Aleppo, il medico: urgono aiuti anche qui, non ci sono vittime di seconda classe

Vatican News

Oltre un milione le persone ha perso la casa dopo il terremoto. A essere più colpite le zone giù distrutte dalla guerra. Il dottore Ketty che dirige l’ospedale Al Arjaa parla dei molti i bambini arrivati con malattie respiratorie e intestinali: bisogna superare le sanzioni per avere più aiuti, come sta avvenendo in Turchia

Michele Raviart – Città del Vaticano

Tra le zone più colpite dal terremoto che ha colpito Turchia e Siria c’è quella di Aleppo, nel nordovest del Paese, una della città più martoriate dalla guerra che si combatte dal 2011. Si continua a scavare tra le macerie nella città vecchia, dove ieri è arrivato in missione il direttore generale dell’Oms Tedros Ghebreyesus. La richiesta è quella di avere più aiuti, soprattutto per gestire il grande numero di sfollati. A confermarlo è il dottor Emile Ketty, direttore generale dell’ospedale Al Arjaa (La speranza) di Aleppo, impegnato nei soccorsi ai terremotati.

Ascolta l’intervista a Emile Kelly

Qual è la situazione in città?

La situazione ad Aleppo è drammatica. Le distruzioni sono soprattutto nel centro e nella città vecchia. La scossa è stata veramente molto forte. Sul numero dei morti non abbiamo ancora statistiche precise ma si pensa a circa 300-350 vittime ad Aleppo città. I feriti sono circa 1.500-2.000, ma queste sono tutte cifre provvisorie perché ci sono ancora molte macerie e quindi si potrebbero trovare altri corpi o dei sopravvissuti, però più passa il tempo più la probabilità è minore. Molte persone sono rimaste senza un tetto, circa un milione – un milione e mezzo ad Aleppo ed in tutta la Siria cinque milioni e mezzo – quindi sarà un dramma umano, medico e sociale, perché le chiese, i conventi, le moschee e le scuole ora sono aperte per l’accoglienza, ma adesso la ferita è ancora fresca e quindi c’è uno slancio di solidarietà da parte della gente, però con il tempo ci vorranno delle strutture e soluzioni più importanti, o internazionali, per aiutare questo milione e mezzo di persone.  

Lei sta lavorando ad Aleppo in un ospedale. Chi arriva? Quali sono le problematiche più gravi?

Quando è avvenuto il terremoto chi è andato subito in prima linea sono stati i mezzi dello Stato per poter togliere le macerie, con le ambulanze. Quindi sono stati subito i due ospedali statali di Aleppo a ricevere molta gente, soprattutto per gli interventi salvavita. Noi siamo nella nuova Aleppo, da noi le costruzioni sono più solide quindi i primi giorni sono venute le persone del quartiere che sono cadute dalle scale oppure in strada, quindi non avevano le patologie più gravi. Cominciano a venire da noi quelli che sono già passati dal pronto soccorso di urgenza e poi sono seguiti dagli ospedali privati a uso pubblico come il nostro. Ci sono molti bambini, oggi ne sono arrivati una decina e poiché le strade e le tende non sono riscaldate, hanno patologie respiratorie – soprattutto in quelli che hanno da uno a tre mesi – oppure infezioni intestinali, dovute al freddo e alla malnutrizione.

Questa tragedia naturale arriva dopo oltre dieci anni di guerra. Com’era la situazione in città prima del sisma?

Il terremoto ha colpito di più nella zona dove c’era già la miseria dopo dieci anni di guerra. Dopo tutte queste distruzioni anche la natura è cattiva con noi. C’è stato un aggravamento importante della situazione urbanistica della città. Però Aleppo è una città grande e c’è una parte che ha resistito, ma nella parte governativa e nella città vecchia le distruzioni sono importanti.

Qual è la situazione ora? Si stanno ancora cercando i superstiti? Ci sono speranze?

Si continua a cercare. Adesso sono venuti anche sostegni dall’Algeria, dal Libano, dall’Iran e dall’Armenia. Dopo dieci anni di embargo e di sanzioni i mezzi e i macchinari non sono quelli recenti, più sofisticati e veloci. Però si continua a cercare. Vorrei ricordare che non ci sono vittime di prima classe e vittime di decima classe! Le vittime sono le vittime! Il terremoto è successo in Turchia, ma noi siamo in linea d’aria a 70 chilometri dall’epicentro di Antiochia. Tutto il mondo hai inviato aerei e navi in Turchia, ed è giusto sia così, ma perché le stesse vittime che sono sotto le macerie a qualche chilometro di distanza le lasciamo morire a causa delle sanzioni? Questo è umano, è morale?

A livello materiale di che cosa c’è più bisogno?

C’è bisogno di medicinali e di materiale per la chirurgia d’urgenza. Per i bambini servono latte e cibo e soprattutto riscaldamento. Poi materassi, coperte e anche stufe da mettere vicino al materasso perché adesso fa veramente molto freddo.