Salvatore Cernuzio – Assisi
Le donne trattate come merce di scambio, i bambini schiavi, affamati, sballottati nei naufragi, le famiglie che soffrono disuguaglianze sociali, i disoccupati, le vittime dell’ipocrisia di chi pensa solo ad arricchirsi. Dalla Porziuncola di Assisi dove san Francesco seguì il mandato di Cristo di “riparare la sua casa”, Francesco, il Papa, chiede al mondo di agire per “riparare” la vita di migliaia di persone che, in un’epoca di divisione e disperazione, si trovano a lottare contro diverse forme di povertà.
Distanti fisicamente, ma uniti spiritualmente
“È tempo che ai poveri sia restituita la parola, perché per troppo tempo le loro richieste sono rimaste inascoltate”. Il Pontefice, in piedi da un palchetto, sotto gli affreschi quattrocenteschi della “chiesetta” restaurata dal Poverello, pronuncia queste parole guardando dritto negli occhi i 500 poveri radunati in Santa Maria degli Angeli. Ci sono bambini e anziani, uomini e donne, polacchi e spagnoli, francesi e italiani. Sono distanziati fisicamente, ma spiritualmente vicini. Hanno storie differenti che però hanno una matrice comune: la sofferenza e la speranza di riscatto. Seguono l’evento dal maxischermo, sollevano gli smartphone e scattano foto, ma poi si fermano per ascoltare.
La festa sul sagrato di Santa Maria degli Angeli
La vera festa si è tenuta fuori sul sagrato. Dalle 6 del mattino, quando il sole non era ancora sorto sulla città umbra, diversi gruppi si erano già radunati dietro le transenne: chi portando un quadro della Madonna, chi srotolando il cartello con il logo della propria associazione, chi cantando nella propria lingua. Canti, assieme ai balli, si sono succeduti per tutte le ore precedenti all’arrivo del Papa, giunto con mezz’ora di ritardo per aver portato prima un saluto alle clarisse nella Basilica di Santa Chiara. “Alleluja” intonava il gruppo francese Fratello, il più numeroso e il più “rumoroso”. Un giovane accompagnava il canto con la fisarmonica, mentre gli spagnoli rispondevano con un corale “Risuscitò”. I polacchi intanto recitavano il Rosario, invece gli italiani, accompagnati da Caritas diocesana e Sant’Egidio insieme con un gruppo di Roma dell’Elemosineria apostolica, raccontavano ai presenti la gratitudine per il Papa “che ci ha insegnato che è molto più appagante servire gli altri che sé stessi”, come dice Sergio, ex clochard.
Canti, saluti, doni
Giunto alle 9.30 in auto, Francesco si è soffermato a lungo nella parte antistante del sagrato dove dietro le transenne erano assiepati, da una parte, gruppi di bambini delle scuole di Assisi; dall’altra, i frati che hanno cantato ininterrottamente ma quasi sottovoce. Incoraggiati dal gesto del Papa di continuare, hanno aumentato il volume della voce facendo divertire il Pontefice che li ha ringraziati con il pollice in su. A piedi il Papa si è diretto dalle autorità, per poi incamminarsi nel lungo corridoio allestito davanti alla basilica. E lo ha fatto tenendo in mano il bastone in legno del pellegrino, simbolo di tutti i fedeli che nel corso dei secoli si sono messi sulle orme di san Francesco. A consegnarlo è stato Abrhaley Tesfagergs Habte, giovane rifugiato eritreo, cieco da quando aveva 5 anni a causa di una mina antiuomo. Lui e la direttrice di Caritas Assisi, Rossana Galiandro, si sono soffermati per diversi minuti al centro del corridoio per leggere al Papa alcuni messaggi. Francesco ha ascoltato con attenzione per poi mettere una mano sulle spalle del ragazzo e sussurrargli alcune parole. Tra queste: “Continua a pregare per me”.
Da quel momento in poi, il Vescovo di Roma si è concesso al consueto bagno di folla, fermandosi soprattutto a benedire i bambini, in particolare i piccoli in sedia a rotelle. Con gli spagnoli di Toledo ha scherzato chiedendo dove fossero le castañuelas (le nacchere), poi si è girato richiamato dalle urla di una mamma emozionata: “Santo Padre, Santo Padre”. Il Papa è andato a salutare il figlio che gli ha regalato un disegno: “Bravo!”, gli ha detto.
Il silenzio in Basilica
L’atmosfera è rapidamente cambiata in basilica, rimasta per tutto il tempo con i tre portoni spalancati. Alcuni ospiti riportano le loro testimonianze: storie di droga e rifiuto, di violenza e problemi con la legge, di odio verso sé stessi e verso gli altri, di “sporcizia” esteriore e interiore, di mancanza di soldi e, a volte, anche del minimo per curare una malattia. Neppure un sussurro si sente in Santa Maria degli Angeli durante questi racconti, solo qualche commento sottovoce: “Ho i brividi”, dice una donna in inglese. Il coro intervalla le testimonianze e aiuta a creare un clima di raccoglimento. Anche gendarmi e giornalisti si fermano. Seduti alle panche, i “poveri” chiudono invece gli occhi, alcuni piangono. “È un modo di essere Chiesa questo”, dice una signora di colore dell’associazione Barka.
Il Papa prende la parola subito dopo le ultime due testimonianze. Il suo discorso si muove proprio da quelle storie: “Vi ringrazio per l’invito, ma io sono stato invitato alla Giornata mondiale dei poveri”, esordisce, staccando per un attimo gli occhi dal testo preparato. “È un’idea che è nata da voi ed è cresciuta, e ora siamo alla quinta”. “Ringrazio Dio per questa idea della giornata – dice ancora a braccio -. È un’idea nata un po’ strana, in una sagrestia: io dovevo celebrare la Messa e uno di voi, si chiama Étienne, lo conoscete? È un enfant terrible… Mi ha dato un suggerimento: ‘Facciamo una giornata dei poveri’. Sono uscito e ho sentito dallo Spirito Santo di farlo. Così è iniziata, dal coraggio di uno di voi”.
Grazie al cardinale Barbarin
“Grazie”, dice il Papa, a tutti quelli che hanno lavorato per questa Giornata. E grazie, aggiunge, anche al cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo emerito di Lione, finito a processo qualche anno fa con l’accusa di aver coperto casi di abusi, poi assolto definitivamente. Il porporato è ad Assisi insieme ai poveri della Francia. “Lui è fra i poveri –.dice il Papa guardandolo – Anche lui ha subito con dignità l’esperienza della povertà. L’abbandono, la sfiducia, e lui si è difeso col silenzio e la preghiera. Grazie cardinale Barbarin, per la sua testimonianza”.
È tempo di aprire gli occhi
Dopo aver ricordato la “lezione” del santo da cui ha preso il nome, e le sua santità così potente da far quasi “rabbrividire”, Francesco si è poi rivolto ai poveri, ma non ha fatto mancare un appello – vigoroso seppur pronunciato con un filo di voce – a chi oggi detiene ruoli di responsabilità, politica e sociale:
È tempo che si aprano gli occhi per vedere lo stato di disuguaglianza in cui tante famiglie vivono. È tempo di rimboccarsi le maniche per restituire dignità creando posti di lavoro. È tempo che si torni a scandalizzarsi davanti alla realtà di bambini affamati, ridotti in schiavitù, sballottati dalle acque in preda al naufragio, vittime innocenti di ogni sorta di violenza. È tempo che cessino le violenze sulle donne e queste siano rispettate e non trattate come merce di scambio. È tempo che si spezzi il cerchio dell’indifferenza per ritornare a scoprire la bellezza dell’incontro e del dialogo.
Un esame di coscienza
Ed è proprio questo incontrarsi, da diversi luoghi e differenti realtà, in un’esperienza comune ma in una città fuori dal comune come Assisi, la cosa più importante: “Incontrarci… cioè andare uno verso l’altro con il cuore aperto e la mano tesa. Sappiamo che ognuno di noi ha bisogno dell’altro, e anche la debolezza, se vissuta insieme, può diventare una forza che migliora il mondo”.
Spesso la presenza dei poveri è vista con fastidio e sopportata; a volte si sente dire che i responsabili della povertà sono i poveri! Pur di non compiere un serio esame di coscienza sui propri atti, sull’ingiustizia di alcune leggi e provvedimenti economici, sull’ipocrisia di chi vuole arricchirsi a dismisura, si getta la colpa sulle spalle dei più deboli.
Gridare a Dio e accogliere, anche con un sorriso
Bisogna pregare, esorta il Papa. Come secoli fa in questo luogo sacro san Francesco, “anche noi vogliamo chiedere al Signore che ascolti il nostro grido e venga in nostro aiuto”. Perché “la prima emarginazione di cui i poveri soffrono è quella spirituale”. Francesco loda la generosità tanti giovani che trovano il tempo di aiutare i poveri e portare loro cibo e bevande calde, ma dice di rallegrarsi soprattutto “quando sento che questi volontari si fermano un po’ a parlare con le persone, e a volte pregano insieme a loro…”. Sono gesti di accoglienza, “l’espressione più evangelica che siamo chiamati a fare nostra”. A volte basta “un sorriso”, sottolinea il Papa, citando Madre Teresa.
Dove c’è un vero senso di fraternità, lì si vive anche l’esperienza sincera dell’accoglienza. Dove invece c’è la paura dell’altro, il disprezzo della sua vita, allora nasce il rifiuto.
Il rifiuto chiude nell’egoismo
“L’accoglienza genera il senso di comunità; il rifiuto al contrario chiude nel proprio egoismo”, afferma il Papa. E richiama le testimonianze ascoltate poco prima, dal quale emerge un “grande senso di speranza”.
La vita non è stata sempre indulgente con voi, anzi, spesso vi ha mostrato un volto crudele. L’emarginazione, la sofferenza della malattia e della solitudine, la mancanza di tanti mezzi necessari non vi ha impedito di guardare con occhi carichi di gratitudine per le piccole cose che vi hanno permesso di resistere.
Resistere, nonostante tutto
“Resistere”, dice Francesco, “vuol dire avere la forza di andare avanti nonostante tutto”. “Non è un’azione passiva, al contrario”, significa “trovare dei motivi per non arrendersi davanti alle difficoltà, sapendo che non le viviamo da soli ma insieme, e che solo insieme le possiamo superare”.
Non c’è posto quindi per la “tentazione di lasciar perdere”, per la solitudine, per la tristezza. Al Signore, conclude il Papa ai poveri italiani ed europei, che lo interrompono con applausi, chiediamo di aiutarci a “rendere la nostra debolezza una forza”, in modo da “trasformare la povertà in ricchezza da condividere, e così migliorare il mondo”.
Da qui di nuovo un grazie a tutti i presenti e soprattutto ad Étienne: “Sei stato docile allo Spirito Santo, grazie per la testardaggine di portare il Papa ad Assisi”. Infine la promessa: “Vi porto nel cuore. Non dimenticatevi di pregare per me, perché anche io ho le mie povertà, e tante”.
Pranzo e pausa caffè
Un applauso prolungato conclude la cerimonia. Il Papa saluta alcune persone e distribuisce dei doni. Dei kit con zaino marrone, coperte e mantelline viene regalato ai presenti. L’atto finale è nuovamente sul sagrato con una pausa caffè sotto dei gazebo con merendine, succhi di frutta, bevande calde. Tutti i partecipanti all’incontro trascorreranno il pranzo con l’arcivescovo di Assisi, monsignor Domenico Sorrentino, e il presidente dei vescovi umbri, Renato Boccardo. Ricco il menù previsto, tra prodotti tipici e a chilometro zero.