Commemorazioni nella cittadina lucana in memoria dell’ottantesimo anniversario dell’incidente in cui morirono centinaia di persone a causa della fermata accidentale del convoglio in una galleria. “È il più grave disastro ferroviario della storia”, dice Gian Luca Barneschi l’autore del libro “Il disastro dimenticato – Treno 8017 Balvano 1944” (edito da Cantagalli)
Eugenio Bonanata – Città del Vaticano
Morirono per avvelenamento da monossido di carbonio i circa 600 passeggeri a bordo del treno merci 8017 partito da Napoli e diretto a Potenza. Era la notte del 3 marzo del 1944 quando il convoglio si fermò accidentalmente nella lunga galleria “Delle Armi”, nei pressi della località lucana di Balvano, dove ieri e oggi si è ricordato l’ottantesimo anniversario della più grave tragedia ferroviaria avvenuta in Italia. Diverse le iniziative che le istituzioni locali hanno organizzato nell’ambito di quella che hanno chiamato la “Giornata della Memoria”, per non dimenticare questa triste e dolorosa vicenda ancora poco nota ai più.
Stamattina il vescovo emerito di Potenza, monsignor Salvatore Ligorio, ha presieduto la Santa Messa presso la Chiesa Madre S. Maria Assunta. A scandire la giornata anche la donazione da parte del comune e della cittadinanza del quadro vincitore del concorso di pittura estemporanea 2023 dedicato alla sciagura; la deposizione di una corona di fiori nella cappella dedicata alle vittime presso il cimitero del paese; una escursione a piedi verso il luogo dell’incidente per l’inaugurazione di una targa commemorativa; una mostra fotografica-documentale e un convegno nella casa comunale.
Un Titanic ferroviario
“C’è ancora tanto da fare”, commenta a Telepace Gian Luca Barneschi – anche lui presente alle commemorazioni – che ha appena dato alle stampe la nuova edizione libro “Il disastro dimenticato – Treno 8017 Balvano 1944” (edito da Cantagalli). “Si tratta del più grave disastro ferroviario della storia”, afferma. “Facendo un parallelismo dico sempre che questo è il Titanic ferroviario, con la grande differenza che tutto il mondo conosce il Titanic, mentre in Italia questa vicenda è ancora totalmente sconosciuta”.
Il peso della memoria
Il volume ricostruisce puntualmente quella terribile nottata a partire dai documenti a disposizione. L’autore è andato a trovarli negli archivi angloamericani, dopo aver letto per caso trent’anni fa poche righe su una rivista specializzata (e dopo aver compreso che in Italia non c’era nulla di ufficiale). E da allora ha sempre ampliato l’indagine, scritto saggi e raccolto testimonianze di vario tipo. “In questi anni – confida – ho capito che per i familiari delle vittime parlare di questa vicenda rappresenta una sorta di risarcimento morale”. C’erano tanti giovani e tante madri di famiglia tra le vittime che viaggiavano a bordo di quel treno merci. E per capire il motivo bisogna guardare al contesto del meridione liberato dalle Forze Alleate dopo l’armistizio dell’8 settembre. “Nel 1944 – sottolinea Barneschi – in quella zona d’Italia non c’era la guerra, il fronte era tra Cassino e Anzio. Però c’erano le conseguenze della guerra, a cominciare dalla fame. Il trasporto ferroviario era totalmente finalizzato alle esigenze belliche degli Alleati e i civili erano costretti ad assaltare i treni merci per spostarsi”. In particolare, da Napoli e Salerno la gente cercava di raggiungere le zone agricole della Basilicata e della Puglia per barattare qualcosa in modo da provvedere alla sussistenza delle proprie famiglie.
Far luce sui fatti
Tanti particolari restano poco chiari e anche il numero delle vittime e dei sopravvissuti. Uno dei pochi documenti ufficiali italiani – in modo beffardo – definisce le vittime “viaggiatori di frodo” e “contrabbandieri”. La narrazione “madre” della vicenda è affidata alla relazione dell’indagine condotta dalla Commissione nominata dagli Alleati composta da membri del Military Railway Service e delle Ferrovie dello Stato. Nel suo libro, Barneschi riporta diversi passaggi di questo documento – secretato per lungo tempo – avvertendo subito che l’obiettivo degli angloamericani era essenzialmente evitare ricadute sull’ordine pubblico più che accertare le responsabilità. Tant’è – si legge nel volume – che sull’incidente “calò subito la censura, che con il passare del tempo generò oblio e rimozione”. Nessuno ha mai pagato per quanto successo e la dinamica dei fatti fino ad ora affidata al racconto e al ricordo degli abitanti del luogo. Secondo il volume, ci sono diverse concause all’origine della fermata del treno (che peraltro era pesantissimo perché composto da molti più vagoni del dovuto). Tutto si è consumato su una tratta in salita all’interno della lunghissima galleria che misura all’incirca due chilometri e che era già satura dei fumi del treno transitato in precedenza. Il treno 8017 è arrivato sotto sforzo in quel punto, dove notoriamente tutti i treni tendevano a slittare per una scarsa aderenza sulle rotaie. Dopo la sosta, sicuramente il propagarsi del monossido di carbonio ha immediatamente ridotto la lucidità dei macchinisti delle due locomotive e dei frenatori (collocati rispettivamente in testa e coda al convoglio). L’ipotesi è che gli operatori non siano riusciti a comunicare tra di loro e a gestire agevolmente le manovre per la ripartenza.
Il ritardo nei soccorsi
Il treno è rimasto fermo in mezzo al fumo. E il fattore tempo è stato decisivo, anche sul fronte dei soccorsi che sono giunti sul posto in enorme ritardo (all’alba). Fondamentale a tal riguardo la dichiarazione di un ferroviere – addetto al telegrafo – che in quelle ore era in servizio e che nel 2009 ha contattato Barneschi attraverso una lettera manoscritta. “Nessuno si interessò, tutti dormivano”, si legge nella missiva riportata nel libro. In pratica, non vedendo arrivare il treno 8017 nella stazione successiva l’uomo sostiene di aver “telegrafato” svariate volte ai dirigenti per chiedere di mandare qualcuno per rendersi conto di dove si fosse fermato il convoglio. Evidentemente nessuno si è attivato e nessuno ha interpellato il ferroviere – come lui stesso sottolinea – nell’ambito dell’inchiesta. “Una clamorosa confessione che avvalora quanto emerso dalla mia indagine”, dice l’autore del libro. È chiaro – sono le conclusioni del volume – che “se i soccorsi fossero stati tempestivi, il bilancio del disastro avrebbe potuto essere molto meno grave”. Si sono salvate solo le persone – pare un centinaio – presenti negli ultimi tre vagoni che erano rimasti all’aria aperta fuori dal tunnel.