Marco Guerra – Città del Vaticano
Armenia e Azerbaigian hanno negoziato un cessate il fuoco, nella tarda serata di ieri, per porre fine alla nuova fiammata combattimenti, che in pochi giorni hanno ucciso 155 soldati, 105 sul fronte armeno e 50 su quello Azero.
Combattimenti più duri dal 2020
Si tratta degli scontri più sanguinosi dal settembre del 2020, quando l’Azerbaigian riprese il controllo di alcuni territori contesi, precedentemente conquistati dagli armeni. La tregua è stata raggiunta grazie alla mediazione della Russia che ha ancora influenza nelle due ex repubbliche sovietiche. Ciascuna parte incolpa l’altra per i nuovi scontri, i due Paesi combattono dal crollo dell’Urss; al centro del contendere lo status del Nagorno-Karabakh, regione montuosa al confine tra i due Stati, rivendicata come sua parte dall’Azerbaigian, ma popolata in maggioranza da armeni. L’Armenia sostiene le richieste di autonomia della popolazione del Nagorno, dichiarata unilateralmente nel 1991, mentre l’Azerbaigian sostiene il pieno controllo della regione.
Le trattative
Armen Grigoryan, segretario del Consiglio di sicurezza dell’Armenia, ha annunciato la tregua in tv, spiegando che era entrata in vigore cinque ore prima (alle 20:00 locali). Poco prima della dichiarazione di Grigoryan, migliaia di manifestanti sono scesi nelle strade di Yerevan, capitale dell’Armenia, per chiedere le dimissioni del primo ministro, Nikol Pashinyan, accusato dai manifestanti di aver tradito il suo Paese. L’insoddisfazione interna in Armenia, per la sconfitta del 2020, ha suscitato ripetute proteste contro Pashinyan, che ha smentito le notizie di aver firmato un accordo con Baku. Da quanto si apprende, Baku ha offerto unilateralmente a Yerevan un cessate il fuoco umanitario. Lo ha affermato il ministro degli Affari esteri dell’Azerbaigian, Jeyhun Bayramov, durante i colloqui con il rappresentante speciale della presidenza russa per la cooperazione culturale internazionale, Mikhail Shvydkiy.
La preoccupazione della comunità internazionale
Il conflitto rischia di avere ripercussioni nei rapporti tra Russia e Turchia, poiché Mosca ha schierato circa 2 mila peacekeeper per monitorare la fragile tregua del 2020, mentre Ankara ha sempre sostenuto il governo di Baku. La comunità internazionale non vuole che venga destabilizzato un importante corridoio per oleodotti e gasdotti, anche alla luce del fatto che la guerra in Ucraina ha interrotto le forniture energetiche dalla Russia. Martedì il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, ha affermato che la Russia potrebbe, per così dire, “agitare la pentola” o usare la sua influenza per aiutare a “calmare le acque”. Il ministro degli Esteri francese, Catherine Colonna, in un appello ai suoi omologhi di entrambi i Paesi, ha chiesto la “fine degli attacchi contro il territorio armeno”.