Armi convenzionali: sempre alto il volume delle esportazioni

Vatican News

Giancarlo La Vella e Fabio Colagrande – Città del Vaticano

I Paesi maggiori produttori di armi non incrementano i loro affari, ma ciò non vuol dire che nel mondo si sia fermata la circolazione di armamenti convenzionali, cioè non nucleari. Questo è dovuto al fatto che alcuni Paesi importatori, per cercare di diminuire la loro dipendenza economica da quelli che producono questi strumenti di guerra. Questi alcuni dei dati contenuti nell’ultimo rapporto sull’andamento della vendita globale delle armi reso noto dall’Istituto internazionale di ricerca Sipri con sede a Stoccolma.

Superati i livelli della Guerra Fredda

I dati comunicati dal Sipri indicano che, anche se il volume delle esportazioni di armi è rimasto stabile sul periodo 2016-2020 rispetto a quello precedente e non è aumentato per la prima volta dal 2001, il livello segna comunque un record dalla fine della Guerra Fredda. Negli ultimi 5 anni, afferma il rapporto, tre dei cinque più grandi esportatori mondiali, cioè Stati Uniti, Francia e Germania, hanno aumentato le esportazioni e, di conseguenza, il proprio volume di affari. Questa crescita è stata tuttavia bilanciata dalla diminuzione di vendite da parte di altri due Paesi esportatori: Russia e Cina.

Il Medio Oriente, la zona con maggiori importazioni

La regione mediorientale è l’area del mondo che acquista i maggiori quantitativi di armi leggere e pesanti. L’Arabia Saudita secondo il rapporto è il primo importatore mondiale con l’11% del totale. Risultano, invece, in netta diminuzione le importazioni dell’India che, afferma il Sipri, è uno dei maggiori importatori dalla Russia.

Papa Francesco: no alle armi, sì alla vita

Nel libro intervista di Domenica Agasso, “Dio e il mondo che verrà”, edito da Libreria Editrice Vaticana e Piemme, Papa Francesco riafferma con forza l’appello al mondo, affinchè rinunci alle armi e si adoperi a salvare vite umane. “Non è più sopportabile che si continuino a fabbricare e trafficare armi, spendendo ingenti capitali che dovrebbero essere usati per curare le persone, salvare vite. Non si può più far finta che non si sia insinuato un circolo drammaticamente vizioso tra violenze armate, povertà e sfruttamento dissennato e indifferente dell’ambiente. È un ciclo che impedisce la riconciliazione, alimenta le violazioni dei diritti umani e ostacola lo sviluppo sostenibile. Contro questa zizzania planetaria che sta soffocando sul nascere il futuro dell’umanità serve un’azione politica frutto di concordia internazionale. Fraternamente uniti, gli esseri umani sono in grado di affrontare le minacce comuni, senza più controproducenti recriminazioni reciproche, strumentalizzazioni di problemi, nazionalismi miopi, propagande di chiusure, isolazionismi e altre forme di egoismo politico”. 

Difficile tracciare la destinazione degli armamenti

Tra i fenomeni più difficili da monitorare c’è quello della sparizione di grandi quantitativi di armi soprattutto leggere, ma anche pesanti. Lo denuncia, nell’intervista alla Radio Vaticana, Francesco Vignarca, Coordinatore della Rete Italiana Pace e Disarmo.

Ascolta l’intervista a Francesco Vignarca

I Paesi produttori , afferma Vignarca, sono relativamente pochi e sulla vendita delle armi si regge gran parte della loro economia. Molti sono invece quelli che importano armamenti.

Alta produzione nonostante il coronavirus

Nonostante la pandemia di Covid-19, il settore della produzione e vendita delle armi è rimasto fiorente, rispetto ad altri comparti industriali. “L’industria dell’armamento – afferma Siemon Wezeman, ricercatore Sipri – finora non è stato toccato dalla crisi causata dalla pandemia”. Comunque, sottolinea Wezeman, la stagnazione o la diminuzione delle esportazioni non sono da considerare un dato positivo, in quanto risulta sempre alto l’interesse verso il settore. Sul lungo periodo il Sipri pronostica tuttavia un nuovo aumento delle spese militari.