con i più piccoli per offrire un momento di tregua in uno scenario di grande dolore: “Faremo delle attività che sollevino un po’ il morale, in tutta semplicità”

Jean-Charles Putzolu – Città del Vaticano

Nessun segno esteriore del Natale quest’anno in Cisgiordania. Aderendo all’invito alla sobrietà rivolto dai leader religiosi di Terra Santa ai sacerdoti, ai consacrati e a tutti i fedeli, come segno di solidarietà verso tutti coloro che soffrono a causa del conflitto in corso nella Striscia di Gaza, non ci saranno decorazioni e non saranno distribuiti dolci e doni per le strade. Sobrietà forzata anche per tante famiglie in situazioni precarie per l’assenza di pellegrini nei luoghi santi; l’economia dei pellegrinaggi, dal 7 ottobre, è in crisi. Ma la Natività di Gesù resta un’occasione per approfondire la gioia e il significato autentico della solennità: l’umiltà del Figlio di Dio nella mangiatoia di Betlemme. Nella parrocchia dell’Annunciazione di Ain Arik, vicino Ramallah, il parroco, Firas Abedrabbo, ha decorato l’interno della sua chiesa con un presepe e un albero, per riunire i bambini e confortarli in questo particolare momento di crescente preoccupazione.

Padre Firas Abedrabbo, la situazione in Cisgiordania, Israele e nella Striscia di Gaza è estremamente complicata. In questo contesto, come si possono aiutare i bambini a prepararsi al Natale?

Questo non è certo un Natale come gli altri. Le attività festive sono state notevolmente ridotte. Non decoreremo l’esterno per non dare l’impressione di non essere solidali con tutto ciò che accade intorno a noi. Ma per i bambini – ne abbiamo discusso in parrocchia con il consiglio – faremo, come in molte parrocchie, una sorta di distribuzione dei doni, una piccola festa con loro, perché il Natale è ancora importante per i più piccoli, soprattutto in questa situazione. Faremo delle attività che sollevino un po’ il morale, in tutta semplicità. Rispetteremo la situazione, ma allo stesso tempo semineremo la gioia, la vera gioia del Natale, centrata sulla nascita di Gesù, e vivremo questo tempo come famiglia, come un’unica famiglia.

Quando si intrattiene con i bambini, le parlano della situazione? Quali domande le pongono?

Fanno molte domande, si. Chiedono: “Ma perché questi bambini devono morire? Perché le persone litigano tra loro in quel modo? E poi pongono quest’altra domanda: “Questo accadrà anche qui da cnoi?”. Vivono davvero nella paura e ponendosi molte domande, che definirei esistenziali, si interrogano sulla morte, sui bambini che muoiono, sull’ingiustizia, ma lo esprimono con il loro linguaggio infantile.

I piccoli che frequentano la parrocchia di Ain Arik

In questo contesto, come infondere valori di pace, dialogo e riconciliazione?

Questa è davvero la sfida per tutti i sacerdoti qui. Parliamo molto di questo. Come possiamo tuttavia preservare una prospettiva cristiana sulla situazione e offrire una soluzione cristiana? Perché è vero che cresce l’odio da tutte le parti e, con esso, il fanatismo politico e religioso. E noi cristiani siamo un po’ in mezzo, perché da una parte siamo palestinesi e dall’altra siamo cristiani. Ovviamente ai nostri bambini cerchiamo di spiegare che dobbiamo amare tutti, che dobbiamo amare il nemico. E loro, naturalmente, si pongono domande difficili: “Ma come possiamo amare l’israeliano che ci sta uccidendo?”. Rispondiamo che amare qualcuno per noi cristiani non significa approvare tutto quello che fa. Significa vedere l’immagine di Dio in lui e aiutarlo a vedere l’immagine di Dio in sé, pregando per lui, mostrandogli una grande carità che, si spera, possa convertire il suo cuore.

Immaginiamo che per questi bambini le prospettive possano cambiare a seconda della situazione, che è comunque, al di là della guerra che si sta vivendo, una situazione di violenza di fondo, quasi permanente. Quali sono le prospettive future per questi giovani oggi?

Molti giovani pensano di emigrare per diversi motivi. Principalmente a causa della mancanza di libertà, a motivo dell’occupazione israeliana. Ma molti dicono anche di non vedere, purtroppo, alcuna prospettiva di pace nel prossimo futuro. Si augurano anche che i loro figli, quando si sposeranno, non vivano nella stessa situazione che hanno vissuto loro. Quindi pensano di andarsene. Ma ci sono anche tanti che dicono: “No, vogliamo restare. Questo è il nostro Paese. Questa è la nostra situazione. È la nostra cultura. Dobbiamo restare qui”.

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