Le Nazioni Unite adottano il primo trattato per la difesa delle acque d’altura, un’intesa ambientale volta a proteggere gli ecosistemi remoti, ma vitali per l’uomo. Andreone, dirigente del CNR: “L’obiettivo è quello di rafforzare la convenzione dell’Onu sul diritto del mare e gli obblighi in materia di protezione dell’ambiente marino”
Beatrice D’Ascenzi – Città del Vaticano
La possibilità di creare aree marine protette nelle acque internazionali. E’ lo scopo del trattato per la Protezione delle acque d’altura, adottato dall’ ONU dopo anni di trattative. Una misura considerata cruciale per la protezione del 30% degli oceani e delle terre emerse entro il 2030. Emma Andreone, dirigente di ricerca di diritto internazionale del CNR, ha spiegato a Radio Vaticana-Vatican News l’importanza dell’accordo: “E’ un testo molto complesso, formato da quattro grandi capitoli che si occupano di temi specifici, relativi alle risorse genetiche marine, alla possibilità di creare area base management tools delle aree di gestione di uso sostenibile in alto mare, incluse le aree marine protette per la tutela della biodiversità”.
La protezione marina
“L’obiettivo è quello di colmare le lacune lasciate dalla convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare – prosegue Andreone- e di implementare gli obblighi in materia di protezione dell’ambiente marino. Infatti il l trattato, ufficialmente noto come trattato sulla “Biodiversità al di là delle giurisdizioni nazionali” introduce anche l’obbligo di effettuare studi di impatto ambientale per le attività da svolgere in acque internazionali, dalla pesca al trasporto marittimo, ma anche riferendosi ad attività più controverse, come l’estrazione mineraria in acque profonde. “Sarà molto importante- sottolinea l’esperta- perché cercherà di limitare alcune attività in funzione della protezione della biodiversità di quello che, nei fatti, è un ambiente poco conosciuto e che, come prevede l’accordo, sarà necessario studiare”. Questo meccanismo infatti dovrà tenere conto e poi rispettare le misure gestionali e protettive che sono già previste da altre organizzazioni internazionali in vari mari del mondo. “La questione centrale – afferma Andreone- è proprio quella di aver creato un complesso sistema decisionale finalizzato a creare aree marine di gestione sostenibile o anche soltanto di protezione”.
Le acque internazionali
“L’Alto Mare è un ambiente che al momento viene utilizzato in modo libero dagli Stati e dalle Imprese, sottolinea la dirigente del CNR, perché non era regolamentato fino ad ora e l’adozione del trattato rende possibile una disciplina mai avvenuta prima”. Queste acque internazionali infatti, l’alto mare, sono tradizionalmente considerate come mare libero e per questo arrivare ad un compromesso su quali dovessero essere gli elementi da regolamentare non è stato facile”. “Anche perché esistono posizioni contrapposte che variano a seconda del livello di industrializzazione degli Stati e del loro sviluppo. Ognuno ha interessi diversi. A maggior ragione, il fatto che il testo sia stato formalmente adottato è una ottima notizia”. Il trattato porta con sé una nuova visione del pianeta vicino a quella promossa dal Papa nell’enciclica Laudato Si’ perché, come conclude Gemma Andreone, “rimanda ad una concezione di pianeta che appartiene a tutti, ricco di risorse che necessariamente devono essere condivise e preservate anche nell’interesse delle future generazioni.”