Elvira Ragosta – Città del Vaticano
È una data simbolica quella scelta dall’amministrazione statunitense per lasciare l’Afghanistan, vent’anni dopo gli attacchi di Al Qaeda alle Torri Gemelle di New York e al Pentagono. Il ritiro dovrebbe, dunque, slittare di oltre 4 mesi rispetto alla scadenza fissata dalla precedente presidenza Trump. Entro settembre dovrebbe avvenire anche il ritiro delle truppe Nato. “È arrivato il momento di riportare a casa le truppe presenti oggi in Afghanistan e gli Stati Uniti lavoreranno insieme ai Paesi alleati per un ritiro coordinato”, ha detto il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, al suo arrivo al quartier generale della Nato di Bruxelles, sede oggi della videoconferenza con la parteciopazione dei ministri degli Esteri e della Difesa dei Paesi membri.
Mutati gli interessi strategici Usa
Per Nicola Pedde, direttore dell’Institute for Global Studies (Igs), l’amministrazione Biden ha messo chiaramente in prima linea quelli che sono gli interessi strategici mutati degli Stati Uniti, quindi il fatto che i talebani non siano la più una minaccia esistenziale per gli interessi degli Stati Uniti. “Questo – dice a Radio Vaticana-Vatican News – comporta che il ritiro del contingente, a fronte di una possibilità di accordo tra governo afghano e talebani oltre ad una struttura economica del Paese del tutto particolare e drammaticamente squilibrata, rischino di portare quasi certamente allo status quo pre2001 gli equilibri del Paese, quindi sostanzialmente annullare anche quel poco che è stato fatto”.
Il futuro dell’Afghanistan
“Sperare che talebani e il governo di kabul possano trovare una soluzione attraverso una formula di convivenza è una vana speranza”, osserva il direttore dell’Igs, secondo cui l’unico modo per ottenere un risultato di questa natura sarebbe il perdurare, per un lungo periodo di tempo, di incentivi economici sostenuti dalla comunità internazionale. “Questo – aggiunge – significherebbe sostenere l’Afghanistan in modo continuativo per anni, aiutandolo nella trasformazione, soprattutto del contesto economico, e offrire quindi ai talebani un incentivo per accettare poi la progressiva integrazione in un sistema più ampio di comune interesse, ma questo, allo stato attuale, detto molto francamente, è impossibile che accada”.
I numeri
Sono circa 3mila i soldati americani e 7mila quelli della coalizione, in gran parte truppe di Paesi Nato, attualmente in Afghanistan. Il ritiro statunitense porrebbe fine alla più lunga campagna delle forze armate statunitensi, costata migliaia di miliardi di dollari. Nel corso di vent’anni in Afghanistan sono stati uccisi 2300 militari americani, mentre 20mila sono stati i feriti. Almeno 100mila, inoltre, sono i civili afghani morti. Gli Usa, intanto, avvertono i talebani che qualsiasi attacco durante questa fase riceverà una risposta forte. Dal canto loro, i talebani hanno fatto sapere che non parteciperanno al summit organizzato in Turchia il 24 aprile finché “ci saranno truppe straniere” in Afghanistan.
Il summit di Istanbul
Al summit in Turchia sono finora stati invitati 21 Paesi, oltre a Unione Europea, Nato e Organizzazione della Cooperazione Islamica. “La conferenza parte putroppo in salita – conclude Pedde – nel senso che i talebani non intendono partecipare in questa fase. Il gruppo, sia di Doha che di Istanbul, non rappresenta la totalità delle componenti talebane. Ci sono fortissimi contrasti all’interno di questi gruppi e, soprattutto, c’è la ragione, ma forse sarebbe più corretto chiamarla una scusa, della richiesta di uscita preventiva delle forze della Nato prima di sedersi al tavolo negoziale”.