Chiesa Cattolica – Italiana

Ancora violenze in Myanmar dopo le 114 vittime di ieri

Michele Raviart – Città del Vaticano 

Il Myanmar piange i suoi morti dopo la giornata di ieri, la più dura dall’inizio delle repressioni dell’esercito dopo il colpo di Stato, con 114 persone uccise. Ma nemmeno il lutto ha fermato le violenze. A Bago, vicino Yangon, durante il funerale di Thae Maung Maung, studente ventenne ucciso in una delle proteste dello scorso sabato, le forze di sicurezza hanno fatto fuoco sui civili mentre cantavano l’inno della rivoluzione. Non c’è stata nessuna vittima ma il clima resta pesante.

35 le vittime tra i bambini

Dodici i morti nelle ultime ore, per un totale di 460 dall’inizio del golpe due mesi fa. Un’infermiera, ventenne è stata colpita alla testa da un proiettile vagante mentre prestava soccorso. Almeno sei invece i minori tra i 10 e 16 anni uccisi sabato – “stelle cadute” li chiamano i manifestanti – con l’Unicef che aggiorna il bilancio a 35 bambini morti dall’inizio delle violenze.

Tremila profughi Karen verso la Thailandia

L’esercito colpisce anche il nord-ovest del Paese, dove si trova la minoranza Karen, la terza per dimensioni. Tre raid dell’esercito sui villaggi controllati dalle milizie locali, da decenni in tensione con l’esercito birmano. Tre le vittime tra i civili e dieci tra i miliziani a causa di bombardamenti. Almeno tremila, poi, le persone che hanno attraversato il fiume che separa il Myanmar dalla vicina Thailandia, che si è detta, nelle parole del primo ministro pronta ad accogliere i profughi tra gli altri rifugiati Karen già presenti nel proprio territorio.

Minoranze e militari

“Il Myanmar è uno Stato federale con una certa autonomia garantita, almeno sulla carta, agli Stati fondati su base etnica – Karen, Shan, Kaichin”, spiega a Vatican News il giornalista esperto di sudest asiatico Stefano Vecchia. “Il problema è che questa autonomia non è mai stata riconosciuta pienamente dai militari. C’è stato un processo in corso nell’ultimo decennio – da quando i civili avevano formalmente ripreso il controllo del Paese – fortemente voluto dal premio Nobel Aung San Suu Kyi, affinché si arrivasse finalmente a una pace definitiva e a un futuro di progresso condiviso. Tuttavia”, spiega ancora Vecchia, “i militari hanno sempre boicottato questo tentativo, per mantenere i loro interessi economici in queste aree”.

Ascolta l’intervista integrale a Stefano Vecchia

L’alleanza con i movimenti democratici

“Nelle ultime settimane in particolare”, aggiunge, “le milizie etniche hanno avvisato l’esercito birmano di non operare contro i civili e contro quelli che manifestavano nei villaggi e nelle città, mentre invece ci sono stati anche parecchi morti tra le minoranze e quindi questo ha provocato un’ulteriore reazione delle milizie etniche e una controreazione dei militari”. “Quello che è interessante”, sottolinea Vecchia, è che in questa situazione si sta creando un’unità di intenti tra i movimenti democratici, che sono in maggioranza etnicamente birmani, e le minoranze. I rappresentanti dei manifestanti hanno chiesto espressamente alle minoranze più forti di unirsi a loro non soltanto ospitando chi fugge dalla repressione, ma anche intervenendo per mettere fuori gioco insieme la dittatura”.

La condanna internazionale

Intanto, a livello internazionale, i capi di stato di maggiore di 12 Paesi, tra cui Stati Uniti, Germania, Italia e Giappone, hanno condannato l’uso della forza letale da parte dell’esercito birmano: “bisogna proteggere e non colpite il popolo che si serve”, hanno affermato. Lo spargimento di sangue in corso è “assolutamente vergognoso” ha ribadito il presidente statunitense Biden, mentre l’alto rappresentante della Poltica estera dell’UE, Joseph Borrell, parla di “escalation inaccettabile”.

Exit mobile version
Vai alla barra degli strumenti