Alessandro De Carolis – Città del Vaticano
“Noi stessi, prevedendone le dimensioni, proporzionate allo scopo, lo abbiamo, al principio, incoraggiato ad «osare»”. C’è la visione di Giovanni Battista Montini dietro il genio di Pier Luigi Nervi. Un orizzonte grande, universale è il caso di dire, che nasce da una constatazione pratica. Fino a quel momento, fedeli e turisti che approdavano in Vaticano in numeri sempre più consistenti avevano la Basilica di San Pietro come una sorta di luogo unico per tutti e per tutto: ascoltare il Papa o girare tra le navate a scattare foto, seguire il messaggio di un’udienza generale o perdersi tra le magnificenze della storia e dell’arte. C’era bisogno di differenziare – o per meglio dire, e lo dirà Paolo VI il 30 giugno 1971, “liberare la Basilica di San Pietro dall’afflusso divenuto consueto della moltitudine eterogenea e vivace, che affolla le nostre udienze generali, e per offrire ai nostri visitatori un’aula d’accoglienza più adatta”.
Non un monumento, uno slancio dell’anima
Praticità, dunque, ma con un’“anima” a modellare quel calcestruzzo dall’andamento parabolico, che gioca con le curvature, le ellissi delle grandi finestre e l’imponenza dei pilastri su cui poggia. Nasce così l’Aula Nervi, che Paolo VI commissiona a metà degli anni Sessanta all’ingegnere e architetto valtellinese, già noto per aver messo, fra gli altri, la firma sul progetto del Palazzetto dello sport di Roma o del grattacielo di Australia Square a Sydney. Nervi, che ha fatto del valore della “staticità” e della “funzionalità” la regola delle sue opere (perché l’arte, sosteneva, non può essere solo estetica), si accinge tra il ’66 e il ’71 a dare forma e struttura al grande spazio immaginato da Papa Montini sul terreno adiacente alla Basilica, in gran parte donato dai Cavalieri di Colombo.
Una grande costruzione non per “amore di potenza o di fasto” – spiega Paolo VI il giorno dell’inaugurazione di 50 anni fa – non un’espressione di “orgoglio monumentale, o vanità ornamentale”, bensì la coscienza che pur “piccole creature e umili cristiani” serviamo, dice, “un disegno immenso e perfino infinito, un pensiero divino”. E la creatività dell’arte cristiana, ricorda Papa Montini, ha di suo lo slancio a “esprimersi in segni grandi e maestosi”.
La spesa che non condiziona la carità
E a proposito di praticità, è interessante ricordare di quell’udienza generale del 30 giugno ’71, a tratti anche vivace, le parole che il Papa riserva al capitolo delle spese sostenute. Non minimizza “l’onere” gravato sulle casse vaticane negli anni del cantiere aperto, ma assicura che in alcun modo tutto ciò avrebbe pesato sugli aiuti che la Santa Sede aveva in cuore di destinare ai più fragili. E anzi in quella circostanza Paolo VI fa due promesse: di dare sollievo a un “gruppo di baraccati” della periferia romana e di istituire un nuovo organismo con il compito di “facilitare” in maniera intensiva “l’attività caritativa della Chiesa nel mondo”. Quindici giorni dopo, il 15 luglio ’71, prende vita il Pontificio Consiglio “Cor Unum”, che porta la carità del Papa alla gente più povera del pianeta, e due anni dopo, il 31 ottobre 1973, lo stesso Paolo VI benedice le case costruite ad Acilia, un “villaggio” che porta il suo nome e offre un tetto vero a chi lo aveva di legno e lamiera.
Il simbolo che porta a un oltre
L’Aula Nervi, l’aula delle udienze, è la nuova casa di tutti, “inserita ormai nella missione del Pontificato romano”. E Papa Montini conclude davanti alle prime migliaia di ospiti che la gremiscono con un augurio: che diventi “simbolo”, che “sia spirituale incentivo a meglio conoscere e a meglio apprezzare la Chiesa ed il suo trascendente mistero”.