Giancarlo La Vella – Città del Vaticano
Bloccati dal gelo e dal rischio di contagio alcune migliaia di migranti stanno cercando di sopravvivere nel nord della Bosnia-Erzegovina. L’allarme è della Caritas Internationalis, che parla di un disperato bisogno di alloggi adeguati, vestiti caldi, cibo e assistenza medica. I migranti provengono da Paesi quali Pakistan, Afghanistan, Iraq, Iran e Siria, dove c’è guerra e miseria, e si adattano a dormire in vecchi edifici, auto abbandonate o addirittura all’aperto.
Tra scontri ed emergenza sanitaria
Il freddo intenso di questa stagione sta provocando infezioni respiratorie e c’è urgente bisogno che anche a queste persone giungano i vaccini contro il coronavirus. A tutto questo si aggiungono le tensioni che scoppiano giornalmente tra migranti e forze dell’ordine. Due agenti di polizia e un funzionario dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) sono rimasti feriti mercoledì scorso negli scontri avvenuti in un campo migranti vicino a Sarajevo. A causa dei disordini sono state danneggiate auto della polizia.
In difesa della dignità
Teatro delle violenze il centro ‘Blazuj’, nelle vicinanze della capitale bosniaca, dove sono attualmente alloggiate più di tremila persone. Sul posto operano importanti organizzazioni umanitarie, tra le quali la Croce Rossa, e, secondo Francesco Rocca, presidente della Federazione Internazionale delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa e della Croce Rossa Italiana, ormai, più che sfamare e dare un alloggio, si tratta di difendere la dignità e i diritti umani di queste persone. Affinchè quello dei profughi in Bosnia-Erzegovina non diventi un dramma dimenticato, si sta muovendo il Consiglio d’Europa. Il rappresentante speciale del segretario generale dell’istituzione, che si occupa proprio di immigrati e rifugiati,, Drahoslav Stefanek, sarà in Bosnia-Erzegovina dal 24 al 30 gennaio per valutare la crisi migratoria in particolare nella zona di Bihac. Verranno visitati i centri di accoglienza Miral a Velika Kladusa, Sedra e Borici a Bihac e il campo d’emergenza di Lipa nel cantone dell’Una-Sana, oltre al centro d’accoglienza temporaneo di Usivak.
Il diritto ad essere trattati da esseri umani
R. – La situazione in questo momento è drammatica, perché siamo nel pieno della stagione fredda. Ovviamente c’è un problema da un lato di assistenza quotidiana, dall’altro anche di tenuta sociale, perché questa situazione grave sta impattando su una comunità rurale che è già molto provata dalle condizioni economiche molto difficili. Quindi tutto questo rappresenta una bomba sociale, che, tra l’altro, è stata dimenticata per troppo tempo, perché quella balcanica è una di quelle rotte le migrazioni che viene trascurata, ma in realtà è una delle più frequentate, con profili di rischio anche importanti per chi la percorre. Però quello che ci interessa è far fronte alle condizioni di vulnerabilità, alla situazione di disperazione in cui si trovano queste persone che hanno bisogno urgente di qualsiasi cosa. La Croce Rossa bosniaca è presente; noi, come Croce Rossa Italiana, abbiamo mandato tre Tir di aiuti proprio per Una-Sana, la zona in cui si concentra il maggior numero di profughi, che ovviamente tentano di passare il confine con la Croazia. Inoltre, grazie anche la supporto del governo italiano, sono arrivati altri aiuti. Purtroppo si tratta di gocce nel mare di fronte all’immensa mole di bisogni che si manifestano in questi giorni.
Tutto questo avviene in piena pandemia. Quindi c’è bisogno urgente anche lì di vaccini?
R. – Il problema del vaccino noi lo abbiamo rappresentato a ogni livello, e qui parlo anche come presidente della federazione internazionale Il tema è che il vaccino deve avere un accesso universale e la Bosnia, così come altri Paesi dei Balcani, ha lo stesso diritto di ricevere le dosi così come noi che stiamo facendo una corsa importante per vaccinare la popolazione italiana. Però il tema per ritornare alla piena normalità è che anche i nostri vicini devono essere vaccinati e questo vale anche per i migranti, che non possono essere esclusi dai programmi di prevenzione e cura del Covid. Purtroppo ci sembra di aver riscontrato una sorta di nazionalismo vaccinale che oggettivamente è fuori dal tempo e contro qualsiasi regola di buon senso.
Tra i profughi il contagio a che livello è?
R. – Non è altissimo però il rischio è altro, perché l’approvvigionamento dei dispositivi di protezione è difficile e anche perché comunque raggiungere quelle zone è particolarmente impegnativo. Quindi il rischio che il Covid si possa diffondere aumenta, con conseguenze anche per la popolazione locale. Torniamo dunque ad affermare nuovamente il concetto che, in tempo di pandemia, la sicurezza di ogni essere umano equivale alla sicurezza di ciascuno di noi.
E’ imminente la missione del Consiglio d’Europa proprio in questa zona della Bosnia. Ciò vuol dire che si sta risvegliando una certa coscienza a livello internazionale per queste situazioni al limite?
R. – Prendiamolo come un segnale incoraggiante, anche se le esperienze degli ultimi anni ci hanno detto il contrario. La politica europea in materia ha puntato ad una protezione dei confini continentali, mentre i canali umanitari sono necessari altrimenti la forza della disperazione porterà le persone a trovare sempre nuove vie e sempre più pericolose. E quindi usciamo anche da questa retorica sui migranti economici o meno. Noi stiamo parlando di esseri umani e della dignità che merita ciascun essere umano. Nessun essere umano può essere lasciato in quelle condizioni di vita. Questo è il tema vero su cui l’Europa non può fallire. Poi viene il tempo ovviamente della verifica dell’asilo della necessità della protezione umanitaria e di tutte le condizioni giuridiche sospese, ma c’è un minimo dal quale nessuno si può scostare che si chiama dignità della persona. Questo è quello che a noi preoccupa, quindi ben venga questa visita,se però servirà a recuperare quegli aspetti che stanno mancando.
Che speranze hanno questi profughi di trovare un luogo dove ricominciare una vita o c’è il rischio che possano rimanere lì ancora per mesi e mesi?
R. – La cruda realtà è che loro tentano di passare il confine, ovviamente in maniera tecnicamente illegale, perché il loro approdo è l’Europa, ma, se non si trovano anche nuove disposizioni che mettano in condizione la Croazia di verificare e aprire alla verifica dell’asilo, io credo che la disperazione porterà a trovare soluzioni, però sui tempi credo che saranno ancora lunghi e dovranno i profughi soffrire ancora a lungo purtroppo. Ripeto nessuno pretende l’impossibile, ma semplicemente un approccio umano, che è qualcosa, invece che dobbiamo cercare di trovare e soprattutto se si aderisce alle convenzioni internazionali che impongono di verificare l’idoneità a essere riconosciuti come persone che hanno diritto alla protezione umanitaria, se non all’asilo politico.