Elvira Ragosta – Città del Vaticano
Gli ultimi soldati americani hanno lasciato l’aeroporto di Kabul la notte scorsa, mettendo fine, con un giorno di anticipo, a una guerra durata vent’anni e costata complessivamente 240mila morti, tra militari e civili, e 2.300 miliardi di dollari. Da oggi, a controllare l’aeroporto di Kabul sono i talebani che, dopo aver esultato la notte scorsa a suon di colpi di kalashnikov, dicono: “E’ una vittoria di tutti gli afghani, ora vogliamo buoni rapporti diplomatici con gli Usa”. Il segretario di Stato americano Blinken, che ha trasferito l’ambasciata Usa in Qatar, si dice disponibile a lavorare con i talebani “se manterranno gli impegni”. Oggi è atteso il discorso alla nazione del presidente Biden, finito nel mirino dei repubblicani, accusato di aver abbandonato circa 200 cittadini Usa in Afghanistan.
Bruxelles, si eviti un nuovo 2015
Ieri, il Consiglio di sicurezza dell’Onu aveva approvato, con l’astensione di Russia e Cina, una risoluzione per chiedere la protezione dei civili e dell’aeroporto di Kabul. Manca nel testo la ‘zona di sicurezza’ chiesta dal presidente francese Macron, ma si riafferma “l’importanza di sostenere i diritti umani, compresi quelli delle donne” e si chiedono maggiori sforzi per fornire assistenza umanitaria, consentire un’uscita “sicura” dal Paese e permettere un accesso senza ostacoli alle Nazioni Unite. L’Onu chiede anche che il Paese non diventi una base per il terrorismo, mentre il Pentagono avverte che in Afghanistan ci sono almeno 2mila combattenti “irriducibili” dell’Is, che ieri ha rivendicato il lancio di sei razzi sullo scalo di Kabul. La Cina, che ancora non ha chiarito se abbia o meno l’intenzione di riconoscere i talebani, parla di fallimento degli americani e ribadisce la richiesta di un governo afghano aperto, inclusivo e ampiamente rappresentativo del Paese, mentre per l’Unione europea dialogare con i talebani non significa riconoscimento. Bruxelles lancia intanto un appello affinché si eviti ciò che accadde nel 2015, anno della crisi dei rifugiati in Europa. Si dovrà evitare una crisi umanitaria, una crisi dei migranti e minacce alla sicurezza, ha spiegato la commissaria europea agli affari interni, Johansson, per quale occorre “agire per sostenere la gente in Afghanistan e nel vicinato, e lavorare con le organizzazioni internazionali”.
Unicef: servono aiuti umanitari 10 milioni di bambini
Resta la preoccupazione per quanti non sono riusciti a lasciare il Paese, per i rifugiati e gli sfollati interni. Una crisi più ampia è appena iniziata “in Afghanistan e per i suoi 39 milioni di abitanti”, ha detto ieri Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. C’è preoccupazione anche per i minori nel Paese. Dall’inizio di quest’anno, oltre 550 bambini sono stati uccisi e più di 1400 sono stati feriti. I meno responsabili di questa crisi, sottolinea l’Unicef in un comunicato, stanno pagando il prezzo più alto, compresi i piccoli, uccisi e feriti in una serie di atrocità a Kabul da giovedì scorso. Per il portavoce di Unicef Italia, Andrea Iacomini, ci sono ancora minori non accompagnati nei pressi dell’aeroporto di Kabul esposti a qualsiasi tipo violenza. “In Afghanistan – spiega – ci sono 300mila bambini, sfollati, senza più una casa. Sono stati portati via dai genitori e purtroppo durante il cammino alcuni di loro sono morti e altri hanno perso il papà o la mamma o entrambi. Questi minori hanno bisogno urgente di protezione”.
I pericoli per i minori in Afghanistan
Le forti preoccupazioni del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia non riguardano solo l’aspetto umanitario, ma anche quello del rispetto dei diritti di bambini e bambine. Sono più di 2mila le violazioni dei diritti nei confronti dei minori registrate nel solo 2021 in un Paese, ricorda l’Unicef, che vede ancora un tasso del 17% di matrimoni precoci per le bambine sotto i 15 anni. “L’Afghanistan – continua Iacomini – non è proprio il miglior luogo dove vivere in questo momento, ma non lo era anche nel passato. Ci sono problemi di polio endemica, di tetano, un grande problema di siccità e due milioni di bambini rischiano di restare senz’acqua nel Nord. Se non si interverrà tempestivamente, un milione di bambini sotto i cinque anni rischierà di morire per malnutrizione”.
Il ruolo delle organizzazioni umanitarie
Il personale dell’Unicef in Afghanistan sta rispondendo ai bisogni dei circa 19 milioni di persone che necessitano di assistenza umanitaria, la cui metà è composta da bambini, attraverso diversi team mobili, distribuendo kit igienico-sanitari, tende e cibo, creando spazi dove i più piccoli possano giocare e mantenere una sorta di quotidianità. Non spegnere la luce su questa crisi è quanto chiede l’Unicef, che ha lanciato un appello alla Comunità internazionale per poter raccogliere 195 milioni di dollari. Guardando al futuro dei bambini afghani, Iacomini sottolinea l’importanza che gli operatori umanitari restino sul terreno: “Il fatto che tante ong abbiano deciso di restare vuol dire che c’è ancora una speranza per il futuro di questi bambini”.