Chiesa Cattolica – Italiana

Amal fa tappa a Milano: nel cuore, l’emergenza Afghanistan

Antonella Palermo – Città del Vaticano

Dopo la tappa romana, segnata anche dal passaggio in Vaticano, la Piccola Amal (in arabo Speranza) – del progetto The Walk, il più grande festival itinerante mai realizzato in favore dei diritti dei bambini rifugiati – arriva questo sabato in un’altra delle 12 città italiane dove è prevista una sosta: Milano. La marionetta che rappresenta 34 milioni di bambini rifugiati e sfollati, molti dei quali separati dalle loro famiglie, è partita il 27 luglio dalla cittadina di Gaziantep, al confine turco-siriano ed è diretta a Manchester. Dopo l’Italia, il cammino proseguirà attraverso Francia, Belgio, Germania e terminerà in Inghilterra il 3 novembre prossimo. The Walk ha sviluppato programmi educativi per creare legami tra i giovani rifugiati e le comunità che li accolgono. I giovani e le scuole possono partecipare attingendo online la proposta di attività e formazione, incentrata sul viaggio di Amal, disponibile in sei lingue.

Uno dei marionettisti: sentirsi parte di un’unica umanità

La squadra che anima la Piccola Amal è composta da dieci marionettisti, tra cui il trampoliere Bartolomeo Bartolini. “Il percorso sta andando benissimo”, racconta. “E’ molto stancante, ma vedere la mobilitazione che c’è ogni volta nel dare il benvenuto alla piccola Amal offre ogni giorno qualcosa di sorprendente. Ricordo molto bene quel primo giorno quando ci muovemmo da Gaziantep. La città era letteralmente trabbccante di gente. Un bambino siriano mi ha chiesto di dove ero. ‘Sei italiano? Hai viaggiato da là per venire qui?'”. E sottolinea la meraviglia del bambino ma anche la sua: “Noi eravamo là per accogliere loro e invece ero io, che da una posizione privilegiata, venivo accolto da loro. Ancora mi commuove ripensare agli occhi di quel bambino così spontaneo”. 

Ascolta l’intervista a Bartolomeo Bartolini

Una marionetta che si anima con la vita della gente

Bartolomeo racconta della reazioni di pianto che scattano in alcune persone quando si accostano ad Amal. “Si sentono forse troppo piccoli in un mondo troppo grande e questo disorienta ma fa riflettere allo stesso tempo. Il fatto è che tutti, in fondo, possiamo diventare rifugiati. Al di là di ogni etichetta dobbiamo ritrovare l’umanità di cui tutti facciamo parte”. Bartolomeo prova a dare l’idea di quanto sia magico il modo in cui Amal diventa viva. “Impressionante – dice – come ogni persona che è dentro il cuore di Amal dà una sfumatura diversa al modo in cui la si fa muovere. Si creano momenti bellissimi e la cosa che mi piace di più è proprio vedere che una gabbia come lei, l’impalcatura è una gabbia, si anima. I marionettisti la portano in vita e respirano insieme come fosse un unico cervello. E’ bellissimo. Sentirsi parti di un tutto”. Due dei marionettisti hanno un passato da rifugiati e, a loro volta, hanno compiuto il percorso dalla Siria al Regno Unito. “Il fatto di ritrovarsi anche con loro dentro questo corpo mi ha fatto sentire più vicina la vicenda che sta attraversando questo popolo. Avverto una spinta ulteriore a continuare con questo progetto, perché viene naturale aumentare la propria e altrui consapevolezza”.

A Casa Emergency conferenza sui vent’anni di guerra in Afghanistan

E’ Casa Emergency – spazio di diritti e cultura aperto alla città di Milano e sede dell’organizzazione umanitaria che offre cure gratuite e di qualità alle vittime di guerra – ad accogliere sabato 18 settembre Amal in una atmosfera di gioco. Sarà l’occasione per comporre il ‘puzzle dei diritti’ per diffondere il messaggio che i diritti sono un bene universale. La giornata proseguirà con la lettura del libro Il mio nome non è Rifugiato, di Kate Milner, animata dalla Brigata Brighella, gruppo artistico e teatrale delle Brigate della solidarietà. Dopo le attività dedicate ai più piccoli, Rossella Miccio, presidente di Emergency, e alcuni rappresentanti del Comune daranno il benvenuto ad Amal a nome di tutto il capoluogo lombardo. A mezzogiorno è prevista la conferenza “Afghanistan. 20 anni di guerra”, il racconto di Emergency di 20 anni di guerra dalla parte delle vittime, il dramma degli afghani in fuga, le prospettive di accoglienza. Partecipano Rossella Miccio, presidente di Emergency, Gabriele Rabaiotti, assessore alle politiche sociali e abitative del Comune di Milano e David Lan, produttore The Walk Nico Piro, giornalista Rai. Il suo documentario “Un Ospedale in Guerra” chiuderà l’incontro.

Corridoi umanitari per chi non ha usufruito del ponte aereo

Ai nostri microfoni Nico Piro spiega il suo intento di raccontare il conflitto afghano dal punto di vista delle vittime perché – spiega – in genere nove vittime su dieci del conflitto moderno sono civili. E ricorda inoltre come vent’anni fa Gino Strada si sia mostrato profeta di quello che sarebbe accaduto. Per il giornalista, in realtà “l’emergenza rifugiati non esiste al momento. E’ un problema reale che si manifesterà nei prossimi mesi – osserva – se andrà a maturazione la crisi economica e se si verificheranno scontri soprattutto ad opera del braccio locale dell’Isis. Ora gli spostamenti oltre frontiera sono tutto sommato contenuti”.

Ascolta l’intervista a Nico Piro

Piro torna a commentare l’operazione del ponte aereo che – dice – è stato uno straordinario successo dal punto di vista logistico e militare ma un fallimento dal punto di vista umanitario. “Troppe persone da portar via in troppo poco tempo. Era un po’ come svuotare il mare con un cucchiaino. Ancora tante persone nel Paese, giudici, avvocati, collaboratori con l’occidente andrebbero fatti evacuare. Malgrado i talebani abbiano assicurato di garantire loro un ruolo nella nuova fase, c’è da considerare – osserva ancora l’inviato – che sempre in queste situazioni c’è una fase di estrema fluidità, di caos e di instabilità. Oggi più che mai sono dunque persone a rischio per cui vanno organizzati corridoi umanitari”. 

Dialogare con i talebani facendo leva sulla necessità degli aiuti

L’approvazione di ieri all’unanimità da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sul rinnovo di sei mesi del mandato della missione Unama in Afghanistan scandisce la volontà delle Nazioni Unite di avere un esecutivo “inclusivo” nel Paese. “La missione Unama viene ormai rinnovata ciclicamente da oltre trent’anni”, commenta Piro. “Qui il conflitto dura da 42 anni. Il governo dei vincitori ha forti fratture al suo interno e non fa ben sperare quello che portà essere l’operato verso la parte di società con la quale i talebani non ha rapporti. I talebani sono un movimento delle aree rurali mentre negli ultimi vent’anni in Afghanistan un terzo della popolazione vive nelle aree metropolitane. Quindi il governo non si profila per nulla inclusivo – denuncia – e il grosso dilemma per l’Onu, come per la Cina o per la Russia, sarà aiutare la popolazione in estremo bisogno ma nel contempo riuscire a spuntare qualcosa dal governo e la strada sembra affatto in discesa.

Trovare la via del dialogo per fermare la crisi

Il punto è che la combinazione di Covid, siccità e conflitto viaggia dritto verso la carestia. Si aggiunga che ad agosto gli aiuti internazionali sono stati interrotti di colpo per un Paese che all’80% dipende proprio da questi aiuti. Le riserve della Banca centrale sono state congelate – ricorda Piro – le banche stanno per chiudere per assenza di contante. “C’è una crisi che incombe e anche a breve andrà a maturazione che andrà a discapito degli afghani ma dei talebani stessi. Bisogna trovare un dialogo con loro facendo leva sugli aiuti che l’occidente può riprendere a fornire e tentando di ottenere delle risposte che riguardano gli ambiti di libertà per donne, giornalisti, società civile”.

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