Marina Tomarro – Città del Vaticano
Ha nevicato abbondantemente intorno il campo di Lipa, tanto da rendere difficile perfino l’accesso dei volontari della Caritas internazionale e della Croce Rossa, che cercano in qualche modo di portare conforto a chi è costretto a viverci, in attesa di poter andare incontro ad un futuro migliore e soprattutto più dignitoso. Dopo l’incendio della tendopoli avvenuto lo scorso dicembre, la situazione è peggiorata notevolmente. Si vive senza acqua, né elettricità, né servizi igienici.
Una situazione dolorosa e disumana
“Si tratta purtroppo di una emergenza annunciata. – racconta Nello Scavo giornalista di Avvenire – Questo è il terzo anno di fila con i campi abbandonati a se stessi a ridosso del confine croato e ci sono almeno 3000 persone che vagano tra le località di Bihac e Lipa, presso quest’ultimo campo in particolare era stata incendiata una tendopoli nel corso di alcuni scontri tra migranti alla vigilia di Natale. Attualmente vi sono circa 900 persone, che hanno bisogno di aiuto urgente perché gli vengano fornite quanto prima delle tende sotto cui ripararsi. La Caritas internazionale, e quella italiana hanno inviato i giorni scorsi, sei camion carichi di legna da ardere e questa cosa da sola ci racconta la drammaticità della situazione. C’è un conflitto politico interno alla Bosnia, e c’è il blocco costante sul confine croato con i pattugliamenti della Polizia delle guardie di confine che respingono quei migranti che provano a raggiungere quel paese per tentare poi di arrivare in Europa, quindi è veramente una situazione difficilissima”.
Chi sono questi sfollati che in questo momento vivono nel campo?
R – Si tratta di migranti e profughi provenienti da Paesi come Afghanistan Pakistan, negli ultimi mesi c’è stato un flusso dal Bangladesh e si sono aggiunti anche migranti dall’Africa del nord che percorrono veramente migliaia di chilometri, prima di arrivare lì. Va ricordato che prima di giungere a questa frontiera dell’Unione Europea, in realtà queste persone hanno già attraversato paesi come la Bulgaria e soprattutto la Grecia che in qualche modo li lasciano transitare. Infatti il loro obiettivo è quello di raggiungere principalmente la Germania, o la Francia, l’Austria. Oppure di salire ancora più a Nord, nessuno di essi vuole fermarsi in Croazia e Slovenia e solo una piccola minoranza vuole arrivare in Italia. Evidentemente da parte di Bruxelles viene chiesto ad alcuni Paesi di provare a tamponare questo flusso, che sarebbe di circa settanta mila persone dal 2018 a oggi, con il risultato però di far ricadere il peso di gestione di questo rotta balcanica su un Paese come la Bosnia che non è ricco. Inoltre non dimentichiamo che siamo in piena pandemia Covid con il sistema sanitario dei paesi balcanici veramente sotto un enorme stress.
Sappiamo che il contesto è peggiorato anche da questa mancata integrazione con la popolazione del territorio…
R – La popolazione locale ha sempre provato ad alleviare le sofferenze di queste persone. Abbiamo assistito in questi anni veramente a forme di collaborazione spontanea, ma negli ultimi mesi la situazione si è fatta più difficile. Da una parte per l’aggravarsi della crisi economica provocata anche dalla pandemia e dell’altro perché qualcuno a livello politico soffia sul fuoco, ricordando divisioni che risalgono addirittura al conflitto della Ex Jugoslavia. La popolazione è stanca in questo momento. E non dimentichiamo che la Croazia sta contando i postumi di un terremoto molto forte. Tutto questo ha creato un mix veramente esplosivo. Poi c’è l’abbandono che arriva dall’Unione Europea, perché fino ad oggi da Bruxelles ci sono stati proclami e promesse di interventi di finanziamento, ma niente di concreto, se non il sostegno al controllo delle frontiere, finanziando le attività della polizia e dei militari. La Slovenia sta costruendo una barriera metallica al confine con la Croazia e dunque la popolazione locale da questo punto di vista non è aiutata né a cooperare, ma neanche a sentirsi sicura, perché poi quando si ammassano così tante persone, naturalmente la tensione sale moltissimo.
Quali potrebbero essere le soluzioni in questo momento?
R – L’Europa dovrebbe ripensare complessivamente alla politica di accoglienza. Non stiamo mettendo in discussione da un punto di vista ideologico questa tematica, ma da quello dei diritti umani perché ormai sono documentati diversi episodi di violenza e abusi sui migranti commessi ai confini. D’altro canto, però occorre occuparsi seriamente della ridistribuzione dei migranti che arrivano nei vari paesi europei e intervenire in maniera massiccia anche a livello umanitario in queste realtà dove solamente le organizzazioni non governative, i volontari, tantissimi dal mondo cattolico internazionale, sono impegnati. Non è possibile che ci siano pasti una volta al giorno, che si devono tra l’altro, grazie al grande sforzo della Croce Rossa Internazionale, o che serva della legna da ardere per riscaldarsi… Questo flusso, non è una novità, bisogna da una parte lavorare come ricorda Papa Francesco, sulle ragioni per cui queste persone sono spinte ad allontanarsi dalle terre d’origine, ma d’altra parte occuparsi anche su questa chiusura da parte dell’Unione Europea, non fa che acuire problemi di Paesi fragili come le democrazie balcaniche e generare scontri e preoccupazioni politiche e non solo, all’interno dell’Europa.