La testimonianza di una giovane universitaria di Sarajevo, delegata del suo Paese per la Gioventù Francescana: sul palco del Papa, alla cerimonia di accoglienza, “ho portato la resilienza della Bosnia-Erzegovina”. E plaude all’appello di Francesco all’Europa: “Se porta la pace in Ucraina, aiuta anche i Balcani a superare le divisioni che rimangono”
Alessandro Di Bussolo – Inviato a Lisbona (Portogallo)
Tra i più di 200 portabandiera di tutti i Paesi del mondo, alla cerimonia di accoglienza del Papa alla Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona, c’era anche la 21enne Josipa Bošnjak, di Kiseljak, che ha tenuto alto il vessillo della Bosnia-Erzegovina. Studentessa di Information Technology all’Università di Sarajevo, Josipa è alla Gmg 2023 con il gruppo della Gioventù Francescana, come delegata internazionale del suo Paese. È alla sua prima esperienza di una Gmg e racconta che portando sul palco e sul corridoio verde della Colina do Encontro la bandiera bosniaca, ha voluto mostrare al mondo “la forza e la resilienza del mio Paese, nonostante le sfide che abbiamo dovuto affrontare in passato”.
Josipa: ho portato sul palco la resilienza del mio Paese
Sull’appello del Papa all’Europa, perché trovi “vie creative per porre fine alla guerra in Ucraina”, la ragazza dice che così il Vecchio Continente può aprire la strada a un futuro migliore, non solo per l’Ucraina, ma anche per la Bosnia-Erzegovina, che continua ad affrontare le divisioni.
Perché hai voluto partecipare alla Gmg di Lisbona?
È la mia prima Giornata mondiale e ho deciso di partecipare per vari motivi: innanzitutto volevo approfondire la conoscenza della mia fede e volevo crescere spiritualmente; poi volevo incontrare molti giovani perché questo evento mi ha permesso di condividere e scambiare prospettive culturali e religiose. E in generale, naturalmente, l’incontro con il Papa è il più significativo dei motivi per cui ho deciso di partecipare.
Cosa speri di portare a casa dall’incontro con tanti giovani e con il Papa, grazie alle sue parole e ai suoi insegnamenti?
Dall’incontro con tanti giovani e con il Papa spero di trarre un profondo senso di arricchimento e crescita spirituale. L’opportunità di ascoltare direttamente le sue parole e i suoi insegnamenti ispirerà e rafforzerà la mia fede. Inoltre, non vedo l’ora di ottenere preziose intuizioni e indicazioni da applicare alla mia vita e da condividere con altre persone della mia comunità. E, naturalmente, l’esperienza di entrare in contatto con i giovani credenti provenienti da contesti diversi, favorirà il senso di unità e di unità globale. E quindi la solidarietà all’interno della Chiesa.
Cosa significa per te portare la bandiera della Bosnia-Erzegovina, il suo Paese, davanti al Papa e alle centinaia di migliaia di giovani provenienti da tutto il mondo?
Portare la bandiera del mio Paese davanti al Papa e a centinaia di migliaia di giovani è per me un onore immenso e un’esperienza profondamente significativa. È un’occasione per mostrare al mondo la forza e la resilienza del nostro Paese, nonostante le sfide che abbiamo dovuto affrontare in passato. Inoltre, questo momento ha un profondo significato spirituale e rappresenta un’occasione per promuovere la pace e la comprensione della solidarietà globale.
Il Papa mercoledì nel discorso alle autorità, ha chiesto all’Europa di offrire percorsi di pace, vie creative per porre fine alla guerra in Ucraina e ai tanti conflitti nel mondo. Voi che in Bosnia 30 anni fa avete sofferto per il silenzio dell’Europa, ora sperate che L’Unione Europea vi accolga? Questo potrà portare un futuro migliore per una Bosnia-Erzegovina ancora così divisa?
Beh, sono troppo giovane per dire di aver assistito al silenzio dell’Europa in tempi difficili, ma posso dire di essere una persona che assiste ogni giorno alle conseguenze di quel silenzio. Spero che l’Europa risponda all’appello del Papa per la pace e per una soluzione creativa che ponga fine alla guerra in Ucraina. L’Europa, accogliendo il dialogo e cercando attivamente percorsi di pace, può aprire la strada a un futuro migliore, non solo per l’Ucraina, ma anche per la Bosnia-Erzegovina, la cui società è ancora divisa. Può contribuire a sanare le ferite del passato, a favorire l’incontro tra i diversi gruppi etnici e ad affrontare le divisioni che ancora oggi esistono. In sostanza, credo che insieme, attraverso una comunicazione aperta e la solidarietà, possiamo lavorare per un futuro più unito e armonioso.
Qual è la tua esperienza con i giovani delle comunità musulmana e ortodossa in Bosnia? Hai amici tra loro?
Io studio a Sarajevo, dove ci sono soprattutto musulmani, quindi ho una buona esperienza con loro. Abbiamo alcune occasioni di dialogo e c’è rispetto tra di noi. Siamo amici e la Chiesa e la comunità cattolica, con i miei amici, cercheremo sempre di avere un dialogo con loro. Abbiamo avuto alcuni incontri comuni, quindi ho una buona esperienza, ma penso che il problema sia più a livello politico, che di società civile.